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La politica di rimpatrio degli stranieri appartiene in Italia indistintamente a tutti i governi dal 2017 in poi che hanno investito nella detenzione amministrativa e nell’aumento del numero di Cpr (Centri per il rimpatrio) sino ad arrivare a ipotizzarne uno per ogni regione e portare la capienza a 1.395 posti nel 2022. Attualmente sono attive dieci strutture, di cui una non funzionante. Considerate dall’attuale governo come indispensabili al contenimento dell’”immigrazione irregolare” sono invece realtà assai problematiche e ingestibili al cui interno si moltiplicano atti di autolesionismo, disordini, proteste, rivolte. Strutture isolate e ben recintate che necessitano di continui interventi di manutenzione “straordinaria” che impediscono l’uso di gran parte dei posti, tanto che dal 2018 il sistema funziona al 50% della sua capacità effettiva e oltre il 60% dei quasi 15 milioni spesi per la manutenzione dei Cpr nel periodo 2018-2021 è stato utilizzato per interventi di manutenzione straordinaria. Ignorando le problematiche di questi luoghi di reclusione, i governi hanno comunque aumentato i termini di durata massima della detenzione: da 30 giorni nel 1998 a 18 mesi nel 2023. Questi i primi dati che emergono dall’indagine di ActionAid sui Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri redatta in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari che ha effettuato 51 richieste di accesso agli atti a ministero dell’Interno, prefetture, questure e a trenta richieste di esame.
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Dall’inchiesta di ActionAid emerge che esiste una correlazione diretta tra il prolungamento dei tempi di trattenimento e la crescita delle spese di manutenzione straordinaria e il succedersi dei capitolati di gara ha prodotto una progressiva riduzione dei più basilari servizi. Secondo l’attuale capitolato, ciascun detenuto ha a disposizione solo 9 minuti settimanali di assistenza sociale e supporto legale e 28 minuti di mediazione linguistica. A fronte di una così costante e consistente spesa, i servizi offerti sono invece considerevolmente ridotti se si confrontano ad esempio con le convenzioni stipulate dai comuni per i progetti SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione, ex-SPRAR), dove con cifre analoghe pro capite – 35 euro durante il ventennio dello SPRAR – le persone hanno diritto all’assistenza psicologica, corsi di lingua, inclusione sociale e certamente contesti abitativi più umani e dignitosi, dove in questo ventennio gli episodi di violenza e autolesionismo sono stati assolutamente irrilevanti.
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Un sistema ingovernabile, dunque, che non riesce a perseguire gli obiettivi che si era assegnato e la percentuale di persone rimpatriate rispetto al numero degli ingressi è in riduzione: dal 55,1% del periodo 2014- 2017 si passa al 48,3% nel 2018-2021. “In altre parole, l’investimento nei Cpr a partire dal 2017 ha solo prodotto una crescita dei costi umani e materiali delle politiche di rimpatrio… Si rimpatria di meno e in maniera sempre più coercitiva” si legge nel rapporto. La ricerca conferma i dati già pubblicati dalla Corte dei Conti dove, non tutti gli stranieri che fanno ingresso in un Cpr hanno la medesima probabilità di essere rimpatriati.
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Alcune nazionalità – tunisini, egiziani e albanesi – hanno una probabilità decisamente maggiore di essere rimpatriati, mentre altri sono destinati a rimanere più a lungo in detenzione a causa della scarsa probabilità di essere rimpatriati o rilasciati per provvedimento dell’autorità giudiziaria. Questo dipende principalmente dagli accordi bilaterali che l’Italia ha stilato con queste nazioni, accordi spesso informali che eludono così le competenze del parlamento europeo e nazionale in termini di monitoraggio e controllo. (ne abbiamo parlato qui: L’orrore dimenticato dei Cpr).
In particolare è interessante notare come la crescita del numero complessivo di rimpatri eseguiti nel periodo 2014-2017 non sia in alcun modo da correlarsi al ruolo giocato dai Cpr. Nel medesimo periodo in cui cresce il numero di rimpatri eseguiti, il numero di posti disponibili e i termini di permanenza massimi nei centri di detenzione raggiungono il minimo storico. Viceversa, a partire dal 2019 la percentuale di rimpatri effettuati dai Cpr sul totale dei rimpatri eseguiti cresce, ma questo non sembra essere l’effetto di un aumento dell’efficacia della politica di rimpatrio, bensì di una riduzione complessiva del numero di rimpatri effettuati.
Altro dato emerso è che i Cpr negli ultimi anni sono diventati un ingranaggio della macchina dei rimpatri accelerati effettuati direttamente dalle zone di frontiera e preoccupa la sempre maggiore diversificazione del sistema detentivo che rischia di portare a una moltiplicazione di strutture detentive non censite, situate in luoghi “idonei” o in aree militarizzate sottratte al controllo della società civile.
È ovvio perciò chiedersi che senso abbia allungare i tempi massimi di trattenimento, come è stato stabilito anche nell’ultimo decreto legge del 18 settembre 2023 dato che gran parte dei rimpatri effettuati a partire da un Cpr è eseguito molto rapidamente e nessuna delle nazionalità con la più alta incidenza di rimpatri eseguiti ha molte probabilità di restare in detenzione fino a decorrenza termini.
Le incongruenze non finiscono qua. Dal 2017 in poi si è lavorato per demolire un sistema di accoglienza – lo SPRAR – che è stato apprezzato e studiato in tutto il mondo come esempio di buone pratiche, un sistema sicuro che non lasciava spazio a gestioni dubbie o poco trasparenti e ora, nel nome della “sicurezza” si finanziano strutture amministrate da privati che poco o niente hanno di trasparente. Infatti, se è vero che le strutture detentive dipendono dal ministero dell’Interno e localmente dalle Prefetture, l’erogazione dei servizi alla persona è affidata a soggetti privati e l’affidamento della gestione dei Cpr viene fatto sulla base di contratti di durata annuale, rinnovabili una volta, in genere all’esito di procedura aperta. Il rapporto sottolinea che al maggio del 2023, la gestione del sistema detentivo per stranieri era in gran parte affidata a soggetti dichiaratamente for-profit, in alcuni casi delle vere e proprie multinazionali. In particolare, cinque aziende gestiscono, da sole o in associazione temporanea di impresa con cooperative sociali, ben sei dei dieci Cpr attualmente attivi sul territorio nazionale.
Entrando nel merito, il rapporto analizza i singoli casi di gestione e purtroppo il quadro generale diventa decisamente inquietante. Impossibile elencare tutte le abnormi anomalie gestionali ma l’esempio della cooperativa Badia Grande è tra i più emblematici e attualmente gestisce, in proroga dal 2021, il solo Cpr di Bari Palese. Tra il 2014 e il 2019, Badia Grande ha gestito il centro di Trapani Milo, che tra 2016 e 2017 ha funzionato come Hotspot, nonché gli Hotspot di Lampedusa, Ragusa, Messina, oltre a diverse altre strutture di accoglienza per richiedenti asilo. Da ultimo, Badia Grande è stata esclusa dalla gara per la gestione del Cpr trapanese a causa di illeciti quali frode nelle pubbliche forniture, falsità ideologica in atti pubblici e truffa ai danni dello Stato, ascritti al rappresentante legale. Per gli stessi motivi, la cooperativa è stata esclusa anche dalla gara per la gestione del Cpr di Gradisca d’Isonzo. Ma Badia Grande continua a gestire in regime di proroga il Cpr di Bari Palese in attesa della definizione della gara d’appalto bandita nel 2021 e l’attuale ente gestore del Cpr di Bari, la cui gestione è stata addirittura identificata come una best practice, è stato escluso dalla gara d’appalto nel 2022 a causa delle indagini avviate nei confronti del suo legale rappresentante e di altri responsabili della gestione del Cpr.
La politica italiana sembra comunque aver abbracciato la causa della detenzione senza se e senza ma ed è preoccupante oltre all’allarmante aumento dei costi umani ed economici della politica di rimpatrio, la costante riduzione della trasparenza e dell’accessibilità di luoghi dove le persone vengono private della libertà personale ma anche della propria dignità senza aver violato, occorre ricordarlo, alcuna legge penale.
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