Sebbene non siano stati pochi a negarla, e qualcuno in modo spudorato quanto irresponsabile ancora lo fa, la tendenziale estremizzazione delle condizioni climatiche è nota da tempo. Dobbiamo aspettarci che proseguirà ancora per decenni. L’attenzione politica è concentrata sulla “mitigazione” dei cambiamenti, e dunque sulle politiche di riduzione delle emissioni di gas serra, ma l’inerzia del sistema climatico ci ricorda periodicamente che una parte dei danni sono già in atto e dunque inevitabili. Il direttore di Greenpeace Italia spiega perciò che il fattore climatico non va considerato come un potenziale disastro in arrivo ma un problema reale da affrontare nella gestione ordinaria nei diversi settori
di Giuseppe Onufrio*
Se sul tema dei cambiamenti climatici abbiamo assistito di recente a una drammatizzazione politica dal G7 di Taormina in poi, con un isolamento delle posizioni negazioniste di Trump e la ripresa di una iniziativa politica europea sostenuta in modo molto attivo anche dal governo italiano, la traduzione in pratica di questa linea tarda a farsi vedere.
Lo scorso 12 giugno è stata presentata la proposta di Strategia Energetica Nazionale – ancora troppo timida sulle rinnovabili e troppo fondata sul gas naturale – mentre il Paese è alle prese con l’ennesima siccità. Che ci ricorda che il clima sta comunque cambiando e che dobbiamo muoverci più in fretta: sia per ridurre le emissioni di gas serra sul piano internazionale al fine di evitare le conseguenze più catastrofiche dei cambiamenti climatici; sul piano nazionale per adattarci a una situazione climatica comunque in peggioramento, ed essere coscienti che una parte dei danni saranno inevitabili.
Infatti, la tendenziale estremizzazione delle condizioni climatiche è nota da tempo e dobbiamo aspettarci che proseguirà ancora per decadi. Se l’attenzione politica è giustamente concentrata sulla “mitigazione” dei cambiamenti climatici, e dunque sulle politiche di riduzione delle emissioni di gas serra, l’inerzia del sistema climatico ci ricorda periodicamente che una parte dei danni sono in atto e inevitabili. E che dunque vanno prese comunque misure di adattamento e il rischio climatico va incorporato nella gestione ordinaria nei diversi settori: viviamo in un clima che sta mutando e dobbiamo prenderne atto.
La diminuzione delle precipitazioni estive è evidente in tutta l’Europa meridionale – l’incendio in Portogallo è un esempio delle conseguenze di siccità prolungate – e tende invece ad aumentare nell’Europa settentrionale. In questo contesto, l’Italia è entrata in una vera e propria crisi idrica, con una disponibilità d’acqua che nel nord Italia è praticamente dimezzata rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con punte più pronunciate in Emilia Romagna che registra una disponibilità inferiore del 70% rispetto allo scorso anno. E questo accade all’interno di una tendenza molto pronunciata alla progressiva scomparsa dei ghiacciai alpini e la riduzione delle riserve d’acqua.
Le onde di calore – con i rischi di aumento della mortalità tra anziani e persone malate – presentano anche in Italia una tendenza crescente in gran parte dovuta al cambiamento climatico.
Di fronte a questo scenario dovremmo mettere in campo politiche attive in tutti i settori, dall’agricoltura ai sistemi energetici, dalla gestione delle foreste a quella delle emergenze sanitarie. Le alterazioni dei cicli idrogeologici – siccità prolungate in estate e fenomeni alluvionali in inverno – richiederebbero capacità di pianificazione e di gestione di cui si vede ancora ben poca traccia.
Cosa dovrebbe fare di fronte a questa situazione ormai strutturale la politica? Oltre ad essere più coerente nella Strategia Energetica – nella quale manca del tutto un obiettivo di decarbonizzazione al 2050, cui evidentemente non si crede – bisogna agire con maggiore incisività nelle strategie di adattamento. In un quadro in cui la siccità estiva è più frequente, la gestione degli utilizzi dell’acqua va ripensata e rapidamente.
Abbiamo già assistito al conflitto tra usi agricoli ed energetici – le centrali a combustibili fossili richiedono molta acqua – e questo tema tenderà a ripetersi. Bisogna intervenire sia accelerando la fuoriuscita dalle produzioni fossili ma anche modificando le pratiche agricole di fronte alla nuova situazione di carenza d’acqua estiva.
Un Piano d’azione contro la siccità era previsto dalla Convenzione sulla desertificazione ma, a parte una delibera Cipe del lontano 1999 (!), poco o nulla è stato fatto successivamente. La legge 152 del 2006 prevedeva l’istituzione delle autorità di distretto – stabilite ma non ancora operative – cui sono demandati i piani di vulnerabilità che dunque ancora non ci sono. Così come non esiste ancora un sistema di allerta per la siccità.
Un governo del Paese dovrebbe mettere in cima alle priorità politiche la difesa del territorio e l’adattamento nei vari settori alle nuove condizioni climatiche ed essere più coerente nella propria strategia energetica. Viviamo in un clima più caldo ed estremo, bisogna prenderne atto in modo più coerente e lungimirante.
Direttore di Greenpeace Italia
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