La Convenzione Onu in materia elenca chiaramente gli obblighi istituzionali, che però vengono regolarmente disattesi dai Paesi Ue. Le persone morte o disperse nel Mediterraneo tra il 2014 e il 2022, secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, sono state 25.390 (missingmigrants.iom.int). La violenza degli attacchi politici e mediatici contro le Ong si deve soprattutto al fatto che il loro impegno mette in luce clamorosamente le violazioni e le omissioni sul soccorso in mare di chi non potrebbe certo permettersi di metterle in atto. La rubrica di Gianfranco Schiavone su Altreconomia
Il logoro dibattito italiano sui soccorsi in mare e sul ruolo delle Ong produce l’effetto di nascondere proprio le questioni più rilevanti sugli obblighi di soccorso e sulla responsabilità degli Stati. La Convenzione Onu sul diritto del mare del 1992 (Unclos) all’articolo 98 dispone che “ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali”.
Il sistema dei soccorsi deve quindi essere “adeguato ed efficace” rispetto alla concreta realtà da gestire. Se, per qualsiasi ragione, naturale o umana, il rischio di naufragi è particolarmente elevato in una data area marittima e in un determinato periodo e contesto, il sistema dei soccorsi deve essere adeguato alle circostanze reali in modo da conseguire l’unico obiettivo previsto dalla norma: salvare il maggior numero di vite dal rischio di naufragi. Nello stesso articolo della Convenzione si richiede altresì che “ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa”.
Le diverse analisi e proposte su come contenere o trovare un’alternativa alle migrazioni (forzate e non) che avvengono su rotte marittime mortali, possono far parte di un orizzonte di legittimo dibattito politico, che però non deve incidere sull’obbligo inscalfibile di apprestare un sistema efficace di soccorsi, obbligo che non può essere né circoscritto, né limitato né assoggettato ad altre finalità.
L’Unclos è stata ratificata dall’Unione europea con la decisione 98/392 del Consiglio. Ciò significa che l’Ue, in tutte le sue articolazioni istituzionali, è vincolata agli obblighi previsti dalla Convenzione. Alla luce dei dati sui morti in mare (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima in 3.231 le persone morte in mare nel 2021, facendo salire a 25.390 il totale tra il 2014 e il 2022) appare evidente che né l’Italia né l’Unione europea stiano dando attuazione all’obbligo di allestire un sistema di soccorso adeguato ed efficace nel Mediterraneo.
Elspeth Guild, docente di Legge alla Queen Mary University di Londra, e Valsamis Mitsilegas, professore all’Università di Liverpool, nel loro breve ma denso articolo “The duty of the Eu to criminalise failure to rescue at sea” (pubblicato il 23 dicembre 2022) hanno evidenziato come l’Unione, sulla base delle competenze a essa attribuite dal Trattato sul funzionamento dell’Ue, dovrebbe adottare una specifica Direttiva che criminalizzi ogni azione contraria alla Unclos.
Si tratta di un’analisi tanto giuridicamente fondata quanto politicamente irrealizzabile perché sia i singoli Stati sia l’Unione europea finirebbero sul banco degli imputati per non avere agito per mettere in atto la Convenzione e per imporre ostacoli alle organizzazioni umanitarie. Viene dunque alla luce la ragione più profonda e terribile dell’avversione violenta che molti movimenti politici e alcuni governi, tra cui l’attuale esecutivo italiano, hanno verso le Ong impegnate nel soccorso nel Mediterraneo. Si tratta di un’avversione verso chi attua il principio inderogabile del salvataggio in mare e che con il proprio operato rende visibili le omissioni e le violazioni delle leggi da parte dei pubblici poteri.
Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste
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