Non avevo mai partecipato a un incontro così radicale e impegnato con la conoscenza e la prassi femminista, scrive Carolina Meloni González, brillante e appassionata studiosa di filosofia politica che sui femminismi di frontiera e le frontiere del femminismo ha scritto diversi libri imperdibili. Quell’incontro, anzi quel ciclo di incontri educativi, si è tenuto in gennaio in Bolivia, per far nascere una sorta di anti-accademia, sebbene abbia il riconoscimento di prestigiose università latinoamericane. Dalla periferia del mondo, dagli spazi che i detentori del monopolio del potere politico, accademico e istituzionale negano, disprezzano, condannano al silenzio, da coloro che vengono espulse e messe a tacere perché ritenute incapaci di elaborare pensiero, sta forse nascendo una nuova contro-narrativa femminista teorico-politica. Ha una potenza de-costruttiva rilevante e un effetto dirompente sull’idea egemonica della conoscenza come previlegio elitario ma, recuperando i saperi e il pensiero critico che affiora nelle strade, nei mercati, nelle riunioni intorno al fuoco e nelle cucine, si propone anche di attraversare le frontiere fisiche, geografiche, politiche e di genere. Non esita ad affermare che vuole rovesciare il mondo, quello razzista, patriarcale e coloniale ma anche quello femminista che si fa istituzione
“Pensare da nuove premesse
è necessario per destabilizzare le verità”
Nella città boliviana di La Paz, il 9 gennaio è stato inaugurato un diplomado (un corso breve, in genere offerto dalle università, ndt) radicalmente differente. Grazie all’intenso lavoro e alla lotta del collettivo Mujeres Creando, e grazie all’iniziativa e al progetto pedagogico di María Galindo, si è dato vita al Diplomado in Pensiero Femminista e Lotte Sociali del Sud. L’iniziativa ha il patrocinio e il riconoscimento accademico di due importanti università latinoamericane: l’Universidad Mayor de San Andrés e l’Universidad Autónoma de México, quest’ultima, come ben sappiamo, vero punto di riferimento nei ranking che indicano i criteri scientifici e la qualità della ricerca nel mondo universitario ortodosso.
Ho potuto assistere alla storica cerimonia di inaugurazione in qualità di docente del corso. E vi assicuro che, in tutti i miei anni di docenza e vita universitaria, non avevo mai partecipato a un incontro così radicale e impegnato con la conoscenza e la prassi femminista. Nell’auditorium dell’UMSA, sotto l’occhio vigile delle autorità accademiche, studenti e studentesse entusiaste, provenienti da diversi paesi di Abya Yala, vibravano di emozione. Gli slogan e gli striscioni delle Mujeres Creando ci circondavano e abbracciavano. Tra i tanti, ce n’era uno su cui si leggeva una delle loro affermazioni più note: “pensare è altamente femminile”, dove per “femminile” s’intende quel luogo subalterno segnato dall’oppressione, dal silenzio e dalla cancellazione. Stava avvenendo qualcosa di differente: dalla periferia del mondo, da quegli spazi tradizionalmente negati e considerati niente per quel che riguarda la produzione di pensiero, si cominciava a tessere, a creare, a generare una contro-narrativa femminista teorico-politica. Stava cominciando così il suo cammino una contro-accademia critica quanto combattiva.
Da chi lotta per chi lotta
“Il femminismo è per tutti“, ci ricordava bell hooks. E lo faceva proprio nel contesto di una feroce critica sia del discorso che della prassi accademica. Quelle critiche non erano rivolte solo all’istituzione in quanto tale, che, come sappiamo, è essa stessa un grande mostro pachidermico, monolitico e tarlato, chiuso al suo esterno e autoconvinto di possedere il monopolio della conoscenza scientifica. La cosa interessante del giudizio della hooks risiedeva nel mettere in discussione il femminismo stesso come uno spazio tremendamente gerarchizzato e classista. Alle nostre sorelle nere dobbiamo l’insistenza e la denuncia di quel divenire reattivo dello stesso pensiero femminista. Ebbene, come Lorde, hooks, Davis, tra molte altre, ci hanno insegnato, il nefasto germe dell’elitarismo ha cominciato a diffondersi come un virus in molte pensatrici e teoriche femministe, e ha finito per trasformare le loro conquiste accademiche in miserabili torri di guardia del potere. Sono state loro le prime ad affrontare il disprezzo, il razzismo e le varie gerarchie che costituiscono gli spazi educativi tradizionali. È sempre da loro che abbiamo imparato che conoscere è un privilegio di pochi, di quegli stessi che ne stabiliscono i canoni, le genealogie e le metodologie. Coloro che detengono conoscenze e risorse. Così, le narrazioni egemoniche non solo espellono determinati soggetti, corpi e desideri dalle loro aule e dai loro libri di testo, ma fanno anche delle aule stesse, dei curricula e dei programmi scolastici spazi ostili e violenti per molte vite e pratiche politiche.
Il femminismo è per tutti, ma per caso siamo tutti creatori del mondo? Quali soggetti sono stati riconosciuti come possessori di un discorso epistemico e scientifico? Quali voci sono autorizzate a rivolgersi al mondo con i loro strumenti teorici? Siamo tutti autorizzati a parlare, enunciare, elaborare narrazioni sui nostri mondi? Oppure ci sono soggetti che, appartenendo ai margini del mondo, non possono che aspirare ad essere oggetto di studio da parte di chi custodisce le porte del sapere? Per tutte queste ragioni hooks ha fatto appello alla necessità di un’educazione femminista di massa, intendendo per “massa” non una questione meramente quantitativa, ma proprio tutta quella conoscenza che da Platone è stata considerata falsa episteme, mera doxa che mai accede ai gradini del vero, ciarlataneria a buon mercato di chi non ha lo status di scienza, di logos, di razionalità.
Ed è questo lo spirito che attraversa il Diplomado delle Mujeres Creando. Con lo slogan “da chi lotta per chi lotta”, sono diverse le premesse teorico-politiche e pedagogiche che lo costituiscono. La prima, il principio di base della democratizzazione dell’istruzione, è la completa gratuità del corso che lo rende accessibile a numerose persone che non hanno le condizioni materiali di base per concedersi una parentesi nella vita di quattro settimane dedicate allo studio, alla lettura e alla comprensione di teorie universitarie. Le organizzatrici hanno lottato per creare queste condizioni, pensando anche alle diverse esigenze e realtà di molte delle studentesse: un 30 per cento di loro ha una borsa di studio per vitto e alloggio (non basta infatti non far pagare le tasse per aprire le porte dell’università a chi le ha sempre avute chiuse; se non abbiamo da mangiare o se non si interviene sui trasporti e i servizi, risulterà difficile se non impossibile pensare alla nostra formazione teorica). Per la stessa ragione, molte madri dispongono di un nido gratuito per le proprie figlie e figli. Nessuna istituzione pubblica si occupa solitamente di questi temi, perché il soggetto per eccellenza che la frequenta proviene solitamente da una classe sociale specifica e con poche responsabilità familiari o economiche (né anziane, né madri lavoratrici, né povere, né migranti).
Quelle che si esercitano su quel tipo di persone sono tutte “esclusioni storiche”, come le chiama Galindo, e fanno parte della seconda premessa di questo diplomado. La classe è composta da alunne indigene, insegnanti rurali, sex workers, donne della provincia, transgender, lesbiche, bisessuali, donne disabili. Insomma, da tuttə coloro che sono state tradizionalmente negate e cancellate dagli spazi educativi egemonici. Tutte quelle che sono state escluse perfino dallo stesso pensiero femminista. È da qui che scaturisce la terza e fondamentale premessa, la decostruzione tra teoria e prassi, tra lotta e femminismo teorico, tra soggetti della conoscenza e soggetti che hanno detenuto il privilegio epistemico. L’orizzontalità nella costruzione del sapere si pratica, milita, insegna e incoraggia in un’aula occupata ogni settimana da corpi, affetti, voci e narrazioni diverse. Lo spazio viene così invaso, contaminato, intessuto attraverso una polifonia dissidente e contro-egemonica, che inizia a disegnare nuove mappe e nuovi mondi.
Esiste un’accademia dissidente?
“Il femminismo può essere palpabile nel nostro modo di produrre conoscenza (…) Penso al femminismo come a un progetto in costruzione: se i nostri testi sono mondi, dobbiamo realizzarli con materiali femministi”
Nel suo ultimo libro, Feminismo Bastardo, María Galindo afferma che una delle sfide più importanti della lotta femminista non è altro che diventare una fabbrica per la produzione di giustizia. In questo senso, il Diplomado in Pensiero Femminista ci fa riconsiderare l’assoluta necessità di diventare anche una fabbrica di produzione di conoscenza. Per questo è necessario operare una profonda revisione delle tassonomie egemoniche e iniziare a creare nuovi spazi, concetti e strumenti teorici da altre prospettive e soggetti in cui riconoscersi. Ebbene, non è stata solo l’accademia a essere uno spazio radicalmente chiuso e violento verso altre realtà, il femminismo stesso è oggi un luogo dove si riproducono gerarchie di potere, si incoraggia l’eurocentrismo epistemico e si escludono voci ed esperienze non ritenute valide all’interno dei discorsi egemonici. Urge dunque risignificare un progetto che non è solo politico, ma anche intellettuale e teorico. È urgente democratizzare, decolonializzare e depatriarcalizzare il pensiero femminista. E per questo, le comunità sottovalutate e subalternizzate del sud globale devono avere un ruolo politico fondamentale.
In una delle sue lezioni, come insegnante del corso, la poetessa e artista trava Susy Shock si chiedeva se esiste una poetica dissidente o se siamo solo un gruppo di persone dissidenti che scrivono poesia. Potremmo estrapolare le sue domande fino alla radice della conoscenza accademica, fino al cuore stesso dell’istituzione universitaria. Oggi più che mai abbiamo bisogno di creare altri insegnamenti, altre istituzioni accademiche, un’altra università in cui tutte e tutti ci inseriamo, come una casa della differenza per le “altre” e gli “altri” che sono esclusi e messi a tacere. Abbiamo bisogno anche di un femminismo-alleanza, di teorie femministe che tessono mondi, intrecciano esperienze, di vita e di lotte. Rifugi comunitari pensati, elaborati e concettualizzati da tutte noi. Abbiamo bisogno di nuove genealogie che ci raccontino le nostre storie, che narrino i nostri miti, le credenze e le gesta eroiche, che vadano oltre la storia originaria di un femminismo nato nell’Illuminismo, ideato e concepito da e per donne bianche, europee e borghesi. Siamo dissidenti e crediamo in un’accademia dissidente, con concetti che emergono dalle nostre voci, dai corpi e dalle vite come un aguayo multicolore in cui si mescolano testimonianze orali, lotte di strada, graffiti con chiacchiere collettive.
L’insegnante María Lugones parlava di un femminismo capace di compiere una svolta epistemica. Oggi, questo Diplomado, dal sud del mondo, lo sta rendendo possibile. Così, mano nella mano con altre insegnanti come l’argentina Adriana González dall’Argentina o la guatemalteca Gladys Tzul Tzul, le alunne e gli alunni hanno potuto muoversi attraverso altre epistemologie: comunitarie, indigene, viaggiatrici, amorose. Epistemologie che usurpano l’ episteme stessa, producendo insurgencias e tecniche di sabotaggio nei modelli di conoscenza dominanti. Susy Shock ha portato con sé tutta la voce della dissidenza, quella che nasce nei corpi marica, nelle vite di trava, nelle sudate poesie trans-pirates delle pazze e dei travestis sudaca (travestiti sudamericani, spesso usato in senso denigratorio, ndt). Tutto ciò è già un atto di contestazione di qualsiasi istituzione coloniale-patriarcale, dalla chiesa fino all’aula universitaria. Ancora da venire sono gli insegnamenti di Rita Segato, del filosofo Paul B. Preciado, e poi di Daniela Cabral, Sayuri Loza, Rosana Barragán, Claudia Acuña e della stessa María Galindo.
Viaggiare-mondi: fabbricando insieme utopie e narrative femministe
“Penso alle pedagogie dell’attraversamento e a un’erotica sociale. Penso alle comunità di compagne solidali, a una comunità in cui la solidarietà orizzontale è accompagnata dall’impegno di imparare le une dalle altre.
Abbiamo scelto di viaggiare in senso contrario, di attraversare frontiere fisiche, geografiche, politiche e di genere. Abbiamo deciso di non esitare e costruire altre pedagogie, altri saperi, non patriarcali, meno razzisti, meno escludenti. Abbiamo scelto di riorientarci e riscrivere le mappe che ci collocavano alla stessa periferia di ogni cartografia. Come Felisa Ali, che nel 2016 guidò la storica carovana da Cochabamba a La Paz per esigere il sussidio di invalidità. Oppure come Guadalupe Guamani, attivista femminista e difensora della comunità, originaria di Cuzco e per la quale è fondamentale distinguere concettualmente tra teoria e saggezza, essendo quest’ultima la via della conoscenza tradizionale delle popolazioni contadine. O come tutte quelle alunne della delegazione peruviana, che non hanno perso il coraggio né l’ansia di sapere nonostante il fascismo, la violenza e il terrore stiano devastando i loro villaggi, le comunità e i quartieri. Oppure come le alunne cholas, ribelli, chiacchierone, non sottomesse a nessuna matrice coloniale che voglia neutralizzare la potenza delle loro zuppe a base di chuño ed erbe dell’altiplano. E come le insegnanti rurali, educatrici di base, militanti della vita, alcune delle quali sono docenti nelle miniere della regione di Oruro e portano tutto il loro amore e la loro saggezza alle figlie e ai figli dei lavoratori. Tante voci e storie cariche di una metodologia propria, di concetti incarnati, sudati come li chiama Ahmed, pluriversali, di un pensiero critico che affiora nelle strade, nei mercati, nelle riunioni intorno al fuoco e nelle cucine.
Può essere che non si possano ancora misurare le conseguenze sociali, di vita e accademiche di questo innovativo progetto pedagogico-politico. Ma possiamo certo affermare con enfasi che la sua potenza de-costruttiva è innegabile. Il Diplomado in Pensiero Femminista ci ha insegnato a tutte e tuttə, insegnanti e studentesse, la necessità di disimpararci, di tornare a raccontarci, di lavorare insieme dall’interno sulle strutture stesse. Ci ha aiutato a de-patriarcalizzare e andare al di là dell’accademia stessa. Riprendo questo concetto di Galindo nella sua triplice valenza: perché abbiamo depatriarcalizzato il sapere con metodologie concrete, attuando una vera e propria disobbedienza epistemica. Da queste premesse altre ci siamo lanciate a generare utopie, abbiamo osato sognare orizzonti di confluenza per tutte le nostre conoscenze. Possiamo quindi dire che, grazie al Diplomado, stiamo elaborando insieme validi strumenti teorici, per non permettere a queste istituzioni di espellerci, per non permettere che le nostre voci, le nostre categorie e i contesti interpretativi vengano cancellati. E, in questo modo, poter continuare a lottare per un mondo migliore per tutte.
Fonte: Versione originale in El Rumor De La Moltitudes. El Salto
Traduzione per Comune-info: marco calabria
Alberto Campedelli dice
Cara Carolina, non ho ancora letto nessuno dei tuoi libri, ma domattina vado a comprarne uno perche’ sono corioso di sapere il tuo punto di v ista sul “femminismo di stato”, se e’ vero che esiste….!
Marianna Cotone dice
Cara Carolina, intanto che studio il tuo straordinario report mi faccio una domanda e la condivido con te: ma le docenti di questo corso possono allora essere scelte tra donne prive di laurea? Sarebbe mooooolto interessante!
Grazie per tutto
Marianna Cotone dice
Cara Carolina, intanto che studio il tuo straordinario report mi faccio una domanda e la condivido con te: ma le docenti di questo corso possono allora essere scelte tra donne prive di laurea? Sarebbe mooooolto interessante!
Grazie per tutto