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di Penny*
Oltre alle fiabe, dobbiamo raccontare ai nostri figli la verità.
Dobbiamo raccontargli che esistono persone alle quali l’amore è sconosciuto. Non sanno cos’è e dove sia. Forse l’hanno perso per strada, o non l’hanno ancora trovato. Sono sole. Di una solitudine che spaventa. Può capitare. Ma se gliene parliamo non si sentiranno persi.
Dobbiamo raccontargli che non saranno eroi o eroine, oppure no. Non fa una gran differenza. L’importante che ognuno sia il meglio di ciò che può essere.
Dobbiamo narrargli che Cenerentole senza la Matrigna e le Sorellastre non potrebbero essere una Cenerentola. Che Cappuccetto Rosso ha bisogno del Lupo per superare la paura, e Biancaneve della Strega cattiva per cambiare la sua vita. Non basta un bacio per salvarsi; quando arriva il Principe il più è stato fatto.
Dobbiamo dirgli che siamo un po’ tutti streghe, lupi e Cappuccetti.
Raccontargli che la natura ha le sue regole, alcuni corpi non diventeranno grembo e saranno felici così, altri se ne faranno un cruccio, e soffriranno.
I nostri figli dovranno avere cura delle parole che useranno, più di quanto ne abbiamo avuto noi. Il verbo può farsi coltello, e ferire.
Dobbiamo raccontargli che usare nomi come “scapoli” e ” zitelle” per definire gli altri, è sbagliato. Per i primi l’accezione non è del tutto negativa, per le seconde, quel termine si usa con disprezzo.
Dobbiamo dirgli la verità: dall’alba dei tempi, le donne e gli uomini soli, servono agli altri come noi a sentirsi migliori. Proteggono il nostro castello fatato, anche quando di castello fatato non si tratta.
“Meglio che essere soli”, ci diciamo sollevati. E anche questo può succedere ai nostri figli: raccontarsi bugie per non affrontare il dolore.
Dobbiamo fargli sapere che il finale della vita è aperto, se non vogliamo che credano alle fiabe per sempre. E cerchino il lieto fine a tutti i costi.
Ma piuttosto che il loro finale sia lieto. Qualunque esso sia.
Dobbiamo fargli sapere che essere da soli non basta. Ma nemmeno avere un figlio basta. E nemmeno avere un amore.
Dobbiamo raccontargli che spesso siamo fatti di legno come Pinocchio. Tutti quanti. Allo specchio. Immagine uno dell’altro. Burattini che possono trasformarsi in umanità, e alleggerire il cuore.
Nessuna vita vale più di un’altra. Ogni persona ha diritto a scegliersi la sua. E, a volte, le cose capitano. Altrimenti saremmo onnipotenti.
Basta girare l’angolo sbagliato per allontanarsi da ciò che si desidera, oppure il contrario, beccare lo svincolo giusto per essere felici.
Dobbiamo raccontargli che esistono gabbie dentro cui abbiamo infilato le parole, che fanno male e sottendono a pensieri che generano altri pensieri, e diventano retaggi. Cultura su cultura. Storie su storie. Le bambine ci crescono dentro e i bambini pure, con quello che comporta.
E allora, quando parliamo di noi, dovremmo pensare solo al nostro nome. Ci appartiene, è una bella storia.
Non sono i mie figli a determinare chi sono, non è mio marito, il mio compagno, mia moglie. Non è la mia condizione di solitudine. Nemmeno il mio lavoro.
Spero che non lo sia nemmeno per voi, figlie mie.
Nessuna Principessa mi caratterizza, non vorrei un Principe, ma relazioni in cui stare bene. Per quel che riesco e quel che posso.
Sono io. Questo è il mio nome.
Oltre le fiabe, quelle che ci hanno fatto sognare, dovremmo raccontare un po’ di verità ai nostri figli. Sarebbero più pronti.
Le gabbie verrebbero aperte, e l’essenza di ciò che sono, potrebbe volare via. Finalmente libera. E noi con loro.
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* Insegnante e madre di due ragazze adolescenti. Sul sul suo blog dice di scrivere “per necessità” e che la sua ragazza quindicenne fa i disegni (come quello di questa pagina). Ha autorizzato con piacere Comune a pubblicare i suoi articoli, è il suo modo di fare Comune insieme, “è bello in questo mondo un po’ bizzarro sentirsi meno soli”
Vlad dice
finchè sono bambini raccontiamogli le fiabe e insegniamo loro il rispetto reciproco e valori giusti, per diventare adulti disincantati c’è tempo