In questi anni che non appartengono alla rivoluzione, né al sogno di cambiare il mondo, che l’informazione e il pensiero dominante assegnano all’era del pragmatismo, dove perfino la Roma e la Lazio non sono più un amore, ma affari e finanza, borsa e strategia, in questi anni, che per noi che non abbiamo fatto né il ’68, né il ’77, non sono nostalgia, questa città s’inventa ogni sua ora, s’impossessa della vita, in una parola, respira.
Ad esempio, i ragazzi, e anche quelli che lo sono meno, vanno molto di più in bicicletta. Benché la città abbia fatto ben poco per tutelare i ciclisti, la moda, soprattutto in certi quartieri, si estende, si fa strada prepotente. Li vedi, la sera, a coppie, gli innamorati, legare le bici ai lampioni, ai segnali stradali. Costo del mezzo, anche bassissimo, ad una ciclofficina poco più che un’offerta, carburante zero, calorie bruciate parecchie, il resto è rumore di pedali e ferraglia di catena, e dopo il cinema, in pochi minuti, a casa, senza l’incubo del parcheggio.
Sono con i Tetes dal ’92 e di tutta quella miriade di localetti che ci «piottava» per suonare, non è rimasto niente. Giro in bici la città da sempre e di molti prati, che a Ponte di Nona, alla Bufalotta, sulla Via del Mare, allargavano il mio sguardo alternandolo ai pedali, non è rimasto niente. Uno sciagurato piano regolatore, approvato all’ultimo consiglio comunale, prima della caduta degli dei, ci sottrarrà un altro bel pezzo di campagna romana nei prossimi anni, a favore dei palazzinari, i veri ricchi della città e in cambio avremo l’ennesimo centro commerciale più grande d’Europa (perché è chiaro che ogni nuovo centro commerciale a Roma, deve essere il più grande d’Europa, sennò è inutile aprirlo). Eppure, per noi che non abbiamo rimpianti di anni eroici perduti, la città respira, si inventa ogni giorno diastole e sistole e, nella sua autogestione, secerne la sedimentazione di tutto quello che è stato e che ancora può diventare.
Il vero problema è dirsi le cose, in assenza di un movimento organizzato, collegato, con appuntamenti e percorsi riconoscibili, tracciabili, rinvenibili. Il vero problema è comunicare, paradossalmente farlo, nell’era della comunicazione, è la cosa più difficile e forse questo è proprio lo sforzo che bisogna produrre: mettere “in rete” le idee e le cose, condividere le esperienze e le energie, trasferire dati e saperi, per non essere soli.
Questa guida alla città ha proprio questo intento, questa straordinaria metropoli ha già scritto nuove bellissime pagine, solo che è difficile farlo sapere, far conoscere i locali, gli spazi per i bambini, le librerie, i centri sociali. Tutto quello che ci troverete dentro è lavoro e amore e va incoraggiato e per incoraggiarlo va pubblicizzato, altrimenti la vita che prima o poi salta addosso a tutto e a chiunque, sparecchierà anche quell’energia e con essa quell’esperienza e ancora una volta qualcuno chinerà la testa e considererà gli anni delle idee e del coraggio, poco più che una scapigliatuta giovanile.
Ma quando giro per Roma, mani nelle tasche, a caccia di pozzanghere, mi soffermo sulle mie passioni. Amo la Stanga, il tram che a due vagoni attraversa la città dal 1949. Spesso si tratta della linea 19 e della linea 14 che da Centocelle vanno verso San Pietro e la Stazione. Sorrido allegro ai tranvieri di quei tram per infondergli orgoglio e buon umore, come a dirgli, ti sorrido perché tu regali qualcosa ai miei occhi, portando a spasso per Roma la Stanga, così lui si sente meglio e dice ai colleghi: “Ragazzi, mi vogliono tutti bene, perché io porto la Stanga, mi dispiace per voi, ma sono io che porto la Stanga” e la Stanga resta in circolazione un altro po’, oltre il Duemila. Lei è un oggetto di arte contemporanea, che costa poco prendere e niente guardare, è verde chiara e scura, è lunga e fa un rumore strano quando è ferma al capolinea. Da bambino mi piazzavo sulla piattaforma dove si snoda e giocavo a compasso con le gambe, stregato dai piedini che si allontanavano uno dall’altro, in curva. I fili aerei e le rotaie regalano personalità ad una strada, perché il tram c’è anche quando non c’è, perché ci sono le sue tracce, i fili e il ferro appunto e il suo andamento è certo, puoi leggere sul tram e non ti viene mal di stomaco come sull’autobus.
Il mare di Roma si chiama Castel Porziano, non ci si potrebbe arrivare col tram sulla spiaggia? Una spiaggia così grande non ce l’ha nessuna metropoli, forse solo Rio de Janeiro… l’acqua non è limpida certo, ma c’è la macchia mediterranea e le piante grasse spontanee con i fiori e, nei giorni di vento, all’inizio della primavera, un mucchio di aquiloni si muove a scatti.
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Andrea Satta è cantante dei Têtes de Bois e pediatra nella periferia romana, ha ideato e diretto per dieci anni il Festival Internazionale di Arte su strada «Stradarolo». Ha collaborato con Carta e il manifesto (che ha distribuito il disco «Avanti pop» e poi l’omonimo librodvd) ed è autore de «I riciclisti» (Ediciclo editore). Ha ideato e promosso il palco a pedali con il quale il 31 marzo si esibiranno Elisa e Nicolò Fabi a Castel Sant’Angelo (ore 20,30) per l’Earth Hour del Wwf.
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Tratto da «Roma acqua e sapone» (ed. Intra moenia, a cura di Annarita Sacco), una guida sulle realtà sociali di Roma
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