Cinque anni vissuti in modo avventuroso facendo dell’apparente impossibilità di sostenere un progetto molto ambizioso un discorso comune. Un ampio zibaldone che rilegge in modo non sistematico appunti sparsi sulle ragioni di chi lo scorso anno ha scelto di fare Comune insieme a noi. In attesa di lanciare, alla fine di aprile, la campagna del 2017
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a cura di Marco Calabria
In un’occasione come questa, magari, prima di fare un bilancio, esercizio che lasciamo volentieri ai ragionieri delle esperienze, è bene presentarsi. Però, lo sapete, per noi è difficile definirci, è difficile rispondere a qualsiasi domanda, figuriamoci alla domanda delle domande: cos’è Comune? Chi sono i Comuneros? Allergici come siamo a ogni tema identitario, possiamo rispondere come abbiamo sempre fatto: siamo quel che facciamo, aprite il sito e buona lettura. Se proprio insistete, però, potremmo provare a guardare in modo libero dentro a quel che chi fa Comune con noi ha scritto per sostenerci. Una lunga passeggiata, anche piuttosto esauriente, in quel che percepisce e ci scrive chi ha aderito alla campagna Facciamo Comune Insieme, che si conclude oggi, primo aprile, quando compiamo cinque anni, il primo lustro di Comune, dandovi appuntamento a fine mese, per scoprire la campagna nuova. Anzi, per esagerare, possiamo forse anticiparvi che di campagne di Comune, nel 2017, proveremo a farne perfino due. Una di primavera e una d’inverno. Voilà.
Collage
Cominciamo, naturalmente, da quel che manca. Manca quel che manca, recitava un’espressione iterativa piuttosto nota e a noi molto cara. L’hanno inventata certi indigeni che nel 1994 hanno aperto un cammino in una selva conosciuta anche come “desierto de soledad”, deserto di solitudine. Siamo qui anche perché quel cammino è stato aperto e non ha ancora cessato di rivolgerci domande.
Mancano, dunque, in molti. Mancano, ci mancano, non solo quelli che, a Dublino (Laura) e a Pisa (Donatella), a Vicenza (Daniela) e a Montevideo (Raúl), avrebbero certo voluto venire e oggi non sono qui a Roma. “Passate una bella giornata insieme. Dovremmo farlo ovunque noi siamo”, ci scrive Emilia, cogliendo a pieno uno dei concetti essenziali che segnano il “fare” di Comune, quello di risonanza. Si tratta della forma di relazione tra le resistenze più aperta, libera e creativa. La forma meno segnata dalle fatiche ripetitive e ingessate, dalle calcificazioni organizzative, la forma con cui noi proviamo a immaginare ogni giorno la dimensione mondo. Anche perché bisogna pensare il mondo in ogni quartiere e non uscirne per pensare al mondo, come dice Miguel Benasayag, autore con Florence Aubenas di “Resistere è creare”, il libro che regala il titolo al nostro incontro di oggi.
“Manca quel che manca”, è diventato poi anche il sottotitolo di un romanzo giallo, scritto non a caso a quattro mani, cioè messo in comune, da due notevoli penne di idioma ispanico, quella del Sub-comandante Marcos, estinto in un mondo passato, e quella di Paco Ignacio Taibo II, che scrive ancora cose molto preziose. Quel romanzo si chiamava Muertos incómodos e in Italia fu pubblicato a puntate dal settimanale Carta, un’altra risonanza di un certo rilievo per il Comune dei giorni nostri.
Il morto più scomodo che abbiamo avuto quest’anno noi, è certamente Bruno Amoroso, che nell’adesione a Facciamo Comune Insieme, la nostra campagna del 2016, parlava della “compostezza di Comune nel mantenere aperta una finestra di libertà di espressione”. Ecco, la compostezza, la sobrietà, il rigore non sono buone pratiche, per noi sarebbero piuttosto grandi ambizioni. Possono indicare una distanza importante, forse perfino siderale, dal rumore di fondo dell’informazione che va per la maggiore, quella inutile.
Di “liberare informazione e conoscenza, condividerle, elaborarle e poi condividerle ancora in una realtà in cui siamo tutti creatori e fruitori”, ci parla Felynx, alludendo, forse, al solo futuro possibile per un giornalismo del nostro tipo. Di certo non un lavoro, forse un po’ di mestiere, magari un “fare” che provi a recuperare un qualche senso di sè. Gli fa eco Massimo: “Come si fa a non sostenere un viaggio che è anche di chi legge e non solo di voi che scrivete?”. D’altra parte, annota Alice, “Sostengo Comune perché parliamo la stessa lingua… Con i suoi articoli, reportage e approfondimenti, porta alla luce una miriade di esperienze, persone, e riflessioni volte all’autorganizzazione, al cambiamento profondo e vitale, all’autonomia e alla democrazia diretta”.
“Il sapere ci rende liberi, la condivisione fa crescere”, scrive Santa. Condividere un viaggio, quello citato da Massimo, venuto anche oggi da Napoli, è mettere in comune un cammino, la consapevolezza di non bastare a se stessi e di non essere soli. Comune è “aria pulita. Che fa respirare il cervello e fa sentire meno soli”, scrive Eugenio. “Da quando ci siete voi nella mia vita mi sento meno sola” ripete Maria, la maestra del pane e olio. “Voglio condividere la consapevolezza di non poter fare sempre tutto da soli”, precisa Sonia. “Si comincia da soli, dentro di sé, e si continua aggregandosi, facendo “comune”, scambiando, condividendo, amandoci”, sostiene Cinzia, che vuole talmente bene a Comune che ha sviluppato una passione esagerata per i verbi, perfino per il gerundio: amandoci. Di amore – che esagerazione! -, parla pure Marines: “Siete la sinistra, siete indispensabili, vi amo”. Esagerata? Sì, certo esagerata. La sua dichiarazione è da leggere solo in casi estremi, quando ci capita – e capita spesso – di pensare che forse sarebbe meglio dedicarsi al giardinaggio, ma che bell’antidoto al veleno della routine e alla discreta o colossale fatica (dipende dai punti di vista) di fabbricare diverse migliaia di pagine che in cinque anni sono state lette cinque milioni e mezzo di volte. Dalle 283.941 dell’intero 2012 alle 487.234 dei soli primi tre mesi del 2017. Fin qui ce l’abbiamo fatta, viene da dire. E forse ne valeva la pena.
Il gioco
“Un po’ per uno ce la facciamo”, manda a dire Peppe dal Brasile, scusandosi di poterci inviare “in un periodo di grosse difficoltà” “solo 100 euro” per la nostra campagna. Per fortuna c’è Paolo che ha le idee più chiare: “Chi non s’abbona a Comune c’ha er Suv nella testa”. Semplice ma efficace, no? Un po’ come Maya, la nipotina più bella e giocosa che abbiamo: “Comune è di famiglia, uno Zio tra la parola ‘Comunica’ e la parola ‘Ne’”. Sì, da noi il gioco non è certo un’attività ricreativa, è un po’ l’essenza, la sola “fase costituente” per la quale non sviluppiamo allergie. “Scampanelliamo insieme”, è l’esortazione di Anna. “ Se non ci foste dovremmo inventarvi”, scrivono Eliana e Sergio, che forse non si conoscono tra loro, “Diventiamo alberi”, propone Francesca. “Hasta la bici siempre”, è l’arrivederci di Rotafixa. “Quando arriva la newsletter di Comune è sempre un momento magico”, rincarano a Binario Etico. “Perditempo contro la dittatura dell’efficienza”, insiste Michelangelo. E così via via fino all’”aderisco” senz’altre parole di Fioretta, all’”aderisco e partono il contrabbasso e il sax di Coltrane” di Daniele e all’ “Aderisco volentieri a questo vostro-nostro nuovo gioco”, del nostro catastrofista per antonomasia, Enrico.
Del gioco, com’è a tutti noto, sono maestri (non esclusivi) i bambini. Materiale resistente, anzi resistentissimo, e infinito serbatoio di creatività. D’altra parte “Ce ne fottiamo di essere compatibili col loro presente, noi vogliamo adeguarci al nostro avvenire”, sintetizza Davide, quello dei Territori della sensibilità planetaria. Va da sè che di bambini, maestri e scuola Comune non possa che occuparsi a iosa. Perché “occorre pensare oltre questo presente sapendo riconoscere i germogli di un altro modo d’intendere l’educazione”, perché si possa re-imparare insieme ai bambini “il sapore delle cose, il tempo e lo spazio”, in un territorio comune dove la vivibilità per i più piccoli sia garanzia della vivibilità per tutti, una vivibilità più lenta, meno satura e oppressa dai bisogni delle merci”, precisa Paolo. Quelli della Rete di cooperazione educativa lo dicono in un altro modo, piuttosto geniale: c’è speranza, se accade. “Siete come lo spacciatore di lenti di Fabrizio De Andrè ma voi spacciate anche storie, idee, speranze”, sostiene Marco.
La speranza
Ecco, la speranza. Perché Comune parla tanto di speranza? Non sarà buonismo? Non sarà un concetto abusato e persino più svuotato di senso di quello di democrazia? Non ce lo avrà suggerito papa Francesco, che abbiamo perfino incontrato qualche tempo fa? Perdonerete, forse, la (sola) autocitazione che azzardiamo, ma il 13 agosto dello scorso anno, nell’annunciare il crack tecnologico che c’impediva di “lavorare” nel resto del mese, scrivevamo: “… Abbiamo anche imparato a distinguere il desiderio dalla speranza. Possiamo desiderare di nuotare come Phelps ma difficilmente realizzeremo quel desiderio. La speranza, invece, per esempio quella di costruire mondi nuovi, per vivere deve potersi alimentare di una relazione con la realtà. La speranza appartiene alla vita, è la vita che si difende, come annota il genio di Julio Cortázar”. Ecco, vedete, una risposta, magari una sola, l’abbiamo data: la speranza, per noi, è la vita che si difende, che resiste.
Claudia l’ha capito benissimo: “ Sostenere Comune significa scommettere, giorno dopo giorno, che per il nostro fragile pianeta, devastato e ferito, e per i suoi figli malati, affamati e soli, esiste ancora una speranza”. Così come Rosetta: “Comune tiene accesa la speranza” e Laura: “Comune rappresenta il mio angolo di speranza…Voglio che continui ancora per molto tempo, perché se non riuscirò a consegnare alle mie figlie un mondo migliore, so che almeno quel mondo potranno leggerlo”. E ancora Maria Grazia: “Aiutarvi significa aiutare noi tutti a coltivare la speranza che non siamo soli e che il desiderio di cambiarlo, questo mondo, voi riuscite a tenerlo ancora vivo”.
Senza gerarchie
Certo, anche la speranza, può esser declinata in modo assai plurale. Da quello di Elettra: “E come si potrebbe ormai perdersi il mare di impulsi magnetici che ci catturano ogni giorno tramite Comune! Siete presenti dove si annida la speranza, dove la pedagogia buona chiama alla militanza del bello e del giusto. Sempre attenti con la sensibilità dei giusti, verso gli ultimi che si fanno primi in ogni vostra pagina”. A quello di Pina: “Eccomi. Fate un giornale comune che ti fa sentire parte, che accende speranza e nutre i saperi del cambiamento, connette, allarga”. Sa usare i verbi, e usa quelli giusti, Pina. Dovrebbe scrivere di più, perché “leggere un testo scritto bene raddoppia il piacere”, annota Fiorella.
“Fare Comune significa pensarsi oltre la porta di casa”, scrive bene Monica. La nostra porta dev’essere ben aperta e proveremo a spalancarla sempre più, come suggerisce Marcello. Alle volte, tuttavia, c’è bisogno di un fuori e di un dentro, perché “sapere che le mie parole possono trovare sempre una casa è come scaldarsi davanti a un camino dopo la tempesta”, scrive Caterina da Siviglia. Di casa, una delle più spontanee associazioni di senso con la parola “comune”, o comunque di un luogo, un territorio, uno spazio e forse un tempo che si può condividere, parlano anche Delia, regina dei nostri giochi, “In Comune io mi sento a casa”, e Fabrizia: “Nello spazio di idee, valori, pratiche e condivisioni di Comune mi sento a casa. Comune è il punto di vista di coloro che stanno in basso, dalla parte della terra e accolgono il cielo in terra. Poi, Fabrizia conclude citando ancora l’estinto Sup: “Siamo un popolo di sognatori, per questo siamo invincibili!
Qualcosa di simile pensa anche Emilia: “Da molto tempo cercavo un luogo dove condividere, dove fosse possibile fare un cammino comune. Non lo cercavo, a dire la verità, nel virtuale. Ho collaborato con molte associazioni, ma c’è sempre stato qualcosa che mi faceva dire: questo non è il posto che cercavo. Mi sono meritata così l’appellativo di “cane sciolto”…Poi ho incontrato Comune…Quello che mi ha subito colpito è il vostro entusiasmo, la vostra volontà di continuare e di cercare, ma soprattutto la vostra “umiltà” (chissà poi perché Emilia mette le virgolette, ndr): quella bella che non prevarica, che ascolta, che legge in modo instancabile…Sapete mescolare il punto di vista di gente comune con quello di gente famosa come Fiorella Mannoia, senza gerarchie. Un altro punto fondamentale è che le recriminazioni contro chi ci governa quasi non compaiono, perché date per scontato che da loro non ci si debba aspettare niente, perché la politica vera deve partire dal basso. Cercate sì un orizzonte, ma anche la concretezza, e mettete sempre in dubbio tutto. Da questo tipo di dialogo si esce cambiati”. Emilia, insegnante a Torino, è una che la sa lunga in fatto di Comune, eppure non l’abbiamo mai vista.
Altrettanto lunga la sanno vecchi e intramontabili compagni di mille trincee. Come Alberto, il cuore più irriducibile di Comune: “Sono convinto – e ogni evento che studio me lo conferma – che l’unica via oggi percorribile è quella dell’anticipazione in tutti i suoi aspetti di una società alternativa a quella imposta e sfruttata dal sistema dominante. Dal clima al patriarcato, dobbiamo sottrarci alle logiche della crescita e del profitto…Voi siete sulla strada giusta, non importa quanto faticosa, e io sono con voi. Per fare cosa, lo decideremo insieme, giorno per giorno”. Oppure come Gianluca: “Comune fa informazione a partire da quello che è socialmente utile, quello, insomma, che dovrebbe fare la Sinistra. Racconta la parte migliore della società. Le ribellioni che producono fatti e non astrazioni. Quando non la pensa come te, non te lo manda a dire: con gentilezza e buone maniere ti mette ko. Mi piace e lo sostengo anche quando è politicamente scomodo”. Vecchia classe, Gianluca, come ne nascono pochi, ormai.
L’autonomia del pensiero
Su una falsariga simile, si esprime Andrea: “Abbiamo bisogno delle vostre critiche”. Stringato e sostanziale, un altro veterano, Eugenio: “Cento euro per sostenere il lavoro favoloso che fate”. Molto filosofico, Paolo, che insegna nel bosco di Ostia: “Comune diffonde quegli ideali che sanno molto di umanità”. Pragmatico, Carlos: “Un proyecto que conviene apoyar”. Didattico, Enzo, il nostro primo sguardo sulle città: “Con i miei studenti, all’università, discutiamo spesso gli articoli di Comune”. Insolitamente solenne, Bifo: “Sostengo Comune perché credo sia un dovere di ogni persona pensante aiutare il pensiero a circolare, a riprodursi, a creare. Solo l’autonomia del pensiero può riaprire il cammino del progresso, dell’uguaglianza, della solidarietà, che il conformismo e il cinismo mediatico sembrano aver cancellato”. Profondo, infine, Francesco: “Provare a ‘tirare fuori’ o rendere visibile il “comune” da quel che ci accade intorno“.
Sul concetto ‘alto’ di comune, e in modo assai preciso, torna anche un altro Massimo: “Fare comune è fare in comune, e questo è l’unico modo di costruire una forza sociale abbastanza potente da cambiare il mondo e il modo di riprodurre le nostre vite e la nostra terra. La vostra/nostra rivista-web si fonda su questa grande, grandissima intuizione, mettendo insieme lezioni di vita, di tecnologie, di pratiche e convivialità di pensiero”.
Utilizzano Comune per fare luce Stefania, che a Roma promuove lo straordinario Festival della zuppa: “Spero che Comune possa continuare a nutrire e a fare luce sui percorsi di persone che costruiscono l’utopia giorno dopo giorno” e Alice, che a Padova; cerca di realizzare un progetto di educazione libertaria: “Con i suoi articoli, reportage e approfondimenti, Comune porta alla luce una miriade di esperienze, persone, e riflessioni volte all’autorganizzazione, al cambiamento profondo e vitale, all’autonomia e alla democrazia diretta”. “Dal Salento sosteniamo Comune perché il grido degli ulivi che vengono sradicati da un sistema politico sempre più marcio, voi l’avete ascoltato e amplificato”, ribatte un’altra Stefania. “Da 37 anni lavoriamo a sostegno dell’economia sociale e dell’economia solidale. Ci sentiamo molto vicini a Comune”, mandano a dire dalla Mag di Verona.
Raccontare, difendere, accompagnare
Questo pensiamo di saper e poter fare: raccontare, difendere e accompagnare i movimenti. Sempre, o quasi sempre “in direzione ostinata e contraria”, come chiede Rossella, perché “oggi sembra di vivere un inverno rigidissimo” (Alessio) e “i tempi sono bui, l’isolamento e la frammentazione sociale tendono a dividerci e ci fanno sentire impotenti”, spiega Grazia che ci legge la mattina presto – come anche Fabio – “una boccata di ossigeno, un buon inizio di giornata”. “Un regalo che dura tutto l’anno”, scrive invece Elena da Genova, sorella di Carlo e quindi di tutti noi, dilatando generosamente il tempo e il calendario. Ecco, se pensate anche voi che tutto questo possa essere utile, non dimenticate mai di farcelo sapere, magari evitando di star a cavillare su “chi aiuta chi”, come ricorda Ezio. E magari anche “abbracciandoci”, come propone Giovanni da Cesena, forse ricordando le immagini simbolo della nostra primissima campagna intitolata “Nome Comune di Persone” Che sia però “un abbraccio grande come il mare” come quello che chiede (e riceve) Mariangela, pensando forse anche alle decine di migliaia di braccia che nel Mediterraneo quell’abbraccio non hanno avuto.
Parlare di “concentrazione di memorie collettive”, come fa Antonio, sembra francamente un po’ troppo. Forse meglio pensare a “un’altalena di sguardi tra passato e futuro”, come dice Fausto, ma la memoria a Comune c’è, eccome, ed è anche una memoria un po’ lunga. La memoria è un altro tassello essenziale che intreccia chi scrive e chi legge Comune. “Come potrei non dare il mio sostegno al vostro prezioso e instancabile impegno in cui riconosco pratiche, azioni che hanno segnato il mio lungo percorso dagli anni Settanta – il movimento non autoritario nella scuola e il femminismo -, una rivoluzione culturale e politica che proprio oggi si rivela più attuale che mai?”. Sono parole di Lea, una delle voci tanto profonde da toccare non solo il cuore ma anche l’anima di Comune. Come anche quella di Elisabetta, che fa il pane in casa col grano seminato da lei e raccoglie bacche di mirto in Sardegna per berne il succo con gli amici. E’ una che parla di “rivoluzione” e sa cosa dice, Elisabetta, e sa pure cosa vuol dire “amare ad ampio raggio”, una gran bella espressione.
La memoria, si diceva. Tra i sostenitori di Facciamo Comune Insieme c’è chi ci tiene forse anche a segnalare che cammina con noi fin dall’inizio. Per questo cita gli asteroidi (Ezio) e la Stazione Comune dei mondi nuovi (Vittorio) e il Ribellarsi facendo (Andrea), ricordando così i pochi articoli in cui in questi anni abbiamo parlato di noi, segnando, in qualche modo, certi percorsi a saliscendi della strada fatta fin qui. Lungo quei percorsi, però, abbiamo sempre saputo di non essere soli. Possiamo trascurare il governo e l’imperante ossessione della “governance”, perché sappiamo che c’è chi se ne occupa, spesso anche per noi. È un bel privilegio non vivere gli altri in modo competitivo, sapete? Così abbiamo detto a chiunque scrive per noi che non aveva alcun senso domandarci se volevamo gli articoli in esclusiva. Ci chiamiamo Comune, non basta? Non abbiamo alcuna informazione da vendere e nessuno deve comprarci in edicola né potrà mai comprarci in altri modi.
Non abbiamo, infine, nessun quarto o quinto potere da esercitare. Magari non ci si pensa, ma è un’altra comodità. “Non posso non sentirmi parte di questa meravigliosa famiglia dei senza potere che prova a ricostruire un mondo ‘altro’ dal basso, mettendo testa e cuore e piedi al servizio del bene comune e della nostra madre terra. Sono con voi e con me tutta la comunità delle Piagge”, scrive Alessandro, prete della periferia di Firenze. “Il vostro impegno a raccontare la società che cambia ci aiuta ogni giorno a capire che rovesciare ‘o sistema non è impossibile”, risponde Alex da Napoli, un altro prete molto amato per quello che fa e non per quello che si suppone sia.
In questo modo, insomma, Comune diventa, tra l’altro, non una ma molte, moltissime cose. Pensate e dette con estrema libertà: “Un amico che non si accontenta del sapere omologato” (Patrizia), “Dà valore agli invisibili che ci permettono di volare” (Emanuela), “Mi garbate”(Mara), “Io ci sto” (Paola), “Vicini alle persone” (Claudia), “Buon cammino”(Ludovico), “Agire il cambiamento” (Virginia), “Custodisco gelosamente tutte le newsletter” (Fabrizia), “Un simpatico formicaio” (Karim), “Comune è uno sguardo limpido sul mondo” (Annalisa), “E’ la mia pillola informativa” (Nives), “Il dottore con la soluzione più semplice” (Valerio), “Non cede alla pigrizia”(Bartolo), “Un volano per l’azione” (Diego), “Un antidoto all’impoverimento sociale e culturale” (Carmelita).
Quegli irresistibili grassetti arancio
Sì, ci sono sempre e solo elogi. Sarebbe un limite assai pericoloso ma per oggi chissenefrega: oggi si fa festa. E poi siete voi a esagerare. Sentite Ilaria: “Avete proprio colpito nel segno. Questo sito, le sue storie, il progetto che c’è dietro, la gente che ci lavora e ruota attorno al movimento dei resilienti, sono la nostra guerra partigiana… Sapere che in rete (in modo sottile ma neanche così sotterraneo), ben radicato nella realtà, c’è un mondo che respira e che vive cibandosi di cose nutrienti, è un gran sollievo”. Non basta? Esageriamo ancora? “Quando apro le pagine di Comune-info – prima ancora di entrare dentro gli articoli, di essere attratto da quegli irresistibili grassetti arancio, luminosi come i frutti su cui ti invitano a tornare, o dall’esile verde dei link, a metà tra il pistacchio e l’asparago, che quasi svaniscono nel biancoperla polveroso di quella carta virtuale che fa da fondo agli scritti – so, per certo, che prenderò “aria”, che ritroverò un po’ di respiro, qualcosa che ha a che fare con il soffio che qualcuno definisce ‘anima’… Ma l’aspetto più importante è che Comune-info è un luogo libero. E la libertà è la cosa più difficile, più rischiosa, più delicata, più pericolosa”. Mimmo, dell’Osservatorio sulle armi leggere, è fuori gara. Lui scrive poesia sul serio e qui ci fa davvero arrossire.
Farsi capire è un’altra cosa, signori miei. Anche per chi ha lavorato per molti anni con le parole. Potrete comprendere che fa un immenso piacere sentirsi dire “Comune parla la nostra lingua ma fa parlare anche noi”. Lo fa Daniela, che inventa una nostra testata fatta di foglie di piante officinali. Prima o poi le farà compagnia anche Patrizia, con la Taverna Comunale delle erbacce, quelle selvatiche, libere e irriducibilmente senza padrone, come le speranze che il mondo ha voluto seppellire nella terra più amata, la Palestina.
La Palestina, il Sudamerica, il mondo. Se un cruccio continuiamo ad avere, è certo quello, imperdonabile, di non riuscire a parlare di più e meglio dell’Asia e soprattutto dell’Africa. Eppure Mauro, dal Niger, ci racconta regolarmente il viaggio dei migranti diretti in Europa quando sono ancora alle prese col deserto del Sahel. E Luciana ci ha fatto seguire bene, quasi giorno per giorno, la dipartita di uno dei più potenti dinosauri africani, in Gambia. “Ribellarsi facendo. Niente di più bello e più vero, scrive da Dakar, è bello sapere che in Italia c’è ancora chi s’interessa alle nostre piccole grandi battaglie”.
Aprire i concetti
Forse non c’è davvero nulla di più assurdo, in Italia, che sentire l’Africa come una terra lontana. Per questo proviamo sempre, lo abbiamo fatto perfino sullo sciopero dell’8 marzo, a tenere aperta una prospettiva critica sulle pervasive “naturalità” dello sguardo neocoloniale.“Comune è un mondo dove ci stanno tanti mondi”, una citazione essenziale, quella di Michela. Volete sapere perché su Comune preferiamo declinare al plurale la parola mondo? Ce lo dice Rosaria, maestra di Puglia, che dell’adesione alla nostra campagna ha saputo fare addirittura una fiaba scegliendo l’uso didattico dell’incanto: “Abbiamo bisogno urgente di una nuova immaginazione, terrena e celeste, come spazio del desiderio e della conoscenza, come esperienza di trasformazione e di direzione del senso della vita”.
Quell’immaginazione, però, va innaffiata in modo costante. Lo dice Stefano: “Praticare ‘comune’ ogni giorno” e lo sa un altro Gianluca. “Resistere ogni giorno”. “Vi leggo come un’assetata”, esagera Helvia, “Siete una voce piena di acqua e di semi e insieme potremo far rifiorire questo deserto”. “Comune pianta semi di parole ribelli ed è un luogo dove si guarda senza veli all’abisso ma anche a come contrastarlo”. È vero, l’abbiamo detto spesso: non ci interessa molto analizzare le infinite ricomposizioni del capitalismo, molti altri lo fanno in modo eccellente, a noi interessa uscirne. E tentiamo di raccontare soprattutto le fatiche di chi, tra mille contraddizioni, ci prova in qualche spazio o in qualche tempo. “Non riesco mai a dar voce a molte cose che ho nell’animo. Comune ci riesce e mi spinge a fare di più”, sostiene Luciana. D’altra parte, come ricorda Paolo, “C’è sempre un solo modo di vedere le cose fino a che qualcuno non ce le fa vedere in modo diverso”.
La molteplicità dei punti vista, la capacità di spostare lo sguardo e di aprire concetti che sembrano chiusi, ecco le ambizioni, forse perfino i sogni di Comune. E Antonietta loda proprio la “capacità di girare lo sguardo verso ciò che sta già cambiando per interrogarne il senso. C’è consonanza con la politica delle donne che pratico da tanti anni nei collettivi femministi”. Grande mistero quello di tre uomini in cucina (a proposito: aderisco alla campagna perché mi piace quel che “cucinate” e soprattutto come lo “cucinate”, scrive un’altra grande Emilia. Quella è la metafora preferita per parlare della nostra micro-redazione), grande mistero – si diceva – quello del perché una redazione che vede tre uomini ai fornelli offra tanto spazio spazio alla lotta e alla discussione delle donne. Mistero, dite? Conoscete forse una critica al potere più corrosiva di quella portata nel secolo scorso – e oggi – dal femminismo? Beh, ce n’è una che magari non sarà andata così fino in fondo, ma in quanto a corrodere non può non essere citata, direbbe probabilmente Lino: “Hai preso la bandiera? Presa. Ma non odiavi le bandiere? Questa no. Come mai? C’è il faccione di Marx, quello che aveva disegnato il mio amico artista/operaio Pietro, durante l’occupazione di tutte le porte e i cancelli di Mirafiori. Nel 1980 abbiamo perso, ma nessuno dimentica un assalto al cielo. Buon vento, e largo al Fare Comune Insieme”.
Possiamo fermarci qui. Abbiamo tralasciato decine e decine di voci importanti e belle ma siamo andati ben oltre le nostre intenzioni. E poi c’è sempre chi ci viene in aiuto nei momenti di bisogno: “Comune parla di noi pur non avendo ancora scritto di noi”, hanno scritto le donne romane di Lucha y Siesta. Sono alcune delle parole più significative e belle che ci sono state rivolte. E poi ci sarà tempo per recuperare. L’anno prossimo facciamo sei anni, andiamo in prima elementare, come si diceva una volta. Ne vedremo delle belle…
Il disordine
Intanto, però, “l’inaudito è diventato quotidiano”, come ci ricorda Carlo citando Ingeborg Bachmann. Oggi è festa e non volevamo parlarne, della tormenta, del deserto di solitudine, della Quarta guerra mondiale, quella dell’accumulazione e di tutti gli Stati contro tutti i popoli, del caos che divampa. Già, il caos. Eppure è proprio nelle grandi crisi, nel mezzo di conflitti apparentemente poco spiegabili e spaventosi che sono nate le grandi rivoluzioni. Oppure, se preferite, che si può incidere maggiormente sulla ridefinizione del mondo.
Siamo forse appena all’inizio di un tempo diverso, segnato (per ora) dal dolore, dalla distruzione e da crolli terrificanti. Non riusciamo a comprendere quasi più nulla di quel che accade in profondità. Altro che sondaggi. In superficie, però, a pensarci bene, una sola cosa sembra ormai certa: grande è il disordine sotto il cielo. Ecco, la memoria: la situazione potrebbe essere eccellente. E un mondo nuovo, fatto di tanti mondi diversi, potrebbe cominciare adesso, da qui. Non c’è dominio possibile senza i dominati. Dipende da noi.
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