Educare alla pace e al pensiero critico significa anche prendere posizione contro l’ingiustizia, la violenza e l’aggressione contro le persone e i popoli oppressi, dicono alcune associazioni di studenti, insegnanti e genitori della Catalogna che hanno indetto uno sciopero per oggi, giovedì 16 novembre, contro il genocidio in corso a Gaza. Spiegano che la comunità educativa non può “restare in silenzio mentre vengono bombardate scuole e università, dove studenti e lavoratori rimangono sotto le macerie e perdono la vita”. Precisano che nello stesso curriculum educativo si dice testualmente che, sia nella scuola primaria che in quella secondaria, gli alunni devono essere in grado di “riflettere e dialogare sui valori e sui problemi etici dell’attualità” e “opporsi a qualsiasi forma di discriminazione e violenza”. Lamentano invece che hanno dovuto organizzare questi scioperi fuori e non dentro gli istituti, mentre quando lo hanno fatto per condannare la guerra in Ucraina questo non è accaduto. L’accusa di antisemitismo, da parte dell’ambasciata israeliana, non si è naturalmente fatta attendere. Non sembra farsesca l’affermazione secondo cui – in Italia e altrove – mentre nei primi giorni di ottobre il volume di fuoco mediatico e politico si alzava a dismisura a sostegno del diritto di Israele di difendersi con le armi, oggi si tacci di “ingerenza politica” la solidarietà nei confronti di una popolazione sottoposta, soltanto in una delle settimane del massacro, allo stesso numero di bombe che gli Stati Uniti sganciavano in un anno in Afghanistan? Eppure, autorevoli esponenti dell’educazione sostengono che parlarne a scuola, in classe, sia sconveniente, magari perché “a scuola non si fa politica”. Probabilmente, ha ragione chi dice che l’Italia è stata rovinata mezzo secolo fa, dal Sessantotto, oppure chi oggi tesse le lodi di una “comunità educante” 16 volte in un intervento di 8 minuti si sta un po’ distraendo?
I centri di educazione secondaria sono chiamati a scioperare, oggi, giovedì 16 novembre, in solidarietà con la popolazione palestinese. L’appello è stato lanciato dal Sindicat d’Estudiantes dels Països Catalans (SEPC) e gode del sostegno dei principali sindacati degli insegnanti e delle Associacions Federades de Famílies d’Alumnes de Catalunya (aFFaC).
Con l’affermazione “Fermiamo il genocidio contro il popolo palestinese. Non restiamo in silenzio: educhiamo al pensiero critico e ad una cultura di pace“, i sindacati e le associazioni hanno annunciato, in un manifesto unitario, diverse azioni nei prossimi giorni. Oltre allo sciopero studentesco, manifestazioni davanti ad alcuni rettorati universitari e una concentrazione nei centri, insieme alle famiglie, per venerdì 17 novembre.
Ricordando gli oltre 4mila bambini e ragazzi assassinati in Palestina, i promotori dell’iniziativa hanno esortato le famiglie degli studenti a radunarsi all’uscita delle scuole e, anche domani, venerdì 18, ci saranno centri che osserveranno minuti di silenzio. Queste, ad esempio, le parole della convocazione del Professorat amb Palestina-País Valencià.
“Vediamo un aumento della violenza così forte che è necessario indire uno sciopero per manifestare il nostro rifiuto e chiedere a tutte le istituzioni, soprattutto a quelle educative per quanto ci riguarda, di rompere le relazioni e gli accordi che mantengono con le università o i centri educativi in Israele ”, ha spiegato Júlia Portet, portavoce nazionale della SEPC.
Dalla SEPC affermano che questo è il modo migliore per dimostrare che sono contrari a questo “genocidio” e pensano. allo stesso tempo, che questo possa rappresentare una sorta di pressione sulle diverse istituzioni dei Paesi catalani e su quelle aziende che tendono a rappresentare la “normalità del conflitto” affinché cambino la loro posizione. Per la SEPC, sapendo che ovviamente non è la stessa situazione, “questo deriva dalla necessità di articolare una solidarietà di classe internazionale nei confronti del popolo palestinese. Da un popolo oppresso all’altro”.
Considerate le mobilitazioni indette, l’ambasciata spagnola in Israele ha pubblicato un comunicato in cui qualifica la protesta come “atti anti-israeliani nei centri educativi”. I messaggi sono diretti sia ai sindacati che hanno convocato lo sciopero, sia agli insegnanti che, secondo il testo, “indottrinano gli studenti e istigano all’antisemitismo“.
Infatti, l’ambasciata aggiunge, senza fornire alcun esempio concreto, che “vi sono stati numerosi casi in cui studenti ebrei e israeliani sono stati sottoposti ad aggressioni fisiche e verbali, molestie e discriminazioni nelle scuole, negli istituti superiori e nelle università”. Il testo chiede misure per invertire questa situazione e chiede al contempo che le autorità “educhino alla tolleranza, evitino l’incitamento all’odio e vietino l’organizzazione di ogni tipo di manifestazioni o eventi”.
La SEPC ha risposto alle critiche spiegando cui i centri educativi “non sono uno spazio estraneo alla società” e, di conseguenza, “i conflitti esistenti si trasferiscono anche all’interno delle aule ed è da lì che bisogna dare risposta”. Questa idea è ciò che intreccia il discorso principale della comunità educativa della Catalogna in un manifesto congiunto che afferma “vista la gravità dei crimini che l’esercito israeliano sta commettendo contro la popolazione civile palestinese”.
Educare alla pace
Al manifesto hanno aderito, come rappresentanti della comunità educativa, Ustec STEs (IAC), CGT Ensenyament, CC OO, COS Educació, SEPC, aFFaC, UGT e l’Associazione degli Studenti Progressisti.
Il testo è stato presentato in una conferenza stampa per incoraggiare il personale dei centri educativi, le famiglie e gli studenti a partecipare alle varie azioni di queste giornate. Spiega che la comunità educativa non può “restare in silenzio mentre vengono bombardate scuole e università, dove studenti e lavoratori rimangono sotto le macerie e perdono la vita”. Per poi aggiungere che nello stesso curriculum educativo si dice testualmente che, sia nella scuola primaria che in quella secondaria, gli alunni devono essere in grado di “riflettere e dialogare sui valori e sui problemi etici dell’attualità” e inoltre “opporsi a qualsiasi forma di discriminazione e violenza”. Per questo motivo, precisano che educare alla pace e al pensiero critico “significa prendere posizione contro le ingiustizie, le violenze e le aggressioni contro persone e popoli oppressi”.
La CGT (il terzo sindacato della Catalogna con 20mila iscritti, ndt), con il sostegno di altri sindacati, ha spiegato che tra gli insegnanti ci sono colleghi che subiscono coercizioni e minacce solo per aver esercitato un diritto. Citando la dichiarazione dell’ambasciata israeliana, denuncia che, invece di parlare di indottrinamento, sono proprio queste organizzazioni che impongono la “dottrina del silenzio”. “Da parte dei sindacati è necessario stare con gli studenti e nelle classi, perché abbiamo una responsabilità pedagogica“, ha detto Pedro Mercadé, della Federazione Educazione CGT.
Nel comunicato del sindacato si sottolinea anche il silenzio complice dell’Ue, dei governi e delle istituzioni, si chiede di agire a tutti i livelli per esigere un Cessate il fuoco immediato, il ritiro di tutte le truppe da Gaza e la fine dell’assedio del popolo palestinese. Si chiede inoltre l’urgente ingresso a Gaza e in Palestina di materiale sanitario e umanitario sufficiente, la sospensione dei rapporti e dei gemellaggi e la rottura di ogni cooperazione commerciale, istituzionale e, soprattutto, militare con lo Stato di Israele, nel quadro delle iniziative di Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni (Bds), come forma di lotta non violenta.
“Abbiamo dovuto organizzare questi scioperi fuori e non dentro gli istituti, perché ci sono molti insegnanti che ci hanno detto che non avrebbero partecipato nel caso in cui ciò mettesse a disagio gli altri studenti”
Con questa presa di posizione si incoraggia la comunità educativa a: lavorare sulla convivenza e la pace in classe, fornendo strumenti per approfondire e comprendere cosa sta accadendo in Palestina; a prendere posizione pubblica e unirsi agli appelli ad agire contro il “genocidio”, e a leggere il manifesto redatto nelle mobilitazioni di oggi e di quelle future.
Molti istituti lo hanno già fatto e continueranno a farlo in questi giorni. Lia Casadevall, attivista della SEPC e studentessa dell’Istituto Poeta Maragall, si dice molto soddisfatta per l’accoglienza dell’appello allo sciopero tra gli studenti che non si erano mobilitati. Sottolinea che “c’è una buona massa critica tra gli studenti che non sono attivi, ma sono interessati” e aggiunge che dove si è registrata più reticenza a esprimersi è stato tra gli insegnanti.
“Alcune equipe dirigenziali si sono opposte e abbiamo riscontrato arbitrarietà”, afferma Casadevall, che ricorda come questi “blocchi” delle azioni proposte non siano stati affato registrati quando gli stessi soggetti che oggi li propongono lo hanno fatto per condannare la guerra in Ucraina. Ciò si è tradotto nell’impedimento a realizzare, dal 7 ottobre ad oggi, minuti di silenzio negli istituti, atti di solidarietà o altre idee suggerite. “Abbiamo dovuto lavorare su questi scioperi fuori e non dentro gli istituti, perché ci sono molti insegnanti che ci hanno detto che non avrebbero partecipato per non mettere a disagio gli alunni”, spiega Casadevall.
Fonte La Directa da cui è tratta anche la foto degli insegnanti solidali con le vittime palestinesi C/C
Traduzione per Comune-info: marco calabria
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