Ci sono maestri e maestre che dedicano molto tempo a cooperare tra di loro anche se il ministero non lo richiede, che sperimentano la scrittura collettiva con i bambini, che non smettono anche dopo molti anni di insegnamento di studiare e di mettere in gioco le loro passioni. Qualche giorno fa, Franco Lorenzoni, uno di quei maestri, ci ha raccontato che da diversi mesi si è messo a studiare l’incontro, la collaborazione e la “salutare influenza reciproca” tra due grandi maestri come Mario Lodi e Lorenzo Milani. Una cosa è certa: intorno all’arte dello scrivere Mario Lodi e don Milani “ci hanno lasciato pagine memorabili, ancora attualissime”, per chi è convinto che il pensiero critico nasca prima di tutto in piccole comunità
di Franco Lorenzoni
Uno figlio di impiegato, l’altro di possidente agrario, uno di cultura padana e contadina, l’altro cittadino di Firenze e altoborghese. Uno di tradizione laica e socialista, l’altro di famiglia ebraica, convertito ad un fervente cattolicesimo. Uno sosteneva che per educare alla Costituzione era necessaria la parola gentile, l’altro forgiava frasi affilate e contundenti, che per tutta la vita ha scagliato con veemenza. Uno morì a novantadue anni, al termine di una serena vecchiaia, l’altro si spense giovane, a quarantaquattro anni, dopo una lunga e sofferta malattia. Non potremmo immaginare due vite più diverse, se non per via della data di nascita e del mestiere scelto, perché tanto Mario Lodi che Lorenzo Milani furono maestri e si dedicarono ai loro ragazzi con straordinaria intelligenza e passione.
L’ultima richiesta a un amico
Un mese prima di morire, appena uscita Lettera a una professoressa, don Milani chiese a un suo allievo di scrivere a Mario Lodi, domandandogli di recensire quel testo. Edoardo scrisse: “Al priore piacerebbe che lei sottolineasse il fatto del nostro scrivere in squadra di cui lei sa qualcosa e che lo stile apparentemente personale è concisione ottenuta con un lungo lavoro”.
In Lettera a una professoressa le pagine che descrivono il metodo utilizzato per la scrittura già avvertivano:
“Dopo che s’è fatta tutta questa fatica, seguendo regole che valgono per tutti, si trova sempre l’intellettuale cretino che sentenzia: Questa lettera ha uno stile personalissimo”.
Don Milani ci teneva molto a evitare che quelle parole, così faticosamente messe insieme, non finissero in pasto alla critica di “intellettuali cretini” o prevenuti, che sembra non smettano mai nascere e affacciarsi alla ribalta.
Ora, a capire perché in quella battaglia di chiarezza Milani contava su Mario Lodi, ci aiuta L’arte dello scrivere, un piccolo libro importante edito dalla Casa delle Arti e del Gioco – Mario Lodi. Raccoglie ricostruzioni e documenti in parte inediti, scelti con cura da Cosetta Lodi e Francesco Tonucci. Lo consiglio a tutti gli insegnanti perché parla di cosa può generare l’incontro tra due maestri, avvenuto quattro anni prima, a fine agosto del 1963, quando Mario Lodi fu accompagnato da Giorgio Pecorini a conoscere quel prete strano.
Quando l’ospite arrivò a Barbiana don Milani non interruppe la sua meticolosa lezione sull’affresco. Solo alla fine lasciò i suoi ragazzi porgli molte domande, una volta che avevano saputo che Mario faceva il maestro. “Avevano imparato a far domande senza badare a chi avevano davanti e andavano all’essenza delle cose”, ricorda Lodi.
Poi, quando si ritrovarono da soli, Milani volle capire cosa fosse il Movimento di Cooperazione Educativa, a lui sconosciuto. Lo incuriosì molto la pratica della corrispondenza scolastica e ragionarono sui un eventuale scambio di lettere tra i ragazzi di Barbiana e i bambini di Piadena. Il giorno dopo, prima che Mario Lodi ripartisse, Milani disse che avrebbe letto C’è speranza se questo accade al Vho e gli altri libri del MCE che il maestro aveva portato e che, qualora avessero deciso di intraprendere quella corrispondenza, glielo avrebbe comunicato entro novembre.
Nei due giorni fitti di confronto ciò che maggiormente interessò il Priore fu tuttavia il metodo della scrittura collettiva, che il maestro di Piadena andava sperimentando in quegli anni.
I consigli accolti da don Milani
Ricordando quell’incontro anni dopo, Lodi scrive:
“Certi l’hanno dipinto come un uomo orgoglioso che non accetta consigli; io ho provato il contrario. Non so però se la svolta che ha operato nel suo metodo d’insegnamento sia dipesa dai discorsi che abbiamo fatto e dai libri del MCE che ha letto, o se era già maturata in lui l’esigenza di dare un aspetto nuovo, sul piano metodologico, al suo insegnamento. Dal giorno in cui mi aveva fatto quelle dichiarazioni… alla lettera del primo novembre, una svolta c’è stata, ed è stata meditata. Quella lettera in cui parla di come i suoi ragazzi hanno scritto ai miei, è veramente un documento ad altissimo livello; qualcuno l’ha paragonata a certe lezioni del Pestalozzi”.
“Sul piano metodologico aveva operato un cambiamento radicale: dall’autoritarismo di “trasmettitore” di cultura, di principi e di valori, era passato a quello di guida alla scoperta dei valori partendo dalle motivazioni della vita. (…) Probabilmente io sono arrivato là quando lui stava meditando e maturando questo “cambiamento”. In questo caso posso aver agevolato le sue decisioni”.
Riuscire a esprimere compiutamente quello che siamo
La prima lettera scritta dai ragazzi di Barbiana ai loro compagni della pianura arrivò puntualmente a novembre ed era accompagnata da un’altra, che Milani scrisse al maestro di Piadena.
“Il lavoro di questi ultimi tre giorni è stato entusiasmante per me e per i ragazzi. Straordinaria la possibilità, in questa fase, dei più piccoli di trovare qualche volta soluzioni migliori dei grandi. Pochissima incertezza: in genere la soluzione migliore s’impone molto evidentemente alla preferenza di tutti. Infatti, ormai che s’era stabilito cosa volevamo dire, non restava che trovare il modo migliore di dirlo e su questo in genere non c’era molto da discutere. Esiste oggettivamente una soluzione che è migliore delle altre. In questa fase si possono studiare insieme tutti i problemi dell’arte dello scrivere: completare e semplificare. Finir di cercare quel che non si è ancora detto, cercare di dire col minimo di mezzi. Cercare di indovinare la reazione del lettore, eliminare le ripetizioni, le cacofonie, gli attributi e le relative, i periodi troppo lunghi, ridomandandosi all’infinito se un dato concetto è vero, se è nel suo giusto valore gerarchico, se è essenziale, se il destinatario avrà gli elementi per comprenderlo, se provocherà malintesi. A questo punto c’è venuto fatto di cercare di eliminare anche le frasi che suonano troppo vanitose. Ma ci siamo poi imposti di non farlo. L’arte dello scrivere consiste nel riuscire a esprimere compiutamente quello che siamo e che pensiamo, non nel mascherarci in migliori di noi stessi. Del resto l’orgoglio di questi ragazzi l’ho coltivato io volutamente per anni. Quando ho davanti uno studente o un cittadino faccio di tutto per umiliarlo, levargli un po’ di sicurezza in sé. Quando ho un contadino o un operaio cerco proprio il contrario: di dargli un po’ di sicurezza di sé ”.
La lettera (che si trova qui nella sua interezza) mostra bene l’esito della condivisione tra i due maestri nella ricerca intorno all’arte dello scrivere. Del resto, proprio in Lettera a una professoressa, i ragazzi guidati dal priore scriveranno, quattro anni dopo, che “l’arte è il contrario della pigrizia”, dopo avere affermato che “l’arte è una cosa seria, ma fatta d’una tecnica piccina”.
Una tecnica piccina
Intorno a questa tecnica piccina sia Mario Lodi che Lorenzo Milani ci hanno lasciato pagine memorabili, ancora attualissime per la scuola di oggi. Ancora don Milani:
“Caro Maestro, la ringrazio d’averci proposto quest’idea perché me ne son trovato bene. Non avevo mai avuto in tanti anni di scuola una così completa e profonda occasione per studiare coi ragazzi l’arte dello scrivere. Per noi dunque tutto bene anzi sono entusiasta della cosa. Per voi invece temo che la lettera non vada. Lanciati a studiare il massimo di capacità di esattezza d’espressione di questi ragazzi ci siamo un po’ dimenticati dell’età dei lettori. Non che non ci si pensasse, ma è successo un fenomeno curioso che non avevo previsto, ma che dopo il fatto mi spiego molto bene: la collaborazione e il lungo ripensamento hanno prodotto una lettera che pur essendo assolutamente opera di questi ragazzi e nemmeno più dei maggiori che dei minori è risultata alla fine d’una maturità che è molto superiore a quella di ognuno dei singoli autori. Spiego la cosa così: ogni ragazzo ha un numero molto limitato di vocaboli che usa e un numero vasto di vocaboli che intende molto bene e di cui sa valutare i pregi, ma che non gli verrebbero alla bocca facilmente. Quando si leggono ad alta voce le venticinque proposte dei singoli ragazzi accade sempre che o l’uno o l’altro (e non è detto che sia dei più grandi) ha per caso azzeccato un vocabolo o un giro di frase particolarmente preciso o felice. Tutti i presenti (che pure non l’avevano saputo trovare nel momento in cui scrivevano) capiscono a colpo che il vocabolo è il migliore e vogliono che sia adottato nel testo unificato. Ecco perché il testo ha acquistato quell’andatura e quel rigore da adulto (direi anzi da adulto che misura le parole! animale purtroppo molto raro). Il testo è cioè al livello culturale dell’orecchio di questi ragazzi, non al livello della loro penna o della loro bocca ”.
Somiglianze e differenze
Le distanze culturali tra i due maestri non erano poche e non si hanno notizie di una qualche prosecuzione della loro relazione diretta. È significativo, tuttavia, che l’avere condiviso una pratica ritenuta decisiva per entrambi, abbia stabilito tra i due una collaborazione a distanza, la cui intensità si può misurare nella salutare influenza reciproca, che fu generativa per entrambi, pur lavorando in contesti del tutto diversi.
Mario Lodi, in un colloquio con Ida Salviati del 2011, ricorda che
“c’erano molte somiglianze ma anche profonde differenze. Il nostro obiettivo era la difesa della scuola pubblica e don Lorenzo aveva realizzato una scuola privata, lui identificava la sua parrocchia con la scuola. Noi avevamo le classi divise per età, lui invece aveva una sola classe che andava dai sei ai quattordici anni e anche più. (…) Lui diceva “arrivare alla fede attraverso il ragionamento” e noi dicevamo “arrivare alla conoscenza della libertà attraverso la pratica della libertà”.
Leggendo questa ricca e documentata ricostruzione di quel momento di incontro mi viene da pensare che tra maestre e maestri che amano il proprio mestiere spesso accade così. Viene spontaneo cooperare e darci reciprocamente consigli, suggerimenti e strumenti operativi, come mi sembra avvenga più raramente, ad esempio, tra i professori dell’Università. Non so se è un’illusione, ma è come se la vita quotidiana che condividiamo con bambini e ragazzi ci spinga a pescare ovunque pratiche efficaci e idee capaci di allargare il respiro del nostro operare, senza tanto pensare a chi sia venuta per prima l’idea, che alla fine non si sa bene da dove sia scaturita. Proprio come nella scrittura collettiva.
Del resto, come meravigliosamente scritto in Lettera a una professoressa,
“dicesi maestro chi non ha nessun interesse culturale quando è solo”.
Fiorella Palomba dice
Sono figlia di questa cultura cooperativa e l’ho praticata sempre. In particolare con l’Associazione AltraMente conducendo Laboratori di Scrittura il cui obiettivo è stato la realizzazione di libri, presentati poi in Libreria e nel Comune di Roma.
Un lavoro che ci ha coinvolti con passione, adulti e studenti di scuola media.
La ricerca di parole insolite con cui su sono costruiti racconti è stato possibile perchè abbiamo realizzato una rete cooperativa anche con una scuola italiana di Madrid.
Esperienza indimenticabile *_*