A classe aperta è un progetto che nasce da un gruppo di insegnanti di un piccolo plesso, che lavora ai limiti di un quartiere periferico e problematico di Roma: Rebibbia. L’esiguità del numero dei bambini e delle bambine presenti in quella sede, per questo anno scolastico, ha spinto le insegnanti a interrogarsi su nuovi modi per fare scuola. Invece di arrendersi, le maestre si sono confrontate per giorni su possibili soluzioni creative; ed è così che è nato A classe aperta.
“Il costante e lungo dialogo tra di noi ha reso possibile lo svilupparsi di un’idea comune di scuola, dove i bambini e le bambine possano partecipare attivamente alle decisioni della vita scolastica, sentendosi pienamente adeguati nei loro processi di scoperta, e accompagnati, attraverso opportune metodologie, allo sviluppo delle loro competenze, per un apprendimento che sia permanente” spiega Marta, una delle insegnanti che hanno ideato il progetto. “Lo scopo è quello di creare una piccola comunità scolastica più attenta ai bisogni educativi ma anche relazionali di ogni alunno/a e delle rispettive famiglie” aggiunge Carla, anche lei maestra del plesso e creatrice di A classe aperta.
A Rebibbia, dunque, in una stradina lontana e affacciata sull’Aniene, un piccolo edificio emarginato è diventato centro innovativo di sperimentazione. Attraversare ed esplorare il limite, ha permesso di tramutarlo in risorsa e così invece di chiudersi nelle rispettive paure e classi, a porta chiusa, hanno deciso di iniziare l’anno scolastico insieme, tutti e tutte, in cerchio, nell’androne. Prendono avvio così le prime due settimane di accoglienza, con attività che coinvolgono le varie età e che facilitano un ritorno a scuola davvero partecipato e condiviso. I bambini e le bambine si ritrovano dopo tre mesi: sono una quarantina in tutto. Dopo essersi abbracciati e aver salutato le proprie maestre, però succede, una cosa strana. “Non ci hanno portato in classe come gli altri anni – dice M. – ma abbiamo cantato”. Sulle note di Lo scriverò nel vento, si apre, infatti, il nuovo anno scolastico: alunni e alunne, docenti e collaboratrici, cantano insieme per rinnovare il senso di appartenenza alla propria scuola, intesa come comunità di apprendimento. “Abbiamo deciso che questo sarà uno dei riti che accompagnerà i bambini e le bambine nel nostro percorso – spiega Marta – perché nella scuola che vorremmo la ritualità è un valore irrinunciabile e molte volte dimenticato”.
Il canto è seguito da un’attività su planisfero: Traccia il viaggio della tua famiglia. La sede ha infatti il 90 per cento dei bambini e le bambine con genitori che vengono da altri Paesi, così l’incrocio dei fili colorati delle loro vite crea una nuova figura di mondo, e ancora la visione del filmato La Zattera, tratto dall’omonimo albo illustrato, fa riflettere il gruppo sul tema del partire, attraverso il racconto degli animali protagonisti che si imbarcano verso un paese lontano e sconosciuto. “E voi cosa portereste se doveste partire per un paese straniero? – chiede Carla – Io porto un cuore pieno di coraggio e curiosità perché se non conosco il paese dove andrò, dovrò essere coraggioso ma anche curioso per conoscerlo meglio”, “Io la bambola, perché la notte mi fa compagnia”; “Io il cane per non lasciarlo solo e coccolarlo”; “Io un’ascia per procurarmi da mangiare”. I tavoli dell’androne vengono riempiti con fili di lana e materiali di riciclo e i bambini e le bambine iniziano a realizzare il loro manufatto per il viaggio. Sono tutti concentratissimi e stranamente silenziosi e tra colla a caldo e carta da pacchi ecco che in qualche ora è pronta la mostra dei loro oggetti preziosi.
La fatica delle maestre in questi primi giorni di scuola è immensa, ma ripagata dalle emozioni nel vedere tutti i bambini insieme, uniti dal raggiungimento di obiettivi comuni: siano essi canti, danze, costruzioni o nuove competenze. “Ci sentiamo anche gratificate dal lavoro svolto insieme che ci permette di condividere metodologie, conoscenze, esperienze e stili di insegnamento – dice Marta – Il nostro intento è che questa idea di scuola non venga considerata un’eccezionalità, derivante dalle esigenze momentanee di un contesto problematico, ma che diventi una realtà educativa che possa ripetersi costantemente negli anni” dice Carla.
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Laura Fersini dice
Grazie ad Elena Fratini per averci raccontato questa esperienza che si fa nel quartiere Rebibbia. E grazie a quelle insegnanti.
Fa bene iniziare la giornata partendo da questa lettura.
carla fedele dice
Grazie grazie grazie per questa bella pagina di scuola viva che diffonde speranza.
Cinzia Coli dice
Lavorai in classi aperte parallele negli anni Ottanta, il motore furono due insegnanti che non dimenticherò. Fu un’esperienza bellissima.
Anna Maria dice
Bellissima iniziativa. La vera scuola.