Racconti da un corso di italiano per stranieri
di Lino Di Gianni*
Quando qualcosa non funziona, i motivi ci sono sempre. Succede di far scrivere a un corsista africano, che ho visto solo una volta, il suo nome sul foglio delle presenze: lui lo scrive male, io gli dico che non si capisce. Inizia a protestare, col suo gruppetto di amici nigeriani. Chiede una gomma, cancella, la scrittura diventa incomprensibile, e mi guarda con aria di sfida, sempre parlando nel suo dialetto con gli altri e sghignazzando.
Mi arrabbio, e di solito non succede mai, non con questi ragazzi, che ne hanno già passate tante. Gli dico in inglese che questa è una scuola, non è la strada. Lui si incattivisce, si vede che si frena incerto se saltarmi addosso o lasciar perdere.
Io, in quel momento, penso che quando le cooperative che li accolgono non funzionano bene (perché ad esempio lavorano con duecento migranti invece di praticare l'”accoglienza diffusa“?), loro vengono a scuola e se la prendono con gli adulti italiani che incontrano. Ma di solito non succede, a scuola.
Si vede che la maggior parte di loro viene per un fine pratico e per uscire dalla ristrettezza imposta dagli sbarchi dall’Africa. Il fine pratico è imparare a leggere, a scrivere, iniziare a parlare quella lingua che non capiscono. Il motivo più importante è cercare un luogo dove essere riconosciuti come portatori di esperienze, con un’identità che avevano prima di migrare.
Il primo giorno che vidi arrivare a scuola un gruppo di trenta, quaranta migranti composto da donne, ragazzi e bambini piccoli, cercai una figura di riferimento che li accompagnasse. In quel caso c’era un giovane, intelligente mediatore culturale, africano, che poteva parlare con loro e con noi e favorire l’incontro, la comprensione reciproca, costruire un ponte di parole.
Perché la scuola per imparare l’italiano, per questi adulti migranti, ha bisogno di sapere molte cose: sapere quando passano i pullman, che dopo le 17, nelle vallate alpine, arrivano solo in rari casi e se perdi quelli non torni a casa. Sapere che se le madri vengono a scuola, qualcuno dovrà tenere i bimbi, alternandosi nei giorni. Sapere se hanno malattie, come quell’amico ferito in Libia e con la gamba che probabilmente ha sviluppato una cancrena, non essendo stata curata. Le malattie che hanno, e che spesso vengono trascurate, sono un altro capitolo importante, per capire perché da scuola a volte spariscono. In questo variegato mondo di mezzo, in cui capita di trovare anche qualcuno come Moussa sempre pronto a sorridere e andare incontro agli altri col suo Bambarà, gli insegnanti cercano di osservare se le radici che mettono a dimora avranno modo di crescere, e quando si scopre che qualcuno ha imparato a leggere, è come se arrivassero le prime arance dalla Sicilia, col sole dentro.
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