Stralci apparsi sul blog di Serge Latouche.
Per gli «obiettori di crescita», nella misura in cui è escluso il rilancio dell’occupazione attraverso il consumo, una riduzione drastica del tempo di lavoro imposto è una condizione indispensabile per uscire da un modello lavorista di crescita, ma anche per assicurare a tutti un’occupazione soddisfacente, realizzando al tempo stesso la necessaria riduzione di due terzi del consumo di risorse naturali.
È indispensabile un ritorno alla «demercificazione» del lavoro. Il gioco attuale del «minor offerente sociale» è altrettanto inaccettabile di quello del minor offerente ecologico. Per il salariato – scrive Bernard Maris – non c’è la fine del lavoro, come sembrerebbe indicare la diminuzione tendenziale delle ore lavorate, ma piuttosto il lavoro senza fine, la precarietà, l’isolamento, lo stress,la paura e la certezza di perdere rapidamente il lavoro». La riduzione del tempo di lavoro e il cambiamento del suo contenuto sono dunque innanzitutto scelte di trasformazione sociale, risultati della rivoluzione culturale che la decrescita richiede.
La decrescita implica invece al tempo stesso una riduzione quantitativa e una trasformazione qualitativa del lavoro. Alcuni sono già riusciti individualmente a realizzare questa fuoriuscita dalla società lavorista, e queste esperienze possono indicare una strada, a patto di resistere all’ingranaggio dell’accumulazione illimitata e di difendersi dal ciclo infernale dei bisogni e del reddito
La riduzione drastica del tempo di lavoro costituisce una prima protezione contro la flessibilità e la precarietà. Per questo motivo deve essere mantenuto e rafforzato il diritto del lavoro, oggi nel mirino dei liberisti in quanto fonte di rigidità. Questo non può che facilitare la decrescita. Bisogna difendere dei minimi salariali decenti, contro le teorie degli economisti della disoccupazione volontaria, un’impostura del nostro tempo.
Lascia un commento