di Lino Di Gianni*
Nella piccola città in cui abito, Avigliana, a trenta chilometri da Torino, se cammino a piedi nell’unico corso che attraversa tutto il paese, capita di incontrare spesso belle persone.
Come ieri, dopo l’arrabbiatura nell’attraversare, di un anziano abitante che non rispetta la precedenza dei pedoni, e quasi mi investe sulle strisce, mi capita di incontrare Moussa. Avevamo raccolto soldi per la terribile notizia della morte di sua figlia piccola. Lui non aveva potuto andare al suo funerale. C’era stata una bella gara di solidarietà: mi ricordo anche l’offerta di una signora anziana, anonima, che manifestava così, con parecchi soldi, la sua vicinanza [leggi anche Yako (Mi dispiace, in Bambarà)]. Adesso Moussa ha preso la terza media, ha il permesso di soggiorno, lavora presso una cooperativa e partecipa ancora a spettacoli teatrali. Questa bella iniziativa teatrale nata qualche anno fa attorno a un regista, Beppe Gromi, e un gruppo di richiedenti asilo, diventati i Black Fabula.
Mentre cammino verso la stazione incontro la sorridente donna della Malesia, sempre molto dolce e con quell’aria svagata e fantasiosa che ho conosciuto in tanti giorni di scuola. Yvonne, lavora in un negozio di abbigliamento cinese, ormai da qualche anno. Suo figlio fa la quarta e vivrà tra il mondo della madre e quello del padre, italiano. Un bel retroterra ricco di esperienze, anche con il bagaglio della mamma che parla correntemente inglese e francese, ed è sempre molto ricca di fantasia.
Dopo il negozio di panetteria dove compro dei grissini ad acqua, artigianali, chiamati “ rubata” buonissimi, faccio ancora pochi passi e mi ritrovo a salutare calorosamente una bravissima amica fotografa, che con le sue splendide immagini segue gli spettacoli dei Black Fabula, ma anche quelli di cantanti importanti e famosi. Nella mattina incerta e nuvolosa ha una bella luce negli occhi
Quando vado all’ufficio postale, per ritirare dei pacchi, mi saluta una donna marocchina che è venuta a scuola per qualche anno, con molta voglia di imparare, che cercava di trovare il tempo nonostante tre figli da seguire.
Vicino c’è la mia scuola, la sede del Cpia, dove ci sono i corsi per adulti stranieri, al pomeriggio. Dovrebbero riconoscere a quel luogo il valore di importante presidio culturale, perché degli adulti che hanno subito gravi danni dalla guerra o dalla povertà, vengono tutti i giorni a scuola a imparare l’italiano, a incontrarsi con altri amici, a dimostrare la volontà di migliorare e cambiare il proprio destino:
come fecero i nostri nonni, andando a lavorare all’estero o venendo nel Nord dell’Italia, dove c’erano le fabbriche.
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