L’arte della guerra di Sun Tzu è stato un testo essenziale, per ben più di un millennio, per chiunque scegliesse o si trovasse costretto a combattere, ma soprattutto per chi volesse studiare il combattimento, cioè la lotta, da Machiavelli all’esercito degli Stati Uniti a molti rivoluzionari. Eppure, quello dell’antico stratega cinese è naturalmente anche un testo di filosofia. Riprendere Sun Tzu oggi è doppiamente importante per noi che vogliamo distruggere il capitalismo senza essere coinvolti negli orrori delle guerre che caratterizzano l’ascesa degli imperi e l’attuale sistema-mondo, scrive Raúl Zibechi. Uno dei concetti più significativi del trattato spiega che un esercito vittorioso prima vince e poi dà battaglia; un esercito sconfitto prima lotta e poi cerca di vincere. Dal punto di vista delle comunità in movimento e dei popoli indigeni, la parte in conflitto più vicina al cuore di Raúl, questo vuol dire: siamo vittoriosi perché sopravvissuti ai tentativi di annientarci in quanto popolazioni fatti dal tempo dei conquistadores fino ai giorni nostri. Continuare ad esistere significa dunque continuare a resistere, non per tornare indietro ma per costruire qualcosa di nuovo. È questa la vittoria degli zapatisti, dei nasa/misak, dei mapuche, dei wampis e di tanti altri popoli del mondo. Perfino in mezzo all’infuriare delle tempeste più tremende, serve una cultura politica non simmetrica ma molto diversa da quella dell’avversario che ci dichiara guerra. Senza di essa finiremmo per rilegittimare l’ordine delle cose contro cui stiamo lottando
In periodi di tempesta sistemica è necessario contare su una strategia chiara e definita. Diversamente, il naufragio è quasi inevitabile. Forse per questo in molti siamo ritornati a saperi come quelli che incarna Sun Tzu, militare, stratega e filosofo dell’antica Cina, che raccoglie i suoi insegnamenti nel libro L’arte della guerra, che ha ispirato varie generazioni di rivoluzionari.
Riprendere Sun Tzu in questi tempi è doppiamente importante per noi che vogliamo distruggere il capitalismo senza essere coinvolti negli orrori delle guerre che caratterizzano l’ascesa degli imperi e dell’attuale sistema-mondo. E che possono esserne il segno distintivo della caduta.
Uno dei suoi concetti più significativi dice che un esercito vittorioso prima vince e poi dà battaglia; un esercito sconfitto prima lotta e poi cerca di vincere.
Dal punto di vista delle comunità in movimento, e dei popoli di origini maya e nasa in particolare, questo secondo me vuol dire: siamo vittoriosi perché siamo qui, sopravvissuti ai tentativi di annientarci come popolazioni. Non è sempre stato questo l’obiettivo delle classi dominanti dalla Conquista in poi? Non è questo l’obiettivo della guerra contro la droga e di iniziative come il Tren Maya?
Per i popoli oppressi il concetto di vittoria non è di carattere militare, non ha a che fare con la morte ma con la vita. Continuare ad essere popoli, continuare a costruire nuovi mondi perché, come sottolinea il comunicato Una montagna in alto mare dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), non si tratta di tornare a un passato idealmente meraviglioso come l’impero azteco, costruito al prezzo del sangue dei suoi pari.
Continuare ad esistere è continuare a resistere, non per tornare indietro ma per costruire qualcosa di nuovo. È questa la vittoria degli zapatisti, dei nasa/misak, dei mapuche, dei wampis e di tanti altri popoli.
Va detto: credevo che ciò che non erano riusciti ad ottenere con le cattive i Peña Nieto e i Pinochet di turno avrebbero potuto ottenerlo i vari Mujica e Correa con sviluppo e politiche sociali (ciascuno metta i nomi più adatti alla sua geografia). Errore. Le persone sono capaci di superare i diversi modi di gestire il modello estrattivo neoliberista in atto, o quarta guerra mondiale come lo chiama l’EZLN.
La notevole frase di Sun Tzu acquista ancora più rilevanza quando vediamo che alcuni popoli sono stati capaci di sopravvivere, nonostante il dolore e il sangue, tanto alle ammistrazioni conservatrici quanto a quelle progressiste. E ciò ci mostra che le lotte che iniziano ora sono i frutti della loro vittoria strategica.
A proposito della relazione tra strategia e tattica, a Sun Tzu è attribuita una frase che secondo gli studiosi non si trova nel suo libro, che recita: la strategia senza tattica è il cammino più lento verso la vittoria. La tattica senza strategia è il clamore prima della sconfitta.
Secondo la mia visione, le grandi opere infrastrutturali come la brutale diga Belo Monte in Brasile, che distrugge le fonti di vita di intere popolazioni; la mega miniera in tutto il continente; lo stesso Tren Maya o il Corredor Transístmico, solo per fare un paio di esempi, sono soltanto fuochi d’artificio per coprire il vuoto strategico di un modello che non ha da offrire ai popoli nient’altro che morte e distruzione.
I popoli in movimento che non si sono lasciati cooptare né dagli uni né dagli altri, che mantengono la loro autonomia (il che non significa non sbagliare mai), che non si piegano di fronte al potere cattivo né davanti a quello buono, né davanti a nessun governo, sono in grado di continuare il loro cammino di ampio respiro.
Sono coloro che possono imbarcarsi in nuovi progetti, audaci e perfino pericolosi, perché hanno già vinto continuando ad esistere. Ciò non vuol dire che non possano essere attaccati o vittime di genocidi. Ce ne arriva notizia ogni giorno dal Cauca colombiano, dal Wallmapu, dal Chiapas e da tutti i territori resistenti.
In mezzo a questa terribile tempesta, le strategie delle sinistre e dei vecchi movimenti ne hanno mostrato limiti e ristrettezze. Concentrarsi nella presa o nell’occupazione dello Stato, come ha osservato decenni fa Immanuel Wallerstein, è la strada verso la sconfitta perché rilegittima l’ordine che si pretende di combattere.
Ci servono strategie che non siano copie al rovescio di programmi e metodi dall’alto, che siano di destra o di sinistra. Resistere senza riprodurre la stessa cultura politica. Quando il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca rivendica qualcosa conta su di noi per la pace, mai per la guerra, mira ad una politica di tipo nuovo. Resistiamo costruendo un mondo diverso.
Quando l’EZLN costruisce salute, educazione, giustizia e potere autonomi, sta mostrando il sentiero di vita che percorrono i popoli di radice maya e le basi d’appoggio che poco a poco iniziano a percorrere molti altri, in tutti i continenti, in America Latina in particolare.
Testo originale tratto da la Jornada
Traduzione per Comune-info: Leonora Marzullo
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