Stralci di un articolo pubblicato da il manifesto il 10 maggio 2012.
L’attuale crisi economica è stata oggetto di molte analisi, a partire dal suo inizio, databile oramai quasi 5 anni fa. (…) Minor attenzione ha invece avuto l’analisi degli effetti sulla distribuzione del reddito (…). A colmare questa lacuna provvede l’ultimo libro di Mario Pianta, dal titolo già di per sé assai esplicativo: «Nove su dieci. Perché stiamo (quasi) tutti peggio di 10 anni fa» (Laterza, pp. 175, euro 12). Docente di Politica Economica all’Università di Urbino nonché collaboratore ed editorialista de il manifesto e animatore della campagna «Sbilanciamoci!», Mario Pianta è un attento analista dei processi di innovazione e crescita in Italia ed in Europa. Nei due capitoli centrali del libro, fornisce una dettagliata analisi della concentrazione dei redditi in Italia e del peggioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione italiana negli ultimi dieci anni (capitolo 3), alla luce del declino dell’economia italiana, negli anni del Berlusconismo e della massima ascesa del pensiero neoliberista (capitolo 2).
Leggere uno dopo l’altro i diversi dati sulla ripartizione dei redditi in Italia (con una dinamica crescente delle rendita, soprattutto finanziaria, un livello dei profitti superiore alla media europea e un calo della quota dei redditi reali da lavoro), e sulla disuguaglianza (il reddito di un «ricco» equivale a quello di 100 «poveri») fa impressione. (…). Dal lato dell’offerta si registra quello che Pianta definisce «Il miracolo italiano della produttività che diminuisce». A differenza di chi sostiene, anche all’interno dell’attuale governo, che tale esito negativo sia attribuibile alle rigidità del mercato del lavoro (e magari alla supposta pigrizia dei lavoratori) e alla burocrazia imperante, Pianta osserva che la struttura produttiva e tecnologica italiana non è adeguata a reggere la pressione competitiva internazionale, soprattutto per la presenza di due fattori che si alimentano a vicenda: imprese troppo piccole e carenza di investimenti in tecnologia e innovazione.
Sulla base di queste analisi, nel quarto e ultimo capitolo vengono discusse alcune possibili «vie d’uscita» dall’impasse sociale ed economico in cui l’Italia si trova. Esse si fondano essenzialmente su due assi principali. Da lato dell’offerta, si caldeggia la proposizione di una (mai veramente effettuata) politica industriale e tecnologica in grado di migliorare la produttività dell’economia italiana tramite processi di riqualificazione e riconversione dell’industria italiana lungo le linee delle nuove frontiere tecnologiche legata alle produzioni sostenibili e alle nuove tecnologie digitali. Si tratta in ultima istanza di affrontare il vecchio tema, presente nei movimenti riformisti del Novecento, di «che cosa e come produrre». Dal lato della domanda, si propone invece una politica di redistribuzione che faccia perno sia sulla riqualificazione della spesa pubblica e delle spese sociali (introducendo la garanzia di un reddito minimo – non si capisce, però, se incondizionato o meno – e rafforzando i servizi sociali pubblichi) che sulla riforma del sistema tributario a favore di una maggiore equità e progressività delle imposte. Infine viene proposta l’introduzione di una patrimoniale sulle grandi ricchezza e il possibile ricorso alla Tobin Tax a livello europeo. (…)
È ancora possibile ai giorni nostri l’attuazione di una politica «democratica» e «keynesiana», con il rafforzamento del ruolo del pubblico? L’autore ne è sicuramente convinto. La risposta potrebbe essere diversa se si considera che nel nuovo millennio i processi di valorizzazione e di accumulazione capitalistica, la nascita di nuove gerarchie legata alla finanziarizzazione dell’economia (per non parlare dei mutamenrti relativi ai rapporti tra pubblico e privato e tra capitale e lavoro), hanno subito una torsione profonda verso nuove forme di sfruttamento della cooperazione sociale e di espropriazione del comune, rispetto alle quali il semplice ritorno ad una governance pubblica può risultare insufficiente.
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