Il no risoluto al fascismo e all’occupazione nazista conteneva una grande sì: il sì a un mondo nuovo. L’eredità della Resistenza è in quel passaggio e da tempo non aveva un carattere tanto attuale: la spinta a cambiare il mondo, il ribellarsi facendo. Il sistema industriale moderno è al suo limite estremo, col pianeta al collasso per la catastrofe climatica e con la pandemia nata proprio dagli eccessi nell’estrazione e distruzione di risorse. Ovunque, in tanti modi diversi, tra inevitabili limiti, molti stanno già percorrendo sentieri che portano a mondi nuovi

Cadendo nel pieno di una paralizzante e dolorosa pandemia, il 75° anniversario della Liberazione ci aiuta a cogliere l’essenza dell’eredità che ci arriva dalla Resistenza. All’epoca una minoranza di italiani ebbe l’intelligenza, la forza, il coraggio di dire no al fascismo, all’occupazione tedesca, alla guerra e passò all’azione. Chi in armi, chi senz’armi, nelle varie forme della resistenza civile e nonviolenta (Ercole Ongaro in Resistenza nonviolenta 1943-1945, un libro da rileggere, ne ha contate dieci), migliaia di italiani diedero sostanza a un no risoluto che conteneva in sé una grande sì: il sì a un mondo nuovo, fin lì mai visto, di democrazia, uguaglianza, fraternità. Un sì che prese forma nella Costituzione a partire dalle grandi correnti ideologiche che innervavano quel sì: il comunismo (nella sua declinazione italiana), il socialismo democratico e liberale, il cristianesimo sociale, la liberaldemocrazia. Il succo è quindi in due elementi: la spinta a cambiare il mondo, l’azione.
Oggi siamo alle prese con una crisi di civiltà. Il sistema industriale moderno – il “prima del Covid” al quale i vecchi poteri vorrebbero tornare – è giunto al suo limite estremo, col pianeta al collasso per la catastrofe climatica e con la pandemia nata proprio dagli eccessi nell’estrazione e distruzione di risorse. Il “sistema” non ha dentro si sé vie d’uscita plausibili: la sua logica della crescita illimitata guidata dai consumi è la causa, non la soluzione dei problemi. L’ideologia di mercato è il passato. Perché il “dopo Covid” sia un nuovo inizio è necessario prendere ispirazione da quegli italiani che seppero dire no al fascismo e passarono all’azione. Un moto di ribellione con pochi precedenti nella storia del nostro popolo. Occorre immaginare un mondo nuovo, senza temere d’essere additati come avventati e velleitari come accadde anche ai partigiani e ai resistenti di settantacinque anni: i benpensanti erano e restano la maggioranza.
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Conosciamo già i tratti salienti del mondo nuovo, grazie a quanto studiato e sperimentato in questi anni: un’economia resiliente e non consumistica, cioè un’economia della sobrietà; la centralità dei beni pubblici rispetto agli interessi privati (diritti sociali, sanità universale, redistribuzione del lavoro come fari della politica); l’ascolto del pianeta Terra e l’attenzione a tutti gli esseri viventi, non solo quelli umani. Serve una nuova generazione di “resistenti”, una nuova minoranza che sappia tradurre in azione sociale e politica la visione di questo mondo nuovo. Molti stanno già lavorando in questa direzione. Detto alla rinfusa: i movimenti ecologisti giovanili, i movimenti sociali e politici impegnati contro il modello neoliberale e le sue grandi opere inutili, i sindacati che difendono i senza garanzie, i cooperanti e gli attivisti impegnati nel Mediterraneo e nei vari Sud del mondo, i costruttori di economie solidali e trasformative, i persuasi dall’enciclica Laudato si, i tanti che hanno a cuore la giustizia sociale. È una grande quantità di individui, gruppi, associazioni e reti ma non è ancora un movimento di resistenza, azione e cambiamento. Non c’è tempo da perdere, occorre unirsi, organizzarsi, agire; la memoria del 25 aprile serve a rammentarci che un altro mondo non è solo necessario ma anche possibile.

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