Quello che si conclude in América Latina, visto con lo sguardo attento di Raúl Zibechi, non è solo un altro desolante anno di pandemia. È un anno in cui i popoli e i movimenti, a cominciare da quelli indigeni, hanno dimostrato di saper organizzare nuove straordinarie resistenze e grandi ribellioni. Dall’ultima vincente lotta contro l’estrattivismo minerario della provincia argentina del Chubut alla rinascita di una enorme protesta politica nella Colombia costretta al silenzio dal narco-terrorismo di Stato – passando poi per il recupero delle terre dei Mapuche, la traversata oceanica zapatista e la costituzione di un nuovo governo autonomo nell’Amazzonia peruviana – nell’intero continente si vede piuttosto chiaramente come il virus del terrore (con le sue apparentemente onnipotenti conseguenze sanitarie e sociali) non sia affatto in grado di paralizzare la resistenza di diversi milioni di persone. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, ovunque nasce o rinasce il rifiuto di accettare il dominio di un sistema necropolitico che devasta la vita stessa di gran parte delle persone che abitano questo pianeta. Come quasi sempre accade, ad allargare appena lo sguardo oltre i muri dell’Europa, si avverte una bella ventata di speranze che non sono affidate solo all’ossessione dei media sulle curve del contagio e la diffusione dei vaccini

Il parlamento della provincia del Chubut, nel sud dell’Argentina, ha approvato a dicembre una legge a favore dell’estrazione mineraria, ma ha dovuto annullarla una settimana dopo a causa della imponente insurrezione della popolazione. È uno dei più grandi successi dei settori popolari latinoamericani, contro i governi provinciale e nazionale, entrambi progressisti ed estrattivisti.
In quattro giorni di esplosione della rabbia, la marea di persone insorte ha dato fuoco alla sede del governo locale di Rawson, il capoluogo della provincia, e ha costretto il governatore ad annullare quanto approvato dal parlamento per calmare la protesta. Il Chubut si unisce così alla provincia di Mendoza, che nel 2019 era già riuscita a fermare l’attività mineraria. Dallo scorso agosto, il Chubut si trova in emergenza idrica e nelle principali città sono avvenuti tagli dell’erogazione dell’acqua.

In Cile, l’anno era iniziato con una crescita sostenuta della pacifica insurrezione dei Mapuche, che non si è lasciata logorare dai processi elettorali. Nella regione di Temuco, si è registrata una crescita esponenziale del recupero delle terre che ha portato il governo di Sebastián Piñera a decretare l’occupazione militare di Wall Mapu (il territorio mapuche), nel vano tentativo di contenere la lotta. Per avere un’idea dell’entità del movimento, vale la pena dire che tra il gennaio e l’aprile del 2020 c’erano state 35 azioni di recupero di terra da parte delle comunità, negli stessi mesi del 2021 la cifra è salita a 134.

L’evento più significativo dell’anno è stata la gigantesca mobilitazione lanciata dal popolo colombiano il 28 aprile. In quella data è stato indetto uno sciopero di 24 ore dalle centrali sindacali, ma i giovani hanno superato largamente i confini di quella convocazione. Lo stop, infatti, è durato più di due mesi; con le autostrade interrotte per settimane, come nel caso della strategica Panamericana che regola il transito delle merci. Le manifestazioni con la partecipazione di milioni di persone hanno investito centinaia di Comuni, paralizzando il Paese con azioni di massa e con la creazione di “punti di resistenza”, dove i giovani si radunavano per liberare zone e rendere sicura la vita quotidiana, di fronte alla brutale repressione degli Squadroni mobili antisommossa (Esmad).
La città di Cali, la cui popolazione è prevalentemente afro-discendente, è stata l’epicentro della protesta con 25 “punti di resistenza”, la demolizione di statue dedicate ai conquistadores della colonizzazione e la costruzione di anti-monumenti come Resiste, emblema della rivolta. Ci sono stati decine di morti e persone fatte scomparire a causa dell’azione repressiva. Ma la vera sorpresa è arrivata dal basso: a Cali era presente la guardia indigena della popolazione Nasa, che ha percorso più di 100 chilometri per sostenere i manifestanti, vessati anche da gruppi di civili armati dalla polizia. Si sono create anche le “prime linee” dei gruppi di autodifesa urbana giovanile, ma anche quelle delle madri in difesa dei figli e delle figlie, quelle dei sacerdoti e perfino quelle dei militari in pensione. Le successive ondate di proteste sono continuate fino a dicembre, con l’arrivo della Minga indigena a Cali, una protesta contro i ripetuti assassinii e un rinnovato sostegno alla lotta degli abitanti della città.
Le proteste e le ribellioni hanno di fatto seppellito l’uribismo (la estrema destra militarista che si ispira all’ex presidente Álvaro Uribe, in carica dal 2002 al 2010) che ha governato, anche al di là dello stesso Uribe, la Colombia con pugno di ferro dall’inizio del XX secolo. Il centro della resistenza si è spostato dalle aree rurali a quelle urbane e i giovani senza futuro sono tornati al centro della scena politica generando un’intensa politicizzazione della società, la stragrande maggioranza della quale chiede cambiamenti urgenti. A medio termine, la fraternizzazione tra popolazioni indigene e giovani urbani può aprire le porte a nuove relazioni tra settori chiave nel territorio colombiano per la progettazione di pratiche di emancipazione.
Va certamente notato che nel bel mezzo della pandemia, l’EZLN ha preso l’iniziativa di convocare la Travesía por la Vida, con il quale ha attraversato l’oceano per abbracciare la resistenza dell’Europa tra i mesi di settembre e dicembre. Quel viaggio rappresenta, a mio avviso, una svolta nell’idea della solidarietà internazionale e nel modo in cui i movimenti si mettono in relazione l’uno con l’altro. Fino ad ora predominavano invece i grandi raduni, come le quattro internazionali, e gli spazi come il Forum di San Paolo, che vedeva protagonisti soprattutto uomini, bianchi e accademici, leader di partito e di movimento, che si incontravano in hotel di lusso o nelle università.

Nel nord del Perù si è formato a dicembre il Governo Territoriale Autonomo di Awajún, così adesso sono già sei le città amazzoniche, per un coinvolgimento di circa 150mila persone, che hanno deciso di percorrere la strada dell’autonomia.
In tutto quest’anno abbiamo dunque visto come i popoli si stiano organizzando per far fronte alle devastazioni create dalla pandemia di Covid-19 e dai governi che, a destra come a sinistra, approfittano della crisi per approfondire il modello dominante. La governabilità neoliberista sta svanendo a causa dell’attivismo che si mette in moto dal basso. Tutto pare indicare che il 2022 potrebbe essere un anno decisivo. La grande sfida per i movimenti penso consista nel superare le dinamiche di crescita e caduta della mobilitazione, al fine di costruire forme di organizzazione capaci di dare continuità alle resistenze.
Fonte: La Jornada
Traduzione per Comune-info: marco calabria
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