Non abbiamo bisogno di un ritorno a scuola, ma di una scuola che contribuisca a cambiare il mondo. Non abbiamo bisogno solo di protocolli da rispettare, ma di ripensare l’educazione come liberazione e la scuola come un insieme di luoghi nei quali ognuno è allievo e nello stesso tempo maestro. Non abbiamo bisogno di straordinari ministri dell’istruzione, ma di insegnanti capaci di coltivare pensiero critico, come Lorenzo Milani, la cui pedagogia ribelle si sviluppa con la costante critica al sistema scolastico e con la sperimentazione di un’istruzione alternativa e fortemente comunitaria. Abbiamo bisogno prima di tutto di piccoli gruppi di studentesse e studenti protagonisti del proprio apprendimento, come i ragazzi di Barbiana, autori di un testo meraviglioso e attualissimo, Lettera a una professoressa. Per questo la pubblicazione in Italia di quel testo in un volume che raccoglie anche la traduzione in lingua araba (studiata a Barbiana in quanto lingua degli oppressi), curata da Dimitris Argiropoulos (con la traduzione di Hisam Allawi, rifugiato curdo-siriano) per Athenaeum, ci sembra una splendida notizia per cominciare l’anno scolastico e volare in alto. Anzi, in basso, l’unico luogo, secondo don Milani, in cui è possibile cambiare il mondo in profondità
L’edizione in lingua araba di Lettera a una professoressa comprende una prefazione di Francesco Gesualdi e una di Dimitris Argiropoulos, tradotte in inglese e francese. Pubblichiamo uno dei paragrafi della prefazione, dal titolo “La pedagogia della Scuola di Barbiana in Lettera a una professoressa“. In questo link invece è leggibile la versione araba, curata da Hisam Allawi, rifugiato curdo-siriano, poeta e docente di lingua araba, tra i fondatori della cooperativa di rifugiati con sede a Parma World in progress).
La pedagogia di Barbiana
Lorenzo Milani ha dedicato la vita alla formazione dei giovani delle classi popolari. La sua azione educativa era ispirata al Vangelo e partiva dalla valutazione dell’inferiorità sociale e culturale dei giovani montanari, con l’obiettivo di emanciparli dalla timidezza1, e aiutarli nello sviluppo di personalità libere e autonome.
La sua concezione pedagogica emerge dagli scritti e dalle Lettere collettive, tuttavia è nella strutturazione della scuola di Barbiana che trova la sua più chiara espressione. La sua idea di educazione non è concettualizzata in modo rigoroso e inflessibile, il priore non era un improvvisatore: la sua azione educativa restò sempre sottesa da pensiero costante, studio, attenzione e cura. Nonostante fosse isolato sul monte Giovi, leggeva2 molto, si confrontava con amici e intellettuali, contribuendo al dibattito europeo del suo tempo, intuendo verità che anni più tardi avrebbero trovato conferma e riconoscimento scientifico.
Con il suo operato don Milani ha incarnato il proprium della pedagogia, cioè «quello di essere disciplina prassica che deve continuamente porre le teorie al vaglio della prassi, autoregolando il “pensare su… con l’agire per…»3. Il pensiero pedagogico del priore si sviluppa in due direzioni.
1. Critica del sistema scolastico: a partire dall’esperienza di San Donato don Milani comprende il legame tra origine sociale ed esito scolastico, rapporto che diventa palese nelle sue drammatiche conseguenze con l’avvio della scuola media unica.
Don Lorenzo è convinto che per adempiere al dettato costituzionale l’uguaglianza non vada calcolata sulla libertà di accesso ma sulle opportunità di riuscita (uguaglianza sostanziale). Sviluppando queste riflessioni il priore, lettore accanito di saggistica francese4, si trova in linea con le idee su cui dibattevano in quegli anni i cosiddetti sociologi della “riproduzione sociale”: Louis Althusser, Pierre Bourdieu, Raymond Boudon e Claude Passeron. In particolare Bourdieu e Passeron con i concetti di capitale culturale ed ethos di classe dimostravano che la scuola non riconosce le disuguaglianze di base degli allievi, riproducendo in questo modo le classi sociali esistenti e perpetuando le disuguaglianze5.
2. Manifesto di istruzione alternativa a quella istituzionale ufficiale e pubblica, espressione di un modo inconsueto di guardare al sapere e alla formazione, che mette al centro la persona e la varietà di competenze e culture6. Don Milani è portatore di istanze egualitarie: lotta alla dispersione scolastica, valorizzazione della dimensione educativa comunitaria e promozione di una coscienza critica e autonoma. Dona tutto il suo tempo alla scuola perché è convinto di poter migliorare l’esistente: crede nell’istanza trasformativa dell’educazione, che richiede impegno, personale e seducente7. Per questo costruisce una scuola a pieno tempo basata sulla cura e sulla responsabilità reciproca, dove nessuno è “negato per gli studi”8 e dove ognuno è allievo e contemporaneamente maestro9. Un’educazione appropriata a fornire i mezzi per l’emancipazione sociale. Questa impresa si trova in linea con le idee dei teorici dell’attivismo pedagogico e del movimento delle “scuole nuove”: Dewey10, Claparède (e la scuola di Ginevra), Decroly, Montessori, Freinet11e il gruppo dei pedagogisti fiorentini12.
Don Milani è conscio dell’immenso valore della persona, di ogni persona. Concepisce l’educazione come emancipazione, un processo che non è conformazione, cioè adattamento acritico alla società, che è, invece, l’opposto dell’indottrinamento13.
«Tentiamo invece di educare i ragazzi a più ambizione. Diventare sovrani! Altro che medico o ingegnere»14.
Per don Lorenzo l’educazione è liberazione – di pensieri e identità – dai soprusi, dall’ignoranza, dalle ingiustizie. Pur considerando le differenze di contesto, la sua era un’idea di paideia, cioè di formazione all’interezza, all’integrità dell’uomo. Una formazione vista come processo educativo, come personalizzazione della cultura che sviluppa l’io e gli dà una forma personale, dura tutta la vita e si sviluppa attraverso la cura di sé. Formare significa “dare forma” (in greco Morphepoiesis – μορφοποίηση): la formazione per divenire tale richiede attivazione, il soggetto è parte attiva del processo: è formato e contemporaneamente si dà forma15. Per questo il fine della sua opera educativa era quello di formare cittadini sovrani16, in grado di analizzare la realtà a mente aperta e prendere coscienza della propria condizione, per uscire dai condizionamenti e autodeterminarsi.
Don Lorenzo è convinto che la scuola e la politica non debbano riprodurre le gerarchie esistenti ma essere comunità aperte che interagiscono con la società civile per la crescita di tutta la popolazione17. Ha fiducia nella cittadinanza democratica e nel progresso come elementi di cambiamento qualitativo dell’esistente. Le ingiustizie sociali restano tali a causa del consenso che il potere riceve dal basso, da parte di chi non ha gli strumenti per capire e prendere una posizione. Il sapere consente invece la presa di coscienza dei meccanismi dell’ingiustizia e deve essere usato dalle persone per liberarsi insieme dalla sopraffazione, essendo strumento di forza per organizzarsi, rivendicare i propri diritti, correggere l’esistente18. È questa la concezione di rivoluzione non violenta di don Milani, «per il bene dei poveri. Perché si facciano strada senza che scorra il sangue»19.
La scuola è concepita dal priore come un ponte tra passato e futuro: «deve formare al senso di legalità (rispetto delle leggi) e formare al senso politico (volere leggi migliori)»20. Fino a quando le classi popolari continueranno a restare in posizione di subalternità rispetto alla classe dirigente, non avranno un ruolo nella decisione politica:
«quando la nuova scuola media fu discussa in Parlamento, noi i muti si stette zitti perché non c’eravamo. L’Italia contadina assente là dove si parlava della scuola per lei»21,
«ma in Parlamento bisogna andarci noi. I bianchi non faranno mai le leggi che occorrono per i negri»22.
L’insegnamento fondamentale che lascia ai ragazzi di Barbiana coincide con la motivazione per strutturare il loro impegno.
«Il fine giusto è dedicarsi al prossimo […]. Siamo sovrani, non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte. Contro i classisti che siete voi, contro la fame, l’analfabetismo, il razzismo, le guerre coloniali»23.
Per formare cittadini sovrani non basta trasmettere una serie predefinita di saperi: serve che i ragazzi abbiano gli strumenti critici per analizzare la realtà.
La scuola dovrebbe essere come una palestra, che allena i suoi alunni all’esercizio della democrazia, alla discussione, a far valere i propri diritti nel confronto con gli altri, in una prospettiva creativa e dagli esiti non definiti24. Per questo Lorenzo Milani scrive all’amico Meucci:
«Non consegneremo dunque loro le cose che abbiamo costruito e che stanno cadendo da tutte le parti, ma solo gli arnesi del mestiere (cioè più che altro la lingua, le lingue ecc.) perché costruiscano loro cose tutte diverse dalle nostre e non sotto il nostro alto patronato né paterna compiacenza»25.
Si tratta dell’esigenza di formare nei ragazzi una coscienza critica, in grado di valutare la realtà rendendosi conto delle contraddizioni, sviluppando un pensiero autonomo che può arrivare a mutare l’esistente.26
«E qui è il fine ultimo di ogni scuola: tirar su dei figlioli più grandi di lei, così grandi che la possano deridere. Solo allora la vita di quella scuola o di quel maestro ha raggiunto il suo compimento e nel mondo c’è progresso”27.
1 «Due anni fa, in prima magistrale lei mi intimidiva. Del resto la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non essere visto». Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa,cit., p. 9.
2 In una lettera del 1962 all’amico Giorgio Pecorini don Lorenzo richiede libri di pedagogia per i ragazzi, con riferimenti a testi di Dewey e Makarenko. Cfr. E. Butturini, Lorenzo e Adriano Milani: un’identica passione educativa, in Don Lorenzo Milani e la scuola della parola, cit.
3 Cfr. Riccardo Pagano, La pedagogia generale. Fondamenti ontologici e orizzonti ermeneutici, in R. Pagano La pedagogia generale,Monduzzi, Milano, 2011.
4 Cfr. Peter Mayo, I contributi di Don Lorenzo Milani e Paulo Freire per una pedagogia critica, in Don Lorenzo Milani e la Scuola della parola, cit., p. 250.
5 Cfr. Elena Besozzi, Società, cultura, educazione,Carocci, Roma 2006, p.173.
6 Crf. Roberto Sani e Domenico Simeone (a cura di), Don Lorenzo Milani e la scuola della parola, cit., p. 8.
7 Cfr. Antonio Michelin Salomon, In difesa della pedagogia, attualità di don Milani, in L’eredità pedagogica di don Milani, a cura di De cit., p. 39.
8 Ivi, p.11.
9 «Il più vecchio di quei maestri aveva sedici anni. Il più piccolo dodici e mi riempiva di ammirazione». Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, cit. p.12.
10 Col grande pedagogista americano il priore di Barbiana condivide l’idea che l’insegnamento democratico debba partire dall’esperienza della vita quotidiana e debba essere incentrato sull’attività (learning by doing), sull’interesse e sulla cooperazione sociale. Cfr. C. Laneve, I modelli didattici del XX secolo, in R. Pagano, La pedagogia generale,cit., p.128.
11 Cfr. Franco Cambi, Manuale di storia della pedagogia, Laterza, Bari 2011, pp. 274-291. Il pensiero di Celéstin Freinet e il suo modello didattico basato sulla cooperazione e sulla Stamperie à l’ecole, fu diffuso in Italia dal Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), che annoverava Lodi tra i suoi seguaci. Col maestro di Piadena don Milani ebbe una fitta corrispondenza e grazie a lui introdusse a Barbiana il metodo della scrittura collettiva.
12 Cfr. Ivi, p.290. Ernesto Codignola, Lamberto Borghi, Aldo Visalberghi, Raffaele Laporta svilupparono la lezione deweiana, in particolare il collegamento tra educazione e democrazia.
13 L’indottrinamento è «la perversione dell’educazione, capace di presentarsi come educazione ma di seguire […] modalità e procedimenti razionali che non tengono conto degli effettivi bisogni dei soggetti, ma solo di questioni di principio: presentando, ad esempio, in veste di conoscenza, ciò che altro non è che un credo o, peggio, legittimando l’odio e conseguentemente la violenza». In Alessia Malta, Sul significato attuale de L’obbedienza non è più una virtù, in «Quaderni di Intercultura», a. III, 2011, numero monografico L’eredità pedagogica di don Milani, a cura di Dario De Salvo, p. 26.
14 Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, cit. p. 96.
15 Cfr. F. Cambi, Pedagogia generale, cit., p. 35.
16 Art.1 della Costituzione italiana: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
17 Cfr. Maria Quartarone, Don Milani tra pedagogia e impegno sociale, in L’eredità pedagogica di don Milani, a cura di D. De Salvo, cit., p. 56.
18 Cfr. Patrizia Panarello, Il consumo critico viene da Barbiana, Ivi, p. 45.
19 L. Milani, Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, cit., p.79.
20 L. Milani, L’obbedienza non è più una virtù, cit., p. 46.
21 Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, cit., p. 93.
22 Ivi, p. 92.
23 Ivi, p. 94.
24 Cfr. A. Malta, Sul significato attuale de L’obbedienza non è più una virtù, cit. p. 28.
25 L. Milani, Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, cit., p.54.
26 Cfr. M. Quartarone, Don Milani, tra pedagogia e impegno sociale, cit., p. 56.
27 L. Milani, Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, cit., p. 200.
Dimitris Argiropoulos è docente di Pedagogia speciale e Educazione interculturale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Parma. Autore di diversi saggi, è tra i redattori del Manifesto dell’educazione diffusa. Altri suoi articoli sono leggibili qui.
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DUE APPUNTAMENTI Sabato 26 settembre: Priorità alla scuola; Venerdì 9 ottobre: Sciopero per il clima
Daniela Dal Lago dice
Come siamo tornati indietro rispetto alle idee così lungimiranti di don Milani! Una scuola che sforna individui pieni di nozioni e vuoti di senso critico e consapevolezza. ..
Amalia Giovanna Vitiello dice
Condivido il pensiero di Don Milani e nonostante le continue riforme della scuola, questa continua ad essere luogo di trasmissione acritico di conoscenza.