Mai nessun fenomeno sociale ha avuto l’attenzione mediatica che ha avuto il Covid. In Italia, più di altri paesi, l’informazione ha visto da subito l’emergere di una logica binaria con la quale molti punti di vista sono stati brutalmente silenziati. Pensiamo, ad esempio, a chi ha criticato l’approccio meramente epidemiologico della sindemia, a coloro che hanno messo in discussione il binomio lockdown-vaccino come unica strada da perseguire, trascurando completamente i temi della prevenzione primaria, delle cure precoci, della sanità territoriale, della messa in sicurezza in base ai fattori di rischio. Quella narrazione dicotomica e totalizzante, riprodotta in occasione della guerra in Ucraina, è figlia prima di tutto del dominio della tecnocrazia, che richiede una forma di fede, in nome di un razionalismo di stampo scientista, e l’affidamento completo a esperti. Finalmente un libro approfondisce con coraggio e lucidità questi temi offrendo un approccio transdisciplinare: si tratta di Dissenso informato, curato per Castelvecchi da Elisa Lello e Niccolò Bertuzzi (con interventi di Sara Gandini, Andrea Miconi, Francesca Capelli, Giampietro Gobo, Stefano Boni, Thomas Fazi, Luca Raffini, Nicola Matteucci, Eduardo Missoni, Barbara Osimani, Maria Laura Ilardo, Andrea Saltelli, Ivan Cavicchi, e la prefazione di Vittorio Agnoletto)


«Bisogna trovare delle modalità meno democratiche nella somministrazione dell’informazione, in una situazione di guerra si devono accettare delle limitazioni alle libertà». Queste parole, già ricordate nella prefazione di Vittorio Agnoletto e che suonerebbero inquietanti persino se pronunciate da un comune cittadino, sono state utilizzate il 27 novembre 2021 da Mario Monti, in prima serata durante la nota trasmissione In Onda su La7. Si riferivano – è doveroso precisarlo a qualche mese di distanza – all’emergenza Covid-19 e non a più recenti scenari bellici. […]
Le frasi di Monti hanno provocato un certo dibattito, e le critiche non sono mancate. Vogliamo fermarci brevemente su due aspetti. In primo luogo il parallelo bellico. Nei giorni in cui Monti pronunciava queste parole eravamo nel pieno della recrudescenza del virus, con la variante Omicron che spopolava in Italia e nel resto d’Europa. Le sirene del conflitto fra Russia e Ucraina erano relegate a chi si interessasse di relazioni internazionali e geopolitica. Nessuna guerra si affacciava realmente nel dibattito pubblico. […] A fine novembre 2021 la metafora guerresca di Monti non sembrava dunque così offensiva come sarebbe parsa soltanto qualche mese più tardi. Tuttavia, quella metafora è stata utilizzata fin dall’inizio della tragedia pandemica. Da febbraio 2020 si è parlato di “guerra al virus”, “guerrieri”, “trincee”, “eroi”, “disertori”, “nemici” e altri termini più o meno afferenti a questo orizzonte semantico. Solitamente – aspetto non trascurabile – la metafora si accompagnava a simboli (positivi o negativi) incarnati da singoli individui, all’interno di un discorso di responsabilizzazione del cittadino e di dicotomia buoni/cattivi che ha caratterizzato tutta la comunicazione pandemica.
Il secondo elemento su cui occorre spendere poche parole in riferimento alla frase di Mario Monti riguarda proprio chi l’ha pronunciata. Al netto del giudizio sul suo operato politico, il presidente dell’Università Bocconi rappresenta plasticamente l’immagine della moderazione nell’immaginario politico/mediatico italiano, tanto da essere stato un papabile candidato alla presidenza della Repubblica. […] En passant, qualche settimana più tardi, lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella (rappresentante non solo dell’unità nazionale, ma anch’egli simbolo di pacatezza, moderazione e spirito democratico) esprimeva concetti piuttosto simili durante la cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i rappresentanti delle istituzioni, delle forze politiche e della società civile, denunciando lo «sproporzionato risalto mediatico» offerto a coloro che non avessero adempiuto alla «ordinata adesione a quanto indicato nelle varie fasi dell’emergenza dai responsabili, ai diversi livelli».
Le frasi di Monti e Mattarella, preoccupanti per la loro freddezza e per la percepita moderazione di chi le ha pronunciate, impallidiscono di fronte ad affermazioni esplicitamente violente usate da figure mediatiche e rappresentanti politico/istituzionali nei confronti dei cosiddetti “no vax”1 o più semplicemente di chi abbia osato contestare (o più semplicemente aprire un dibattito) nei due anni di emergenza pandemica. Giusto per fissare qualche frase a futura memoria, si ricorda il «mi divertirei a vederli morire come mosche» del giornalista Andrea Scanzi, il «verranno messi agli arresti domiciliari, chiusi in casa come sorci» del virologo Roberto Burioni, il «se fosse per me costruirei anche due camere a gas» della cardiologa Marianna Rubino, i «campi di sterminio per chi non si vaccina» del suo collega Giuseppe Gigantino, il «serve Bava Beccaris, vanno sfamati col piombo» dell’esponente di +Europa Giuliano Cazzola. Queste sono solo alcune frasi che hanno adottato registri esplicitamente violenti, certamente bellici, negli ultimi anni.
Ci teniamo a precisare che anche sull’altro fronte non sono certo mancate le frasi violente, l’uso di registri aggressivi ed epiteti denigranti nei confronti degli oppositori. Con la differenza, fondamentale, data dall’asimmetria di potere e rappresentanza mediatica tra le due parti, nonché dal fatto che, nell’attacco contro i dissenzienti dell’obbligo vaccinale, siano stati i rappresentanti delle istituzioni politiche e sanitarie a sdoganare forme finora inimmaginabili di hate speech. Quest’ultimo, tuttavia, rimane esecrabile da qualunque parte provenga. Non tanto (o non solo) per un “banale” senso di pluralismo del dibattito pubblico e rispetto delle opinioni altrui che dovrebbe caratterizzare una democrazia avanzata, quanto perché l’imposizione di una logica binaria, dicotomica, manichea è a nostro avviso il problema posturale alla radice di tutti gli altri problemi di natura politica, epistemologica, comunicativa della contemporaneità (e, ci duole dirlo, in modo particolare dell’Italia contemporanea). […]
Intento del libro è dunque quello di andare nella direzione contraria rispetto a quanto sostenuto da Mario Monti, ricostruendo alcuni tasselli di un dibattito che è stato sostanzialmente negato – attraverso la messa ai margini ma anche la ridicolizzazione delle posizioni critiche – durante gli ultimi due anni.
Il dibattito mancato a cui facciamo riferimento non va confuso con il battibecco quotidianamente spettacolarizzato tra esperti che condividevano la medesima impostazione di fondo sulla gestione della crisi sanitaria per differenziarsi solo su aspetti e pareri molto specifici. Ci riferiamo invece all’esclusione dall’informazione mainstream e dal confronto politico delle voci che hanno criticato proprio quell’impostazione di fondo. Di quelle, ad esempio, che hanno preso di mira il riduzionismo di un approccio meramente epidemiologico, incapace di includere competenze, punti di vista e priorità di intervento che la natura “sindemica”2 (Horton 2020) della crisi avrebbe invece ragionevolmente imposto di tenere in conto. Al silenziamento delle critiche rivolte alla strategia di puntare tutto (quasi) esclusivamente sui lockdown, prima, e sull’arma vaccinale, più avanti, trascurando completamente i temi della prevenzione primaria, delle cure precoci, della sanità territoriale, della messa in sicurezza in base ai fattori di rischio. Ci riferiamo, ancora, all’esclusione delle voci dissonanti che hanno evidenziato i limiti di un approccio basato su una concezione di salute come mera “assenza di malattie”, tradendo la definizione che ne offre la stessa OMS, e al contempo riducendo l’esistenza umana alla “nuda vita” (Agamben 2005); alla messa ai margini dei punti di vista di chi ha cercato di richiamare l’attenzione sulle ricadute di una comunicazione allarmista e di interventi drastici e generalizzati sul benessere psicologico della popolazione, in particolare di bambini, adolescenti e giovani, strappati ai contesti di socializzazione e istruzione per essere isolati davanti a uno schermo; alla placida accettazione degli enormi guadagni che gonfiavano le tasche delle grandi multinazionali, in particolare quelle dell’intrattenimento virtuale, del delivery, oltre chiaramente alle case farmaceutiche, proprio mentre i primi sintomi della crisi economica prossima ventura si facevano pesantemente sentire su ampi strati di popolazione; così come all’esclusione delle critiche sull’inedita torsione in senso autoritario e biopolitico della democrazia portata con sé dall’attuazione di strumenti di disciplinamento e controllo con pesanti ricadute su coesione sociale e fiducia nelle istituzioni. […]
Informazione e democrazia: (dis)continuità tra ieri e oggi
D’altronde, siamo pienamente consci che il “dibattito negato” di cui parliamo non sia qualcosa di completamente nuovo. Siamo stati abituati al fatto che le tesi alternative (antisistemiche, anticapitaliste, anarchiche, marxiste, etc.) vengano relegate ai margini del dibattito pubblico. Chi scrive questa introduzione si è occupato di vari fenomeni sociali e/o mobilitazioni politiche che hanno dovuto (e anzi devono tuttora) fronteggiare stigma, ridicolizzazione, gogne mediatiche di vario genere: dagli “animalisti” ai movimenti contro le grandi opere, dalla decrescita ai contadini resistenti, dal femminismo ai GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), dall’ecospiritualismo alla giustizia ambientale e climatica, e l’elenco potrebbe proseguire. Lungi da noi dunque voler presentare l’agone pandemico come un fulmine a ciel sereno di una società e di un mondo dell’informazione progressista, aperto, plurale. Mai prima d’ora, tuttavia, si era arrivati a teorizzare l’opportunità e, anzi, la necessità di negare rappresentanza mediatica al dissenso e ai dissenzienti, producendo un’inedita irreggimentazione del dibattito pubblico che ha spinto milioni di concittadini verso spazi di informazione esterni al circuito istituzionale e mainstream. […]
Queste modalità informative – stigmatizzazione, silenziamento, sciacallaggio – hanno contribuito ad esacerbare fenomeni già latenti presso la popolazione: da una parte sfiducia nelle istituzioni, dall’altra polarizzazione delle opinioni. […] A ben vedere, nella fase attuale, in cui l’emergenza, da situazione contingente, diviene elemento strutturale, è proprio a partire dalla restrizione delle libertà individuali e dall’imposizione di interventi sul bios e sugli stili di vita da parte di istituzioni verso cui si nutre sfiducia che possono originarsi nuove linee di conflitto, le quali a loro volta condurranno probabilmente alla politicizzazione di nuove questioni e alla messa in discussione di tendenze tecnocratiche che, in continuità col discorso neoliberale, non ammettono alternative. La tecnocrazia, infatti, si fonda su presupposti epistemologici, politici e persino ontologici che vanno nella direzione opposta rispetto non solo alla democrazia, ma anche agli ideali e alla sensibilità di porzioni significative di società che hanno introiettato da decenni valori post-materialisti (femminismo, ambientalismo, pacifismo), spostandosi verso pratiche di cittadinanza critica e verso la ricerca di una coerenza tra scelte di vita (di consumo, di educazione, di socialità, di lavoro e di gestione della salute) e ideali libertari, consapevoli, solidali. Per la tecnocrazia, invece, è necessaria non solo la delega, come nei regimi democratici “classici”, e nemmeno basta più la fiducia. La tecnocrazia richiede una forma di fede, che escluda alcuni elementi di dibattito e problematizzazione, in nome di un razionalismo di stampo scientista e del progresso lineare. Questi obiettivi possono essere raggiunti solo affidandosi a esperti e perseguendo uno sviluppo tecnologico mono-dimensionale. […] Anche in questo caso siamo consci di non trovarci di fronte a fenomeni nuovi o emersi improvvisamente. La tecnocrazia, oltre che una forma di governo, si può interpretare come un «regime di verità», per usare un concetto introdotto da Michel Foucault (1976). Ogni epoca e contesto sociale ha un suo regime di verità. […]
Intento e organizzazione del volume
Il fastidio che accoglie, e accoglieva, le voci contrarie alla governance neoliberale (che siano contrarie alla gestione della pandemia, a quella della guerra, alle grandi opere o ad altro ancora), assomiglia sempre di più al «lasciateci lavorare» di berlusconiana memoria. Un invito che, purtroppo, pare accolto da un numero sempre maggiore di persone, anche in seguito a un certo “volto duro” dello Stato (peraltro limitato ad alcune questioni e invece assente su altre, come quelle redistributive). Il volume intende contribuire a riaprire questo dibattito […].
Il volume è diviso in tre sezioni principali. La prima analizza le strategie comunicative che abbiamo visto all’opera nel biennio 2020-2021, concentrandosi – con il supporto di riflessioni teoriche ed indagini empiriche – sul ruolo dei vari attori protagonisti: media, politici, scienziati, opinionisti. […] La seconda sezione del volume ricostruisce alcuni elementi essenziali del dibattito che avremmo voluto, a partire da una rassegna delle incongruenze e degli “effetti collaterali” delle misure adottate, fino a una loro interpretazione sul piano propriamente politico. […] La terza sezione affronta temi di portata più generale, tuttavia imprescindibili per inserire la gestione della pandemia all’interno di un contesto più ampio, condizione necessaria perché questa diventi leggibile e comprensibile. […].
Quello che cerchiamo di fare, quindi, nelle pagine che seguono, è riaprire e problematizzare alcuni dei dogmi su cui si è fondato il governo della pandemia, nella convinzione che il dibattito negato abbia precluso la tematizzazione di questioni importanti che riguardano le politiche sanitarie e le loro conseguenze, il peso del lobbismo e l’intreccio tra medicina, scienza, economia e politica. Questi temi sono diventati tabù, la loro trattazione è stata preclusa alla possibilità di un serio confronto democratico per venire lasciata pressoché in esclusiva ai circuiti cosiddetti “complottisti”. Nella convinzione che il complottismo prosperi sul non detto, cioè su quanto non viene adeguatamente tematizzato e discusso in modo pluralista e trasparente, assume allora cruciale importanza rompere quei tabù e riaprire questi temi “caldi”, per provare ad affrontarli in maniera rigorosa e documentata.
Note
1 Il termine no vax rappresenta un’etichetta stigmatizzante e semplicistica, come è stato evidenziato da diversi studi, in Italia e non solo, che hanno dimostrato come lo spettro di posizioni relative alle vaccinazioni sia molto più variegato rispetto alla dicotomia pro-vax vs. no-vax. Cfr., ad esempio, Gobo e Sena (2018) e Lello (2020).
2 Il concetto di sindemia è diventato popolare in seguito ad un editoriale del direttore di «The Lancet» Richard Horton (2020) ma è stato coniato diversi anni fa dall’antropologo Merril Singer per descrivere il rapporto tra AIDS e tubercolosi. La lettura sindemica sottolinea come virulenza e pericolosità di un virus siano non solo diverse a seconda delle condizioni di salute e socio-economiche, ma anche accresciute dalle disparità tipicamente originate da un’organizzazione sociale e politica di stampo neo-liberista.
APPUNTAMENTI
Indice del libro
Prefazione
di Vittorio Agnoletto 5
1. Introduzione
di Niccolò Bertuzzi, Elisa Lello 13
Informazione: “somministrare” con prudenza 13
Il dibattito mancato: dalla pandemia al conflitto russo-ucraino 17
Informazione e democrazia: (dis)continuità tra ieri e oggi 20
Intento e organizzazione del volume 23
SEZIONE I. COME (NON) SI COMUNICA UNA PANDEMIA. LOCKDOWN, GUERRA AL VIRUS, VIROSTAR, (S)FIDUCIA
2. Non siamo tutti uguali. Per fortuna. Dialogo tra un’epidemiologa e un sociologo
di Sara Gandini, Andrea Miconi 31
Pandemia o sindemia? 31
«La più grande interruzione della scuola nella storia, dovuta alle misure Covid-19, non deve privare i bambini della loro istruzione e del loro sviluppo» 35
L’epidemia raccontata 38
L’alternativa che c’era 44
3. Gli italiani alla prima crociata. La Covid-19 come genere discorsivo
di Francesca Capelli 49
Introduzione 49
Armatevi e partite 50
The Big Game Changer 51
Covid-19 come genere discorsivo 55
Da cittadini a infanti 59
4. La spirale comunicativa: un’analisi dei conflitti mediatici tra scienziati durante la pandemia
di Enrico Campo, Luca Serafini 63
Introduzione 63
Gli scienziati e i mass media 64
I conflitti tra gli esperti 66
Gli asintomatici: contagiosità, carica virale e tracciamento 67
Il «virus clinicamente morto» 72
Conclusioni 75
5. Crisi delle competenze, secolarizzazione della scienza e declino della fiducia negli scienziati dopo la Covid-19. Uno studio pilota
di Giampietro Gobo 78
Introduzione 78
Lo scientismo 79
Il declino della fiducia negli scienziati 81
Uno studio pilota 82
Dove nascono scetticismo e crisi delle competenze? 91
Conclusioni 94
SEZIONE II. IL DIBATTITO CHE NON C’È STATO: GOVERNO DELLA PANDEMIA E IATROGENESI, TRA TECNOCRAZIA E NEOLIBERISMO
6. In assoluta sicurezza. Rimozione della morte, onnipotenza tecnica, controllo pandemico e iatrogenesi
di Stefano Boni 97
Introduzione 97
La rimozione della morte nella società contemporanea 98
Onnipotenza tecnologica e sicurezza 100
Confrontare le pandemie 104
Effetti iatrogeni occultati 107
Conclusioni 111
7. L’uso politico della pandemia
di Thomas Fazi 113
Introduzione 113
Fase 1: lockdown e “misure non farmaceutiche” 117
Fase 2: green pass e vaccinazione di massa 124
Ristrutturazione autoritaria del capitalismo 127
8. Tra tecnocrazia e populismo. Crisi della comunicazione pubblica e spirale della delegittimazione nel contesto pandemico
di Luca Raffini 133
Introduzione. Fake news e post-verità.
Alla ricerca delle radici profonde 133
Disinformazione e conflitti nel contesto pandemico 136
Scienza, politica e società dal punto di vista populista e dal punto di vista tecnocratico 139
Verso il tecnopopulismo? Il caso italiano 144
Conclusioni 147
SEZIONE III. MEDICINA, LOBBISMO, CATTURA DEL REGOLATORE E SFERA PUBBLICA
9. Strategie di cattura e governance multistakeholder: il caso dell’OMS
di Nicola Matteucci, Eduardo Missoni 151
Introduzione 151
Le strategie di influenza degli stakeholders 152
Il potere di influenza, dal mercato alle relazioni internazionali 155
Governance e politiche di salute globale 157
L’OMS sotto scacco 160
L’OMS nella congiuntura pandemica 164
Conclusioni 166
10. «Nessuna correlazione»: gli strumenti per la valutazione del nesso causale tra vaccinazione ed evento avverso
di Barbara Osimani, Maria Laura Ilardo 167
Introduzione 167
Farmacovigilanza di farmaci e vaccini 167
Farmacovigilanza attiva vs passiva 171
Under-reporting degli eventi avversi post-vaccinazione Covid-19 173
Valutazione del nesso causale generale 174
Valutazione del nesso causale individuale 174
Conclusioni 185
11. Lobbismo scientifico e dirottamento dello spazio pubblico
di Elisa Lello, Andrea Saltelli 187
Introduzione 187
Le nuove strategie di cattura del regolatore 188
I guardiani della ragione 194
Un dirottamento dello spazio pubblico 196
La partecipazione negata 199
12. Affrontare le pandemie: perché occorre ripensare il paradigma culturale della medicina (e non solo la sanità)
di Ivan Cavicchi 204
Introduzione. Premessa politica: la crisi delle sintesi 204
Una dicotomia assurda 205
Quale medicina ci serve? 207
Dentro e fuori dalla medicina 208
La scienza impareggiabile 210
Il conflitto tra episteme e doxa 211
Scienza e democrazia 213
Prassi, operatori e opere 215
Evidenze e rilevanze 216
Scienza e morale 218
Ripensare il paradigma 219
Cambiare le prassi e lo statuto giuridico del medico 220
Medicina, medico, malato: la nuova alleanza 222
Riferimenti bibliografici 224
Curatrice e curatore 245
Autrici e autori 246
Glossario 249

I racconti
non sono solo i due contrapposti di cui si parla. Ce n’è un terzo che ha ben altra origine.
https://researt.net/?p=14656
il mondo del sottosopra mettere al centro Scanzi, Burioni, Cazzola e far apparire il mondo novax come il povero bistrattato che voleva solo far rmergere la critica al sistema binario è una operazione azzardata e pericolosa come se il raccontp violento e veleneso non sia mai stato concretizzato , mesi di sbandieramenti tricoloranti, assedi a ospedali, aggressioni e bufale su morti e tanto altro con comitati nazionali e collaratelismi fascisti malamente camuffati ,edulcorati . Certo il libro va letto ,non credo che Cavicchi si presti a esaltare Egamben che si accompagna a Mattei e altri signori dell’apriamo tutto , certo le critiche vanno ben capite e spero che siano ben concentrate sull’azione complice del governo verso i padroni che fin dall’inizio pensavano alla produzione, al profitto e all’apriamo tutto . Insomma faccio fatica a pensare ad Agnoletto che difende certe posizioni e attacca i vaccini e la necessità almeno all’inizio quando si sapeva poco su come contrastare e ci si affidava ai tentativi dei tecnici . Comunque il dibattito per contrastare il pensiero sovranista e quello della tecnocrazia ben venga