Racconti da un corso di italiano per stranieri
di Lino Di Gianni*
Ogni volta che avviene il processo della conoscenza, io rimango allibito. Perché ne riconosco la fondamentale importanza, innanzitutto provandone gli effetti, su di me.
Quattro ragazzi, africani, due analfabeti in lingua madre. Due ivoriani, uno senegalese, uno del Mali. E mi dimentico sempre, di dove è Moussa, o di dove è Lamine. Ma se osservo quando escono, vedo che i due ivoriani vanno via insieme, uno in bici e uno a piedi, accompagnandosi.
Uno è molto timido, uno è un po’ spaccone (sono ragazzi di diciannove/venti anni) uno non sa leggere né scrivere ma sa parlare e traduce per gli altri. Uno di loro è un “ vecchietto”, ha quasi trentuno anni, ma ne dimostra molti di più. L’altro giorno girava con le grandi cartelle di radiografie, problemi alle ossa.
Per capire la loro attenzione, e la loro capacità logica, li faccio giocare ogni tanto a “Tris” (quel gioco che si mettono tre x oppure tre 0 a turno, e chi ne mette tre di seguito, vince). L’altro giorno, per dire, il “ vecchietto” che non legge e non scrive, mi ha fatto morire dal ridere: voleva mettere tutti e tre i segni di seguito, per vincere!
Dopo vari tentativi di fermarlo, dopo spiegazioni in Bambarà, (per ridere insieme agli altri) ho messo un suo compagno che lo abbracciava tenendo fermo, liberandolo solo quand’era il suo turno. Naturalmente, mi sono distratto nel gioco, nella sfida con lui, e lui ha vinto. Era molto contento. Durante il gioco ho visto una donna cinese di quarantasette anni fare un saltello di trenta centimetri, alzando le braccia al cielo, per aver vinto a Tris, contro un ivoriano.
Uno dei processi di conoscenza, avviene tra di loro: se vogliono comunicare tra le diverse appartenenze, devono usare l’italiano come lingua di mediazione. E, negli errori, io esagero apposta, per creare un clima di gruppo. Io, nel gruppo insieme a loro: se tu sbagli a dire “mio” o “tuo”, io dico scherzando che allora il “suo” cellulare è “mio” e faccio il gesto di prenderlo. “Me lo vendo, sabato, al Balù, il mercato delle pulci…”.
Non è facile far uscire le lumache dal guscio, senza pioggia: mi si perdoni la metafora. Imparare prima le lettere dell’alfabeto, poi le sillabe, non è una cosa che riempia di gioia un ragazzo che ha superato ben altre difficoltà, nella vita. Ma adesso siamo lì, io e lui, e quello è il compito che ci aspetta. E se lui riesce, mi sorride come se fosse la prima volta che lo fa, per qualcuno.
Il processo della conoscenza – cioè, saper leggere e scrivere e mettere ordine nei pensieri -, è un arma potentissima, un’arma caricata a futuro, e io, maestro elementare da quarantatré anni, sono contrario da sempre alle guerre e al possesso delle armi. Ma l’istruzione rende forti, coscienti, liberi e lo vedi nello sguardo di questi ragazzi, che si trasforma, quando capiscono che ti stai prendendo a cuore delle loro sorti.
Vorrei, che, un domani, potessero essere riconosciuti come cittadini italiani, per diritto di suolo e diritto di cultura. E che fosse riconosciuto come importante, fondamentale, il diritto alla buona predisposizione verso gli altri: pensare alle fonti di diversità come miniere di ricchezza, da scavare insieme, per trovare rare gemme di resilienza.
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