Le attenzioni per le “scuole aperte e partecipate” crescono perché quelle scuole sono un modo con cui i cittadini condividono la costruzione del bene comune di un territorio. Il salto di qualità di questo universo è ora nelle mani di genitori, studenti e dirigenti scolastici. Secondo Gianluca Cantisani, tra gli animatori di una delle esperienze più note in Italia di scuola aperta e partecipata (quella nata nella Di Donato/Manin, a Roma), si tratta di trasformare i 40.000 edifici scolastici diffusi nel paese in poli civici e creare “esperienze nuove, generative, per collegare scuola e società in un percorso comune…”
L’interesse per quanto accade in Italia nelle comunità scolastiche intorno alle “Scuole Aperte Partecipate e Condivise” sta nel fatto che si tratta di soluzioni/modelli che ci aiutano a traghettare il paese verso il futuro non solo della scuola pubblica ma di una democrazia più compiuta dove i cittadini, in quanto abitanti di un territorio e competenti, partecipano attivamente alla costruzione del bene comune. Si tratta di soluzioni/modelli “esemplari” che trovano nell’immenso e diffuso patrimonio esperienziale del Paese le risposte all’emergenza educativa e generazionale in corso. Non solo. Avendo anche la caratteristica di essere pratiche “sostenibili” in quanto “per tutti, non dipendenti dai fondi disponibili e durature nel tempo”, danno una risposta alla crisi individuando un modello di sviluppo alternativo a quello attuale. Sappiamo che i cambiamenti nella società arrivano quando i cittadini hanno maturato la cultura necessaria e che le leggi arrivano a completare un cammino. Quello che possiamo fare è avere cura di queste esperienze preziose e per questo abbiamo bisogno di cittadini ed istituzioni coraggiose.
Come uscire dalla crisi
La crisi emersa un decennio fa è la crisi definitiva di un modello di sviluppo non sostenibile della società che ha prima saccheggiato le casse dello Stato per stare in piedi (duemila miliardi di debito pubblico in quarant’anni), poi ha sacrificato il futuro dell’ambiente, del lavoro, dei servizi pubblici di scuola e welfare. Dobbiamo aver chiaro che quegli interessi che hanno portato la società alla crisi possono continuare a resistere solo se si agita la confusione, la paura, l’insicurezza nel futuro. È allora necessario, urgente, raccogliere le buone pratiche generative diffuse nel paese che già indicano la strada per uscire dall’emergenza e andare verso modelli di sviluppo sostenibili per il futuro.
Si tratta di valorizzare le esperienze orientate a far crescere modelli democratici più partecipati respingendo le strumentalizzazioni autoritarie in tutti i campi, dalla amministrazione dello Stato alla convivenza civile. Si tratta di andare in politica verso una democrazia più compiuta, già scritta nella Costituzione, partecipata dai cittadini andando oltre la mediazione dei soli partiti; in economia verso il lavoro sicuro per tutti andando oltre i miti del passato recente con il fallimento di decenni di politiche dello sviluppo non sostenibili; in educazione oltre l’istruzione come bene pubblico.
Dall’Istruzione bene pubblico all’Educazione bene comune
Negli ultimi anni, in assenza di una proposta pubblica sostenibile, sono nate forme miste di educazione come bene privato commerciabile con il coinvolgimento di attori non statali, che si propongono di gestire pezzi della tradizionale istruzione pubblica. È evidente che se la comunità lascia un dirigente scolastico solo nella sua autonomia, ma senza fondi ed in competizione con le altre scuole, egli non potrà che cercare partner per la sopravvivenza esponendo la sua scuola a forme ibride. Negli stessi anni le esperienze delle “Scuole Aperte Partecipate e Condivise” condotte da dirigenti scolastici e cittadini coraggiosi hanno fatto nascere un modello alternativo e sostenibile, che non diminuisce l’importanza dell’istruzione come bene pubblico ma ne allarga i confini attraverso l’apertura della scuola a una collaborazione con i cittadini della comunità scolastica e territoriale, che ne condividono i doveri e la responsabilità. La scuola oltre che servizio pubblico gestito da lavoratori diventa un bene comune che tutta la comunità è chiamata a sostenere. In queste scuole l’apertura ha permesso di sperimentare un modello fondato su principi nuovi, di “amministrazione condivisa”:
– le scelte sono condivise e frutto di un processo democratico di negoziazione delle esigenze di tutti, comprese le fasce più deboli e senza parola rappresentate dalle organizzazioni della società civile;
– la sopravvivenza è fondata non sulla competizione, ma sulla cooperazione tra i soggetti del territorio che caratterizzano la scuola proprio per la vicinanza e l’integrazione con essa;
– le risorse si trovano perché insieme si è più forti di qualsiasi interesse particolare e perché necessarie alla crescita dell’intera comunità, che si attiverà per sostenere il proprio progetto per il futuro.
L’apertura ha permesso di integrare il modello di trasmissione della scuola tradizionale con le necessità attuali di educare le nuove generazioni “alla cittadinanza responsabile” (Rapporto Unesco 2015) e “ciò è alla base del concetto di educazione come bene comune che promuove lo sviluppo di forme di responsabilità condivisa e di partecipazione attiva da parte degli attori presenti nella società al fine di creare un sistema educativo più inclusivo, democratico e rilevante”. Questa visione è entrata nella riforma “La Buona Scuola” del 2015 e le Scuole Aperte sono entrate nelle strategie di miglioramento del sistema educativo nazionale.
Il punto sulle Scuole Aperte Partecipate e Condivise
Dal 2014 è nato nel paese un confronto sulle esperienze innovative di “Scuole Aperte Partecipate e Condivise” (le più note sono quelle dei genitori delle scuole Manin/Di Donato di Roma, Cadorna e Rinascita di Milano) nate oltre un decennio prima. Un convegno a Roma il 22 marzo 2014 fa nascere quella che è oggi la rete informale delle scuole aperte romane (circa venticinque associazioni di genitori e altrettanti comitati di genitori); un secondo convegno a Milano il 16 giugno 2014 lancia l’ufficio “Scuole Aperte” del Comune che oggi accompagna il lavoro di oltre quaranta associazioni di genitori nella città. Decine e decine gli eventi susseguitisi in tutta Italia che hanno diffuso la cultura della “Scuola Aperta dai cittadini” da non confondere con le azioni istituzionali del Miur che ha finanziato nel 2016/17 la sperimentazione delle scuole aperte d’estate (400 scuole di Roma, Milano, Napoli e Palermo, 10 milioni investiti) e nel 2018-19 migliaia di progetti di “ampliamento dell’offerta formativa” gestiti dalle scuole stesse (con un POR europeo, 240 milioni investiti). Da non confondere perché le Scuole Aperte “dai cittadini” ricercano miglioramenti sostenibili nella quotidiana normalità della scuola e hanno raccolto in proprio le risorse mentre i progetti finanziati dal Miur hanno la caratteristica della provvisorietà perché finiscono con l’esaurirsi dei finanziamenti.
I primi cinque anni di confronto sulle esperienze di Scuole Aperte in Italia ci restituiscono che la differenza la fa proprio la partecipazione e la condivisione. Le esperienze “partecipate”, nelle quali si è coinvolta la comunità scolastica, genitori e studenti/ex-studenti, e “condivise”, nelle quali tali componenti sono state trattate alla pari, da protagonisti, sono quelle che formano la comunità educante, che producono cambiamenti e resistono nel tempo.
Trasformare i 40.000 edifici scolastici in poli civici
È venuto il tempo dell’amministrazione condivisa anche nella scuola. Il nodo strategico dove avviene la connessione tra scuola e società sono i 40.000 edifici scolastici diffusi in modo capillare nel paese. Se ognuna di queste strutture diventasse un polo civico per il territorio avremmo ottenuto due obiettivi insieme. Da un lato la scuola si apre, fa lezione anche fuori dai locali scolastici, si fa conoscere e riceve il sostegno necessario dai cittadini per caratterizzarsi ed essere preziosa in quel territorio. Dall’altro la società trova uno spazio civico riconosciuto dove affrontare, insieme come adulti che vivono responsabilmente il proprio territorio, le scelte della propria comunità.
Una tale riforma darebbe una spinta decisiva alla democrazia nel Paese portando i cittadini a occuparsi del bene comune in prima persona e completando la tradizionale mediazione degli organi intermedi (partiti, sindacati, Terzo settore). Ciò avrebbe una ricaduta positiva sulla scuola che uscirebbe dal recinto nel quale è chiusa e tornerebbe ad essere un corpo sociale che indirizza le scelte del Paese. Una scuola aperta al territorio può recuperare un ruolo di guida e di accompagnamento delle scelte verso il futuro. Ad esempio la scuola può, in modo più credibile di altri, condurre un percorso collettivo per individuare, territorio per territorio, quali scelte permettono a un giovane di rimanere o tornare dopo gli studi dando un contributo allo sviluppo della propria terra senza esser costretto ad andare lontano per lavorare.
Ripartire dalla scuola per immaginare insieme il futuro
Auspichiamo allora che ai massimi livelli amministrativi il Miur apra un confronto con il Paese reale che vada oltre i poteri veri e presunti della scuola (politici del momento, funzionari, esperti, rappresentanze dei lavoratori) ma se questo non accade la partita si gioca sui territori nell’incontro possibile tra la scuola e la società civile. La partita si gioca direttamente tra i rappresentanti locali dello Stato (i dirigenti scolastici e i lavoratori della scuola) e i cittadini attivi e responsabili (in primis genitori e studenti). A loro spetta traghettare il paese nel futuro attivando con coraggio e responsabilità esperienze nuove, generative per collegare scuola e società in un percorso comune.
Concludo allora con un appello alle due parti, indicando una strada possibile da percorrere.
Caro dirigente scolastico,
il futuro della scuola è nell’amministrazione condivisa con i cittadini e il tuo ruolo è di governare questo processo a tutela dell’interesse generale del paese. L’alternativa che ti viene spesso proposta di dare più poteri ai dirigenti, di una persona forte e illuminata, sola al comando che risolve ogni cosa, non solo non ti rappresenta ma non funziona perché la scuola non è un’azienda da comandare, ma una comunità che funziona principalmente con il capitale sociale delle persone che credono che fare quel qualcosa in più fa la differenza.
Caro cittadino responsabile,
il futuro della società passa attraverso la cura dei beni comuni. A chi spetta farlo? A chi spetta far funzionare la scuola del tuo territorio? Il bene comune è una costruzione collettiva, c’è bisogno della partecipazione di ognuno. Non basta delegare alla politica o affidare a pagamento ad un lavoratore. Non sono i soldi a governare il funzionamento di una società ma l’etica. È la tua partecipazione attiva, volontaria e gratuita a poter fare la differenza. La cura che tu hai della tua scuola spinge ogni altro a fare il meglio e così costruiamo una scuola di qualità per tutti ed utile allo sviluppo della comunità.
____________________
Articolo pubblicato anche sul blog di Labsus.
EUGENIO dice
Concordo pienamente con le conclusioni dell’articolo. Spero che i giovani genitori comprendano l’importanza del loro impegno diretto e non deleghino ai nonni questa formidabile opportunita’.
Giuseppe dice
#lascuolasenzamura #lacittaeducante