L’Africa ha appena vissuto due annunci di colpi di stato: a fine luglio in Niger, a fine agosto in Gabon. Altri hanno scosso negli ultimi tre anni il panorama politico di quello che un tempo veniva chiamato il “cortile di casa” della Francia (Mali, Burkina-Faso, Ciad). Eppure per capire cosa accade in quei paesi e alla vita di ogni giorno di migliaia di donne e uomini occorre partire dall’Europa, dall’impresa coloniale francese e da quella successiva europea, dalla retorica dei leader francesi che non usano mai il termine guerra ma “operazione antiterrorismo”, dalla genesi del progetto di unione europea e dal suo stretto e ancora poco visibile legame con la colonizzazione per arrivare alla violenza esercitata nei confronti dei migranti di origine africana…

L’Africa ha appena vissuto due annunci di colpi di stato a distanza di un mese: a fine luglio in Niger, a fine agosto in Gabon. Seguono altri che hanno scosso il panorama politico di quello che un tempo veniva chiamato il “cortile di casa” della Francia: Mali (2020/2021), Burkina-Faso (2022) e Ciad nel 2021, Stato improvvisato perpetrato dal figlio del defunto presidente per succedergli e, a differenza degli altri due, sostenuto dalla Francia di Macron, presente ai funerali di Idriss Deby). Relativamente discreto nei confronti del Gabon (il cui presidente deposto, Ali Bongo, era stato nuovamente ricevuto nel 2021 a Parigi dal suo omologo francese), il governo francese, segnalato da una stampa mainstream in stato di guardia, ha menzionato, riguardo ai paesi del Sahel, un “sentimento antifrancese” e “manipolazioni da parte di potenze straniere” (leggi: Russia) per spiegare la sfiducia apertamente espressa dai soldati maliani, burkinabé e nigerini nei confronti dell’esercito francese, che ha già dovuto levare le tende dai primi due Paesi, mentre i nuovi leader nigerini chiedono che faccia lo stesso… (lundim)
I due libri di cui parleremo qui offrono, ciascuno a modo suo, versioni un po’ diverse di questa storia.
Le Mirage sahélien (Rémi Carayol)
Eurafrique. Aux origines coloniales de l’Union européennel
(Peo Hansen & Stefan Jonsson)
In effetti, è molto difficile capirne qualcosa se si ignora ciò che l’ha preceduta, prima l’impresa coloniale francese, poi quella europea. Come si capisce dal titolo, Rémi Carayol dedica il suo libro alla guerra condotta dalla Francia nel Sahel per un decennio. Se, come me, non avete seguito nel dettaglio questi avvenimenti dal 2013, data di lancio della cosiddetta operazione “Serval” in Mali, allora è necessario dare un rapido sguardo all’indietro per capire come si è svolta. “Inizia” – sì, la scelta di un “inizio” è arbitraria, ovviamente, ma difficilmente possiamo farne a meno, altrimenti dovremmo tornare molto indietro nel tempo – quindi inizia con Nicolas Sarkozy. Non ci soffermeremo qui sulle ragioni che lo hanno spinto a bombardare la Libia. Tuttavia, le conseguenze si sono fatte sentire fino ad oggi. Questo massiccio intervento militare sostenuto dalla Nato ha causato, tra le altre cose, la fuga di migliaia di combattenti tuareg precedentemente al servizio di Gheddafi. Questi veterani combattenti sono “ritornati” nel loro paese dove creano il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MNLA) con l’obiettivo di ottenere l’indipendenza di quello che considerano il loro paese, l’Azawad, vale a dire l’intero nord del paese. Mali, di cui, all’inizio del 2012, hanno investito le principali città: Ménaka, Kidal, Gao, Timbuktu. Questo successo dà idee – appetito – a diversi gruppi jihadisti (di musulmani salafiti), più o meno divisi ma che cooperano tra loro per affrontare i miscredenti dell’MNLA. Dal giugno 2012, questi ultimi sono stati sconfitti e al loro posto hanno preso il posto i jihadisti, che hanno imposto regole molto rigide nelle città occupate (divieto di ascoltare musica, velo integrale per le donne, giustizia piuttosto dura – ai ladri a Gao venivano tagliate le mani). All’inizio del 2013 si sono spostati verso sud e “la propaganda francese evoca una discesa su Bamako, capitale del Mali” (dice Carayol), cosa che sembra del tutto improbabile, ma sufficiente per accendere la miccia a Parigi e quindi per innescare l’operazione Serval (come sempre, “su richiesta del presidente maliano”): 5.000 soldati francesi, con supporto aereo e tutto il resto, vengono inviati immediatamente e riconquistano rapidamente il nord del Paese. Fine della storia? Nei vostri sogni! Nel 2014, François Hollande “l’africano” annunciò la fusione di Serval ed Épervier – una forza militare francese presente dal… 1986 in Ciad dove era stato schierata all’epoca da un altro François, Mitterand questo, per proteggere un altro dittatore, Hissène Habré, dalle incursioni provenienti dalla… Libia, sì, di già1. Il nuovo sistema si chiama Barkhane. Macron ne annuncia la fine il 9 novembre 2022, dopo che i soldati francesi avrebbero dovuto lasciare il Mali, senza abbandonare il campo: il presidente aggiunge infatti che “l’esercito francese continuerà a combattere nel Sahel e nel Golfo di Guinea in partenariato con paesi che lo desiderano” (Carayol)2.
Dopo un decennio di guerra, nessuno degli obiettivi francesi è stato raggiunto, tutt’altro: i jihadisti controllano aree in continua espansione in Mali, Burkina e Niger. Le alleanze temporanee stabilite dai francesi con questo o quel gruppo contro questo o quell’altro non facevano altro che peggiorare le cose, per non parlare del fatto che spesso i francesi dopo un po’ abbandonavano i loro alleati, lasciandoli inermi di fronte agli attacchi dei gruppi rivali. Di fronte all’insicurezza, gruppi di contadini e/o allevatori hanno cominciato a creare proprie milizie di autodifesa, che a quanto pare hanno dato origine a cicli mortali di vendette. Non sappiamo quante persone abbiano ucciso i soldati francesi – in ogni caso, le vittime africane sono state descritte principalmente come “terroristi” dall’esercito nei comunicati stampa ripetuti con compiacenza dai media francesi. Abbiamo appena parlato di qualche “errore” qua e là, come il bombardamento di un matrimonio in cui i militari, nonostante tutte le prove e i resoconti delle organizzazioni internazionali, si ostinano a sostenere che si trattava di un raduno di jihadisti… Sappiamo solo – ed ecco, nel dettaglio – il numero dei soldati francesi morti nelle operazioni. Basti dire che sono una cinquantina, mentre dall’altra parte (“jihadisti” o presunti tali) se ne contano centinaia, addirittura migliaia. Inoltre, la retorica dell’esercito e dei leader francesi non usa mai il termine guerra, ma “operazione antiterrorismo” – e questo fa pensare al termine di Putin “operazione militare speciale” a proposito dell’invasione dell’Ucraina.
L’interesse del libro di Carayol è raccontare tutto questo nel dettaglio, e anche farci capire cosa rende possibile tale infamia. E insiste, tra l’altro, sulla tradizione coloniale dell’esercito francese. Ci mostra soldati degli anni 2000 particolarmente esaltati dalle “imprese” dei loro predecessori dei tempi “eroici” della conquista coloniale. È da vomitare. Questi ragazzi sono gravemente malati. Si parla ancora di colonizzazione come di un’impresa per la civiltà di un continente altrimenti condannato all’oscurità. Carayol mostra anche come queste illusioni intrecciate abbiano avuto la precedenza sulla diplomazia e come i consiglieri militari dell’Eliseo e del ministero della Difesa abbiano emarginato il Quai d’Orsay (il ministero degli esteri e quindi i diplomatici). Bene, questo ricorda un po’ il divario tra polizia e giustizia, qui nella Francia continentale: si dice che i giudici siano “più gentili” degli sbirri… Quando vediamo come hanno trattato i rivoltosi lo scorso giugno e luglio, possiamo dubitarne3.
Della realtà di questa divisione tra soldati e diplomatici, il libro Eurafrique insegna anche a dubitarne. Ritorna alla genesi del progetto europeo e al suo stretto legame con la colonizzazione dell’Africa. A partire dal 1918 emersero movimenti “paneuropei”. I loro istigatori capirono che, con l’uscita esangue dal conflitto più sanguinoso della storia, che, inoltre ha vinto contro i vecchi «imperi centrali», le nazioni europee vedevano svanire la loro precedente supremazia mondiale. C’era posto per l’America da una parte, “Eurasia” dall’altra. L’unica possibilità di contare ancora negli equilibri di potere internazionali è quindi l’unità europea. Ma cos’è questa Europa, se non una piccola penisola del continente eurasiatico, sovrappopolata e priva di materie prime? Per fortuna conserva ancora un’eredità dell’epoca in cui dominava il mondo: l’Africa! Da allora in poi nacquero progetti “geopolitici” (il termine allora ebbe il suo periodo di massimo splendore). Hansen e Jonsson riportano nel loro libro, anche sotto forma di illustrazioni molto eloquenti, le farneticazioni della lobby coloniale dell’epoca – scopriamo l’Eurafrica, una potenza mondiale tra l’America e l’Eurasia. L’Africa può fornire all’industria europea le materie prime di cui ha bisogno. Può accogliere anche gli emigranti europei che finora tendevano ad andare in America. E, naturalmente, la colonizzazione porterà la civiltà nelle aree più remote del continente nero, il che richiederà giganteschi progetti infrastrutturali – una ferrovia da Berlino a Città del Capo, per esempio, o dighe sui principali fiumi africani, ecc. – e quindi… opportunità per l’industria e la manodopera europea (è quindi generalmente dato per scontato che l’Africa sia sottopopolata mentre l’Europa sia sovrappopolata). Insomma, come proclamano le lobby europeiste e coloniali: l’Europa non si creerà senza l’Africa e viceversa. Se il periodo 1918-1945 fu piuttosto dominato da queste lobby e da progetti più o meno utopici volti a promuovere l’unione euroafricana (uno di questi entusiasti arrivò addirittura a immaginare la costruzione di una diga sul Mediterraneo a Gibilterra e un’altra tra Sicilia e Tunisia, aprendo passaggi di guado tra i due continenti e portando a un abbassamento del livello del mare liberando milioni di ettari di terra coltivabile…), dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la questione dell’esistenza delle nazioni europee rimane probabilmente ancora più acuta che all’indomani della Prima. Il resto del libro è la storia assolutamente affascinante dei negoziati tra i vari paesi europei che portarono al Trattato di Roma (1957) dando vita alla Comunità Economica Europea (CEE). Potresti chiederti, durante la lettura, “chi è questo ragazzo che afferma di essere appassionato di storie come questa?!”, ma vi assicuro che questo libro è molto più di una semplice storia delle istituzioni europee4. Bisogna infatti rendersi conto che all’epoca, tra i sei paesi impegnati nell’approccio del “mercato comune”, alcuni avevano ancora delle colonie (la Francia in primis) e altri no. Da allora in poi, l’obiettivo dei francesi (soprattutto del Regno Unito, l’altro grande impero coloniale, che ha preferito giocare la carta del Commonwealth e dell’Alleanza Atlantica) fu quello di ottenere l’integrazione dei territori d’oltremare (i territori d’oltremare) nel mercato comune senza rinunciare alla propria sovranità su di essi. In cambio offriamo ad altri paesi la possibilità di investire e commerciare lì senza barriere doganali, come tra i Sei.
In effetti, il libro mostra che la questione dell’integrazione dei territori coloniali sarà il principale punto critico nei negoziati. Sarà superato grazie a diversi compromessi – in particolare, la limitazione degli spostamenti dei cittadini dei territori d’oltremare nell’Europa metropolitana, cittadini che saranno chiamati “lavoratori” e non “cittadini”, prolungando così la discriminazione coloniale tra europei e non-europei. Allo stesso tempo, se è vero che il successo di questo compromesso rappresentava una vera difficoltà, l’argomento Eurafrique è finito sulle prime pagine dei principali organi di stampa occidentali, come il New York Times o Le Monde. In breve, ho scoperto, da parte mia, quanto la questione coloniale fosse stata cruciale nei primi giorni della costruzione europea. E non credo di essere l’unico ad averlo ignorato finora. Infatti, come sottolineano i due autori nella loro conclusione, “all’alba degli anni Sessanta e alla vigilia dell’indipendenza ufficiale delle ex colonie africane, l’Eurafrica scomparirà rapidamente dai programmi politici e dalle discussioni del grande pubblico”. Perché? Qui Peo Hansen e Stefan Jonsson utilizzano un concetto proposto da Fredric Jameson: quello di un “mediatore evanescente” (vanishing mediator), ovvero “un catalizzatore storico che consente la transizione graduale da un periodo storico all’altro e da un paradigma di pensiero a quello successivo”.
In una prima fase – scrivono – gli stati coloniali d’Europa, in particolare la Francia, hanno capito che la sovranità coloniale poteva essere mantenuta in Africa solo collaborando con gli altri stati europei, cioè costruendo l’Eurafrique. Questa formazione euro-africana favorisce poi l’integrazione europea e una parziale europeizzazione del colonialismo. Una volta coordinati a livello internazionale la responsabilità degli investimenti in Africa e i benefici del commercio africano, il sistema eurafricano potrà abbandonare la sua connotazione coloniale e attingere ad altre fonti di legittimazione, ad esempio mobilitando il registro del “diritto internazionale” o dello “sviluppo”. Dopo aver compiuto questa mutazione, Eurafrique ha adempiuto alla sua funzione: la comunità appena costituita non ha più bisogno di essere attaccata a questa etichetta transitoria poiché è integrata come tale nell’ordine mondiale, un ordine postcoloniale in cui si regolano le relazioni tra Africa ed Europa, attraverso negoziati internazionali (convenzioni di Yaoundé e di Lomé5), ma in cui restano tuttavia intatte le strutture economiche ereditate dall’epoca coloniale. Tutto ciò è reso possibile dall’evanescente mediazione della formazione eurafricana, che ha la funzione, a posteriori, di preservare i rapporti di dominio esistenti attraverso un cambio di etichetta. Una volta adempiuta questa funzione, l’Eurafrique “scompare”, dando così l’impressione di una pausa o discontinuità storica – tra integrazione coloniale e postcoloniale, pre e post-europea, supremazia bianca e “partnership”, sfruttamento coloniale e “sviluppo”, “missione civilizzatrice” e “aiuto al Terzo Mondo”, rottura adeguatamente simboleggiata dall’annus mirabilis del 1957, segnato sia dall’adesione all’indipendenza di un primo territorio coloniale africano, il Ghana (5 marzo), sia dall’istituzione della comunità euroafricana dal Trattato di Roma (25 marzo). Così, in quanto mediatore evanescente, l’Eurafrique stessa ha prodotto le condizioni della propria scomparsa. Eppure, la transizione da un ordine mondiale coloniale dominato dall’Europa al regime globale del capitalismo internazionale non sarebbe stata possibile senza questa mediazione. »
3 settembre 2023, Franz Himmelbauer, per Antiopées.
Riferimenti
Rémi Carayol, Le Mirage sahélien. La France en guerre en Afrique. Serval, Barkhane et après ? éd. La Découverte, 2023.
Peo Hansen & Stefan Jonsson, Eurafrique. Aux origines coloniales de l’Union européenne, traduit de l’anglais par Claire Habart, éd. la Découverte, 2022 [2014].
Fonte: lundimatin (titolo originale Françafrique, suite et pas fin)
Traduzione di Salvatore Turi Palidda
Nota di Salvatore Turi Palidda
[Vedi anche Eurafrica. Le origini coloniali dell’Unione Europea e “Eurafrica. Le origini coloniali dell’Unione Europea || Prefazione – di Étienne Balibar”; Peo Hansen and Stefan Jonsson, Eurafrica: The Untold History of European Integration and Colonialism, Bloomsbury Publishing PLC, 2015; Peo Hansen et Stefan Jonsson, Eurafrique. Aux origines coloniales de l’Union européenne, préface d’Étienne Balibar, La Découverte, 2022].
Oltre alla riproduzione della rapina coloniale (di materie prime e del dominio finanziario ecc.), l’opinione pubblica africana vede nella violenza esercitata nei confronti dei migranti di origine africana e più in generale nel trattamento discriminatorio a cui è sottoposta la diaspora africana in Europa (e in particolare in Francia) uno dei segni più evidenti del perdurare del colonialismo. Questo è oggetto di “domande di trasformazione” nel rapporto che Achille Mbembe ha redatto su richiesta del presidente Macron in vista del «Nuovo Summit Africa-Francia» dell’8 ottobre 2021: Les Nouvelles Relations Afrique-France. Relever ensemble les défis de demain, ottobre 2021, serie dei «Rapporti pubblici» della Repubblica francese (scaricabile sul sito vie-publique.fr). Achille Mbembe è stato criticato per aver accettato tale incarico ufficiale, in particolare in un momento in cui le forme militari della presenza francese in Africa sono diventate chiaramente insopportabili. Si è difeso da alcune critiche in particolare sul sito AOC in un articolo intitolato «Afrique-France: la disruption» e vedi anche mediapart.fr e effimera.org). Macron ha accusato il colpo di stato in Niger di nazionalismo e sovranismo antidemocratico, non comprendendo che la rivolta contro l’egemonia francese si manifesta come ribellione alla falsa democrazia imposta con la forza e la corruzione dalla Francia. Purtroppo, in Africa come in altri paesi ex-colonie, la lotta per l’emancipazione si trascina nella melma che lascia il neocolonialismo camuffato con l’esportazione della democrazia e dei diritti umani e inquinata dal gioco che svolgono la Russia e le bande mercenarie.
Balibar, come anche gli autori del libro, non dicono molto su un fatto che nel secondo dopoguerra fu di cruciale importanza il cosiddetto fronte del non-allineamento, cioè dei paesi che cercavano uno spazio non succube o persino alternativo alle due superpotenze e al loro sistema bipolare (che nacque a Yalta). Esso fu sistematicamente sabotato e duramente osteggiato da questo sistema – anche con assassini e colpi di stato a non finire direttamente da parte degli Usa a ovest, in America Latina e in Asia e a Est nell’Urss ma anche in alcuni paesi indipendenti come l’Algeria da parte sovietica (si ricordi fra altri, l’assassinio di Patrice Lumumba e di Thomas Sankara ecc. da parte dei belgi, francesi e statunitensi, l’invasione dell’Ungheria, poi della Cecoslovacchia, la messa al bando della Jugoslavia di Tito ecc.), nonché gli omicidi di stato in India e altrove. Il Movimento dei non-allineati (NAM) nacque nel 1955 alla conferenza di Bandung, in Indonesia, ospitata dal Sukarno, su iniziativa di Josip Broz Tito (Jugoslavia), Jawaharlal Nehru (India), e Gamal Abd el Nasser (Egitto) capi dei paesi che rifiutavano di schierarsi con le due superpotenze della guerra fredda. Il NAM comprende 120 stati, più altri 17 stati osservatori che si considerano non allineati con, o contro, le principali potenze mondiali, quindi oltre due terzi di tutti gli stati del mondo; dal 2019 il segretario generale è il presidente dell’Azerbaigian. Fra tutti questi 120 stati la grande maggioranza se non tutti sono lungi dal poter essere considerati paesi che lottano con coerenza contro il neocolonialismo senza accettare ricatti e accordi di palese connotazione capitalista-liberista e neanche paesi che proteggono i loro abitanti dal punto di vista dei diritti umani, cioè contro forme di super-sfruttamento e neo-schiavitù, in particolare di bambini e donne. Di fatto le classi dominanti di questi paesi sono dei power-broker, nel senso di “mediatori di potere” in tutti i campi per conto del dominante straniero che prevale nella loro area, godendo in questo modo di un ceto benessere e profitto che viene pagato, appunto, dai super sfruttati.
1 Questa non è stata l’unica coincidenza tra queste operazioni militari in Ciad e Mali. Ricordo che uno degli spacciatori che esortarono Mitterrand a inviare aerei da combattimento per bombardare i nemici di Hissène Habré – che va ricordato non erano altri che i partigiani, rifugiati in Libia, del presidente Goukouni Oueddeï rovesciato da Hissène Habré con la sostegno della… Francia – è stato l’indescrivibile BHL, che lo ha fatto ancora con Sarko per ottenere il bombardamento della Libia…
2 In questo contesto la presenza in Niger è diventata ancora più importante. È forse per questo motivo che le autorità francesi rifiutano di dare ascolto all’ingiunzione della giunta nigerina che esige il ritiro dei soldati francesi dal suo territorio, trasformando di fatto il loro corpo di spedizione in un esercito di occupazione.
3 A difesa dei diplomatici, diremo che i politici (il potere esecutivo, che qui porta giustamente il suo nome) non sono migliori. Vedi invece François Hollande che dichiarava a Bamako, il 2 febbraio 2013, mentre era circondato da una folla giubilante esultante per la “vittoria” dei militari francesi sugli jihadisti, che stava vivendo “il giorno più importante della [sua] vita politica”.
4 In più, cosa non guasta, è scritto bene e tradotto ottimamente. Non ti annoierai nemmeno un secondo mentre lo leggi.
5 Accordi per aggiustare le condizioni del libero-scambio tra la CEE e un certo numero di paesi detti «del Terzo mondo», che prolungano e estendono di fatto l’accordo iniziale del Trattato di Roma.
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