C’è solitamente uno scarto crescente tra le prime versioni ufficiali sulle stragi del Mediterraneo – per le quali portano comunque enormi responsabilità gli Stati nazionali e l’Unione Europea – e quanto dichiarato dai superstiti, e oggi, nel caso di Cutro anche con i primi accertamenti da parte della magistratura inquirente, scrive Fulvio Vassallo Paleologo, giurista e militante antirazzista da decenni. Uno scarto tra dichiarazioni ufficiali e realtà dei fatti che porta a dubitare fortemente della veridicità delle versioni fornite in Grecia dalla Guardia costiera e nel caso di Cutro dalla Guardia di Finanza, dalla Guardia costiera e dal Ministero dell’interno. Tra la strage di Steccato di Cutro e il naufragio del peschereccio affondato il 14 giugno scorso nello Ionio, 45 miglia a sud-ovest di Pilos, seppure nella diversità della dinamica degli eventi, ci sono elementi comuni che devono essere indagati a livello internazionale e a livello europeo. Prima che le autorità nazionali allontanino i testimoni e disperdano le prove della loro responsabilità, concentrando tutta l’attenzione generale sugli arresti dei presunti scafisti. A differenza di quanto finora avvenuto in Italia, quando in Grecia si tratta di indagare sulle attività di ricerca e salvataggio condotte da corpi militari, non si è mai riusciti ad accertare responsabilità istituzionali. Ma anche in Italia diventa sempre più difficile, come è confermato dalle udienze dibattimentali del processo Salvini a Palermo
1.Tra la strage di Steccato di Cutro e il naufragio del peschereccio affondato il 14 giugno scorso nello Ionio, 45 miglia a sud-ovest di Pilos, seppure nella diversità della dinamica degli eventi, ci sono elementi comuni che devono essere indagati a livello internazionale, ed a livello europeo. Prima che le autorità nazionali allontanino i testimoni e disperdano le prove della loro responsabilità, concentrando tutta l’attenzione generale sugli arresti dei presunti scafisti. A differenza di quanto finora avvenuto in Italia, quando in Grecia si tratta di indagare sulle attività di ricerca e salvataggio condotte da corpi militari, non si è mai riusciti ad accertare responsabilità istituzionali. Ma anche in Italia diventa sempre più difficile, come è confermato dalle udienze dibattimentali del processo Salvini a Palermo.
Intanto la grossa imbarcazione da diporto che aveva trasferito nel porto di Kalamata i superstiti è stata fatta ripartire con l’allontanamento di importanti testimoni dei fatti. Rimane oscura la ragione per cui il barcone, proveniente da Tobruk e diretto in Italia, sia passato tanto vicino alle coste del Peloponneso. La rotta del peschereccio potrebbe spiegarsi con il fatto, noto da tempo, che in caso di imbarcazioni tanto grandi gli scafisti passano a qualche decina di miglia dalla costa greca, pur rimanendo in acque internazionali ben oltre il limite 12 miglia dalla costa, per abbandonare il comando dei barconi a qualche disperato e fuggire verso terra, in modo da farla franca con tutti i soldi che hanno incassato.
In entrambi i casi, con il passare delle ore, si riscontra uno scarto crescente tra le prime versioni ufficiali e quanto dichiarato dai superstiti, e oggi, nel caso di Cutro anche con i primi accertamenti da parte della magistratura inquirente. Uno scarto tra dichiarazioni ufficiali e realtà dei fatti che porta a dubitare fortemente della veridicità delle versioni fornite in Grecia dalla Guardia costiera e nel caso di Cutro dalla Guardia di Finanza, dalla Guardia costiera e dal Ministero dell’interno. Dai primi rilievi istruttori della Procura che sta indagando sulla strage del 26 febbraio sembra addirittura che almeno una delle motovedette che “venivano costrette al rientro” per il peggioramento delle condizioni meteo, in realtà non fosse mai uscita dal porto. Adesso non basterà più addossare tutte le responsabilità sugli scafisti, o sugli stessi naufraghi che avrebbero “rifiutato” i soccorsi o avrebbero nascosto la loro presenza. Stessa accusa rivolta dopo la strage di Steccato di Cutro, e ripresa oggi dalla guardia costiera greca per giustificare il mancato e, alla fine, tardivo intervento di soccorso. Come ha affermato Vincent Cochetel rappresentante dell’UNHCR per il Mediterraneo centrale, “this boat was unseaworthy & no matter what some people on board may have said, the notion of distress cannot be discussed.”. La nozione di distress, che impone un intervento immediato di salvataggio, in altri termini, non può essere oggetto di discussione tra naufraghi e soccorritori. Le persone vanno comunque messe in sicurezza, anche con il lancio di giubbetti salvagente, e trasbordate nel più breve tempo possibile. Come fanno le ONG, anche se vengono accusate di essere intervenute troppo presto, quando ancora le imbarcazioni sarebbero in “buone condizioni di navigabilità”. Magari con lo stesso sovraccarico che ha contribuito a produrre le ultime stragi.
2. Dai racconti dei superstiti sbarcati nel porto greco di Kalamata si è appresa la notizia che i naufraghi non avevano affatto respinto l’assistenza offerta dalla Guardia costiera greca, che anzi- secondo quanto dichiarato da alcuni sopravvissuti- aveva agganciato con una fune il peschereccio ed aveva tentato di allontanarlo dalle coste greche, forse verso la zona SAR maltese. Un video delle dichiarazioni dei superstiti, ripreso da una delegazione parlamentare greca, rende poco credibili future ritrattazioni, indotte magari dalla promessa di un trasferimento più rapido nei paesi del norderuopa, la vera meta di molti dei migranti salpati da Tobruk per raggiungere le coste italiane. Del resto, per la Guardia costiera greca è prassi ricorrente agganciare i barconi carichi di migranti nel mare Egeo e abbandonarli dopo averli trainati verso le coste turche. Solo che nello Ionio queste operazioni di rimorchio sono più complesse, le distanze maggiori e le probabilità di naufragio per lo sbandamento del barcone rimorchiato in condzioni di grave sovraccarico, diventano certezza. Secondo alcune fonti (ANSA) il naufragio sarebbe avvenuto a 60 miglia dalle coste greche, se ciò fosse vero, ancora più vicino al limite della zona SAR maltese. Anche se il traino fosse avvenuto verso le costre greche, si sarebbe comunque trattato di una scelta che avrebbe comunque comportato il naufragio di un peschereccio tanto carico. Su queste circostanze, che potrebbero avere determinato la morte di centinaia di persone, occorre una indagine indipendente. Ed una valutazione politica che vada oltre il procedimento penale. La prassi di affidare alle navi commerciali, che pure vanno coinvolte, attività di ricerca e soccorso, ritardando l’intervento degli assetti navali ed aerei militari, ha già prodotto troppe vittime.
Fonte: OSINT via Radio Radicale
Sia nel caso della strage di Cutro, che in occasione di quest’ultimo naufragio,i primi avvistamenti sono stati effettuati -alle ore 9,47 del 13 giugno– da assetti aerei impiegati nell’operazione Themis di Frontex, che hanno trasmesso gli allarmi al Centro di coordinamento internazionale, che ha poi avvertito i centri di coordinamento nazionali. Da qui avrebbero dovuto essere immediatamente avviate operazioni di ricerca e salvataggio, che invece sono partite con diverse ore di ritardo, attività coordinate dagli MRCC o dai JRCC (Centrali di coordinamento della Guardia costiera o Centri congiunti di ricerca e soccorso), che non sono frutto di “accordi” con i naufraghi che “consentono” di essere salvati, ma attività dovute dagli Stati, per adempiere gli obblighi di soccorso sanciti dalle Convenzioni internazionali. Come l’Italia, anche la Grecia e Malta che si avvalgono di operazioni Frontex, e le inseriscono nelle loro attività di law enforcement (contrasto dell’immigrazione irregolare) in acque internazionali rientranti nella zona SAR (ricerca e salvataggio) di loro competenza, assumendosene la responsabilità operativa, sono tenute al rispetto del Regolamento europeo n.656 del 2014, Che rende vncolanti per tutti gli agenti statali gli obblighi di soccorso stabiliti dalle Convenzioni di diritto internazionale del mare, richiamate dal Manuale IMO IAMSAR, e trasfuse, nel caso dell’Italia, nel Piano SAR nazionale del 2020.
Nel caso della strage di Steccato di Cutro appare singolare che Frontex abbia accreditato nel suo comunicato la prima versione dei fatti fornita dalla Guardia di finanza, secondo cui due motovedette sarebbero uscite in mare e poi si sarebbero trovate costrette a rientrare per le cattive condizioni meteo. Sembra invece che in quella notte le stesse motovedette sarebbero rimaste ancorate in porto. Un aspetto oscuro su cui sta indagando la magistratura italiana, ma di cui anche Frontex, se ha condiviso con un comunicato notizie false, dovrebbe rendere conto a livello europeo. Una ragione in più per una inchiesta a livello internazionale.
3. Secondo l’art.7 del Regolamento Frontex (Guardia di frontiera e costiera europea) n.1896, che richiama per intero il precedente Regolamento n.656 del 2014 “La guardia di frontiera e costiera europea attua la gestione europea integrata delle frontiere come responsabilità condivisa tra l’Agenzia e le autorità nazionali preposte alla gestione delle frontiere, comprese le guardie costiere nella misura in cui svolgono operazioni di sorveglianza delle frontiere marittime e qualsiasi altro compito di controllo di frontiera. Gli Stati membri mantengono la responsabilità primaria della gestione delle loro sezioni di frontiera esterna”.
Secondo l’art. 5 ( Localizzazione) del Regolamento Frontex n.656 del 2014 ” Una volta localizzato, le unità partecipanti avvicinano il natante sospettato di trasportare persone che eludono o hanno l’intenzione di eludere le verifiche ai valichi di frontiera o di essere utilizzato per il traffico di migranti via mare per gli accertamenti di identità e nazionalità e, in attesa di altre misure, sorvegliano tale natante a prudente distanza prendendo tutte le dovute precauzioni. Le unità partecipanti raccolgono e comunicano immediatamente le informazioni su tale natante al centro internazionale di coordinamento, comprese, se possibile, quelle sulla situazione delle persone a bordo, in particolare se sussiste un rischio imminente per la loro vita o se vi sono persone che necessitano di assistenza medica urgente. Il centro internazionale di coordinamento trasmette tali informazioni al centro nazionale di coordinamento dello Stato membro ospitante”.
Secondo l’art. 9 del Regolamento UE n.656 del 2014 “se, nel corso di un’operazione marittima, le unità partecipanti hanno motivo di ritenere di trovarsi di fronte a una fase di incertezza, allarme o pericolo per un natante o qualunque persona a bordo, esse trasmettono tempestivamente tutte le informazioni disponibili al centro di coordinamento del soccorso competente per la regione di ricerca e soccorso in cui si è verificata la situazione e si mettono a disposizione di tale centro di coordinamento del soccorso”
In Italia, presso la direzione centrale dell’immigrazione, al ministero dell’interno, è istituita una cabina di regia unica, (Centro nazionale di coordinamento per l’immigrazione (National Coordinantion Center – ncc) ove nell’ambito delle attività previste dal Regolamento EUROSUR, operano in stretta collaborazione, oltre ai rappresentanti della polizia di stato anche gli operatori della Guardia di finanza, dei carabinieri, della capitaneria di porto, nonché della Marina militare, conformemente al quadro legislativo nazionale ed europeo. Esiste anche una centrale di coordinamento della Guardia di finanza che si interfaccia direttamente con Frontex.
4. Non sarà dunque possibile continuare ancora ad addossare responsabilità esclusivamente su Frontex, che pure ne ha ed anche gravi, e su questo riparto di responsabilità è già intervenuta la Commissione Europea. Adesso tocca ai parlamentari europei approfondire la ricerca delle responsabilità di naufragi che vedono direttamente coinvolta anche l’agenzia Frontex che effettua per prima gli avvistamenti aerei. Perchè oltre alle responsabilità penali di natura personale su cui indaga la magistratura inquirente, ci possono essere gravi responsabilità politiche che altrimenti sfuggirebbero alle indagini, e potrebbero contribuire ancora in futuro a determinare altre stragi e tante vittime disperse in mare. Non saranno certo le richieste al generale Haftar di bloccare le partenze verso l’Italia che ridurranno il numero di disperati costretti a fuggire anche dalla Libia, dopo la dura repressione avviata nei loro confronti proprio dallo stesso generale Haftar al quale si rivolge il governo italiano.
5. Il Mare Ionio è caratterizzato anche, come il Mediterraneo centrale settore oreintale dalla presenza della operazione IRINI di Eunavfor Med, che è pure soggetta agli obblighi di soccorso del Regolamento 656/2014/UE, ma che viene destinata a prevalenti funzioni di contrasto del contrabbando di armi e petrolio, e non risulta impegnata massicciamente contro le migrazioni irregolari, e ancora meno in attività di ricerca e salvataggio, anche perchè i movimenti dei suoi assetti navali sono tenuti invisibili in quanto coperti da segreto militare. Una ragione in più per indagare su attività di navi (ed aerei) che non possono non vedere le imbaracazioni cariche di migranti che si dirigono attraverso lo Ionio meridionale verso le coste italiane. Ma vedere non significa sempre intervenire, evidentemente.
Fonte: OSINT via Radio Radicale
6. La ripartizione delle zone SAR (di ricerca e salvataggio) tra Egitto, Grecia, Cipro, Malta, Italia, ed a sud Libia e Tunisia) non è affatto pacifica, ed in molti casi costituisce giustificazione per l’aggiramento del divieto di respingimenti collettivi, sancito dall’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, e dell’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. E’ poi inaccettabile che la Grecia, Malta e l’Italia eludano il detttato della sentenza Hirsi della Corte europea dei diritti dell’Uomo, limitandosi ad intervenire nella propria zona SAR, delegando alle motovedette turche o libiche il compito di “soccorrere” i migranti bloccati in acque internazionali e riportarli quindi a terra verso porti che non sono sicuri.
7. Occorre ridefinire la nozione stessa di paese terzo sicuro, con riferimento agli sbarchi delle persone soccorse in mare, in particolare nel caso della Turchia, bloccando i tentativi per riconoscere la Libia, o singole parti del suo territorio come “place of safety“, o arrivando ad una nuova legislazione europea, in forma probabilmente di un Regolamento, che preveda la deportazione degli immigrati irregolari o denegati dopo le procedure in frontiera verso paesi di cui non sono cittadini ma da cui sono transitati. Il modello dei rapporti tra Grecia e Turchia non è replicabile nel Mediterraneo centrale. Nessun accordo bilaterale prevede ancora questa possibilità sulla quale i principali paesi terzi, su cui gli Stati europei stanno facendo pressione, hanno risposto negativamente. Le stragi più recenti dimostrano invece quali siano le conseguenze di avere ritenuto la Turchia un “paese terzo sicuro” da finanziare perchè si riprendesse una parte dei profughi di guerra siriani, afghani ed iracheni giunti in Grecia. Una “dichiarazione” intergovernativa stipulata nel 2016 che continua ancora oggi a produrre effetti letali. Perchè dopo ogni accordo di questo tipo, che prevede respingimenti collettivi e detenzioni arbitrarie nei punti di frontiera esterna, le rotte migratorie diventano più lunghe e pericolose, a vantaggio soltanto dei trafficanti che alzano il prezzo della traversata.
8. Per tutte queste ragioni, mentre le autorità inquirenti dei singoli paesi porteranno avanti le loro indagini sulle stragi, anche in acque internazionali, occorre avviare una inchiesta a livello europeo, in sede di Parlamento europeo o da parte della Commssione, sulle attività di Frontex e di Eunavfor Med nel Mediterraneo centrale, ed in particolare nel mare Ionio, con la finalità di accertare, da parte di Frontex e dei singoli Stati, il pieno rispetto degli obblighi di ricerca e soccorso, dunque di salvaguardia della vita umana in mare, sanciti dalle Convenzioni internazionali del mare. Da interpretare, come ricorda l’UNHCR, alla luce del diritto dei rifugiati che vieta il respingimento verso paesi non sicuri (art.33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati). Certo il tempo per indagini che rimane per questa legislatura europea non è molto ed il prossimo anno si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo. Ma occorre evitare che questa materia diventi ancora una volta oggetto di propaganda elettorale sulla pelle delle vittime che continuano a scomparire negli abissi del Mediterraneo. Perchè dagli esiti del Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo si è compreso che la prossima campagna elettorale europea sarà caratterizzata, in quasi tutti i paesi UE, da un attacco generalizzato delle destre su questi temi. Con il consueto ricorso a falsificazioni ed a notizie che diffondano la paura e nascondano i costi umani (e le opportunità perdute) delle politiche di sbarramento delle frontiere della fortezza Europa. Occorre un Patto europeo sui soccorsi in mare, che non limiti gli intrventi del soccorso civile, non certo una nuova disciplina sui respingimenti verso paesi terzi, che, in assenza di una loro condivisione, resterebbe lettera morta.
Piuttosto che intensificare la collaborazione con paesi che non rispettano i diritti umani e non sono neppure in grado di gestire nel rispetto del diritto internazionale la zona SAR che gli viene riconosciuta, occorre accrescere le capacità di soccorso ed il coordinamento delle attività SAR da parte degli Stati costieri appartenenti all’Unione Europea. Gli Stati membri non si possono limitare ad operare attività di ricerca e salvataggio soltanto all’interno della propria zona SAR, anche se prprio nello Ionio sono numerosi gli interventi dei guardiacoste italiani nella zona SAR maltese. Ma tra Malta ed Italia gli accordi rimangono spesso sulla carta, ancora oggi, come ai tempi della strage dell’11 ottobre 2013.
Accanto alle iniziative dei Parlamentari europei ai quali chiediamo un maggiore impegno per fare luce su queste stragi e per impedire riforme legislative che rallentino ulteriormente i soccorsi operati da imbarcazoni della società civile, sarà fondamentale una mobilitazione permanente dei cittadini solidali ed una circolazione continua tra le sponde del Mediterraneo di tutte le informazioni riguardanti i soccorsi in mare, i casi di abbandono, i respingimenti collettivi o su delega alle guardie costiere di paesi terzi. Per creare trincee di resistenza civile e di difesa attiva contro la martellante campagna politica, amministrativa (adesso, ancora una volta, con i fermi amministrativi delle navi umanitarie), e mediatica, che si continua a scatenare dopo qualunque intervento di solidarietà e di soccorso in mare. Occorre battersi per garantire il rispetto degli obblighi di ricerca e salvataggio sanciti a livello internazionale ed europeo. Anche su questa materia una Commissione di inchiesta sulle stragi in mare nel Mediterraneo centrale, ed in particolare nello Ionio, potrà riconoscere la legittimità e la necessità, anzi, degli interventi del soccorso civile. Ma la questione non si risolve soltanto con i procedimenti penali. E’ ormai necessario aprire canali legali di ingresso, sia per lavoro che per richiesta di protezione, con una diversa politica dei visti. Ed a questa conclusione politica dovrebbe tendere una indagine sulle stragi in mare.
Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM) questa ultima strage“rafforza l’urgenza di un’azione concreta e globale da parte degli Stati per salvare vite umane in mare e ridurre i viaggi pericolosi ampliando percorsi sicuri di migrazione regolare”.
Sarebbe tempo che su questi temi l’Unione Europea dimostri di non essere ancora giunta al suicidio politico e morale. Ocorre agire presto, per accertare verità sui fatti e dare giustizia alle vittime. Oltre alla doverosa salvaguardia del diritto alla vita, per difendere i valori della solidarietà e del rispetto della dignità umana, in una parola la democrazia, in Europa e nei singoli Stati che ne fanno parte. Ed anche per un riconoscimento effettivo dei diritti fondamentali e della dignità della persona migrante nei paesi di transito e nelle acque internazionali.
Nota alla stampa del Centro Astalli
Naufragio nell’Egeo: un’ecatombe annunciata
Un peschereccio con a bordo 700 migranti, partito dalla Libia e diretto in Italia, è naufragato provocando decine di morti e dispersi. Avvistato e avvicinato giorni fa a largo della Grecia non è stato soccorso né portato in salvo.
Nell’esprimere profondo cordoglio e dolore per le vittime che si continuano a contare in queste ore, il Centro Astalli non può far a meno di sottolineare che si tratta di un’ecatombe che l’Europa avrebbe potuto e dovuto evitare.
A pochi giorni dal nuovo Patto UE per la migrazione e l’asilo, la vacua retorica securitaria e l’ipocrita propaganda emergono davanti al terribile naufragio in cui hanno perso la vita esseri umani in cerca di salvezza.
Si continua a morire alle frontiere d’Europa perché:
– non vi è un’azione comune di ricerca e soccorso dei migranti ma si continuano a investire risorse sulla chiusura e l’esternalizzazione delle frontiere, facendo accordi con Paesi di transito illiberali e antidemocratici.
– manca la volontà degli Stati europei di istituire vie d’accesso legali e sicure per chi cerca protezione in Europa, unico vero strumento per contrastare il traffico e la tratta di esseri umani;
– non si ha il coraggio e l’intelligenza politica di varare un piano europeo per l’accoglienza e la redistribuzione di richiedenti asilo e rifugiati nei 27 Stati membri che superi il Regolamento di Dublino e che non sia gestito solo su base volontaria.
P. Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli:
“L’Europa continua a proteggere i confini e a difendersi da coloro che sono le vittime di un mondo ingiusto. Dovremmo aver imparato negli anni, ormai troppi, che non si fermano gli arrivi ostacolando le partenze, rendendo più difficoltosi i viaggi. L’unico risultato di queste politiche è l’aumento delle morti alle frontiere. La drammatica e cinica conclusione di questo agire è che di fatto riteniamo alcune vite sacrificabili”.
Mauro Matteucci dice
I governi nascondono dietro infami menzogne un agire disumano!