Ci sono parentele insospettabili che molti non riconoscono o preferiscono ignorare. La più antica e la più duratura è quella che lega l’amore all’odio, la tenerezza alla rabbia, la vita alla morte. Si distrugge per conservare, si idealizza l’appartenenza a un gruppo, una nazione, una cultura, per differenziarsi da chi ne è fuori, visto come nemico. (…)
Confinando la donna nel ruolo di madre, facendola custode della casa, dell’infanzia, della sessualità, l’uomo ha costretto anche se stesso a restare eterno bambino, a portare una maschera di virilità sempre minacciata. (…)
La famiglia prolunga l’infanzia ben oltre il bisogno del singolo individuo, costruisce legami di indispensabilità reciproca e arma silenziosamente la mano che tenterà di strapparli. (…)
Se l’uomo fosse solo il dominatore, il vincitore sicuro di sé, non avrebbe bisogno di umiliare e uccidere. (…) Prima che marito, padre possessivo, autoritario e violento, l’uomo è nato di donna, tenero figlio. La tentazione di attribuire alla società il passaggio del maschio dall’amore alla violenza è sicuramente più rassicurante che pensare a una ambivalenza di sentimenti già presente nelle relazioni più intime. (…)
Il corpo femminile che l’uomo incontra nella vita amorosa adulta non può non riattivare l’esperienza originaria del corpo materno, evocare la tenerezza della fusione e insieme la paura di perdere la propria autonomia: fragilità, impotenza, senso di inglobamento. A mantenere così viva la memoria del corpo e della nascita, ha evidentemente contribuito l’ideologia che ha identificato la donna con la madre e costretto di conseguenza l’uomo a convivere con la sua infanzia. (…)
Anche quando si riconosce alla donna un’anima, è un’anima che deve nutrirsi dei pensieri degli uomini, assecondare e prevenire i loro bisogni, compenetrarsi dell’amato fino a essere tutt’uno con lui. (…)
Dietro un dominio reso impercettibile dalla favola amorosa, si eclissano la debolezza e la fragilità del maschio. (…)
Importante è assicurarsi che la donna sia disposta al sacrificio di sé per far crescere l’individualità del figlio (…), “allevarli da piccoli, averne cura da grandi, consigliarli, consolarli, rendere loro la vita piacevole e dolce”(Rousseau).
E la certezza di questa dedizione è tanto più solida quanto più essa riuscirà a ‘diventare lui, vivere solo attraverso di lui, le sue opere, la sua riuscita nel mondo. (…)
Attraverso l’immagine che l’uomo si è fatto dell’altro sesso passa un conflitto tutto interno al maschile, tra ‘inermità’ e ‘potere’, dipendenza e cancellazione di ogni legame, corporeità e pensiero, sentimenti e ragione. (…)
(da L.M., Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà, Bollati Boringhieri 2011)
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