Le scuole non possono più funzionare con il modello di delega allo Stato e ai suoi rappresentanti. Il limite più importante dei due modelli imposti finora, statalista e aziendalista, è che sono modelli gerarchici, pensano di poter fare da soli senza il coinvolgimento delle persone. Tuttavia c’è chi immagina e sperimenta una gestione condivisa in cui i saperi, il tempo, le capacità utili all’universo scuola sono messe a disposizione anche e soprattutto dalle comunità locali, da genitori e nonni, da pensionati e cittadini attivi, da studenti di età diverse. Su come ripensare profondamente l’apprendimento lavora da tempo la stroardinaria esperienza dell’Universidad della Tierra in Messico, di cui ragiona Gustavo Esteva in «Senza insegnanti. Descolarizzare il mondo» (Asterios), uno dei temi dell’incontro pubblico con Esteva del 13 aprile a Roma. Qui, intanto, un articolo a proposito della condivisione nelle scuole
di Gianluca Cantisani
Il cuore del problema che voglio affrontare è il seguente: le scuole non possono più funzionare con il modello di delega allo Stato e ai suoi rappresentanti. Da diversi decenni si aspettano riforme che non arrivano e da almeno dieci anni i tagli hanno messo in crisi gli stessi servizi educativi e il diritto allo studio sancito dalla Costituzione. Inoltre, con la crisi economica, è ormai chiaro che la manutenzione degli edifici scolastici è abbandonata alla provvidenza.
La gestione condivisa richiede alla scuola e alla sua comunità di incontrarsi e confrontarsi per definire insieme il suo sogno, e un sogno condiviso può contare su risorse inaspettate, creative, forse infinite.
La crisi della scuola viene da più lontano della crisi economica che, tuttavia, oggi è l’occasione per fare un passo avanti. Il fatto che la pubblica amministrazione non è più in grado di assolvere da sola alla gestione e al funzionamento della scuola pubblica non dipende dai tagli ma dalla debolezza del modello della delega che è rimasto incastrato in meccanismi che non hanno nulla a che fare con il bene comune «scuola». Se si chiede ai cittadini italiani su cosa operare i tagli quasi tutti salverebbero la scuola; ma ciò non è rappresentato nel modello della delega che uniforma la scuola alle altre voci di spesa del bilancio dello Stato.
Il tempo della delega è scaduto anche per la scuola
Potremmo dire con uno slogan attuale: non è più il tempo della delega! Ma poi dovremmo porci il problema di quali alternative, leggere la realtà in trasformazione e comprendere che tempo è venuto. Ed allora dobbiamo riconoscere con onestà cosa funziona e cosa no in questo tempo che viviamo.
Non funziona lasciare la scuola ai soli «addetti ai lavori»; i lavoratori della scuola sono necessari e fanno la differenza ma non sono più sufficienti. Dopo l’unità d’Italia e per circa un secolo, con la forte spinta per l’alfabetizzazione che porta la scuola italiana a farsi carico anche delle condizioni di miseria di molti bambini, che vengono tenuti a scuola tutto il giorno e portati in vacanza nelle colonie per tenerli lontano dalle strade, la scuola ha avuto un ruolo straordinario di cambiamento a fronte della inadeguatezza culturale delle famiglie di allora.
Ma oggi, di fronte alle nuove sfide questo non è più sufficiente, servono altre strategie per dare un futuro alle giovani generazioni.
Non ha neppure funzionato, più recentemente, mettere la scuola in mano ai tecnici/manager perché le risorse umane sono vincolate, non ci sono capitali da gestire, né profitti da massimizzare. Né peraltro si è investito sulla formazione delle risorse umane che sono state abbandonate a se stesse. Si è giocato facile andando a tagliare le risorse senza dare alternative e affidandosi di fatto alle riserve di umanità diffusanella scuola dove di fronte al disagio ed alle difficoltà non si possono «chiudere le attività».
I modelli tradizionali
Tuttavia il limite più importante è che i due modelli (statalista e aziendalista) sono modelli gerarchici che partono dallo stesso principio: pensano di poter fare da soli senza il coinvolgimento attivo delle persone. Ed è per questo principalmente che hanno fallito. Perché la scuola è fatta principalmente di capitale sociale e la risorsa più importante a disposizione è da sempre la gratuità che segue le regole della condivisione, della partecipazione attiva, del cambiamento personale e collettivo.
Per fortuna abbiamo anche esperienze che hanno funzionato ed a cui possiamo riferirci per immaginare un modello diverso. Si tratta innanzitutto dell’esperienza dei decreti delegati che hanno scritto una pagina importante negli ultimi decenni sperimentando una scuola partecipata dai genitori e dagli studenti.
Il modello della gestione condivisa
Poi negli ultimi anni con riferimento all’ultimo comma dell’articolo 118 della Costituzione sono cresciute le esperienze di «sussidiarietà», di sostegno, di partecipazione e di scambio all’interno della comunità scolastica e con il territorio.
Una ulteriore chiarezza che abbiamo recuperato con la crisi economica è che è necessario guardare a modelli sostenibili; molte esperienze di sussidiarietà di questi ultimi anni hanno proprio questa caratteristica. Allora un modello sostenibile oggi per la scuola è la «gestione condivisa»: una gestione che metta in comune le risorse che una comunità ha e che chiama in causa tutti i cittadini e non solo i rappresentanti dello Stato.
Si tratta di partire da ciò che c’è: i locali scolastici di proprietà comunale/statale, il personale docente e non docente comunale (infanzia) o dello Stato, i genitori, i nonni, gli operatori che già frequentano le scuole quotidianamente, i progetti educativi, sociali, culturali, sportivi intorno alla scuola sostenuti dagli enti locali, da enti non-profit del terzo settore e fondazioni. E immaginare una gestione condivisa che sostenga le necessità educative e la manutenzione con le risorse che la comunità mette a disposizione. Che non sono solo economiche. Anzi è necessario partire dalle riserve di gratuità e pensare alle risorse economiche solo come uno degli strumenti a disposizione. Passare dal modello (spesso deviato) di «quello che si può fare con i soldi disponibili» al modello (in genere più sano) che si fa quello che è dovuto ai giovani, con o senza i soldi disponibili.
Il sogno delle scuole di comunità
Con questa nuova impostazione si è scoperto in molte esperienze che la comunità ha un enorme capitale sociale disponibile a mobilitarsi gratuitamente per il bene comune «scuola» e accanto ad essa; genitori e nonni, pensionati e cittadini attivi, studenti delle scuole secondarie e universitari, amministratori e funzionari pubblici che guardano al futuro della loro comunità. Per tutte queste persone è chiaro che la scuola è il futuro ed è necessario investire su di essa.
Con conseguenze immediate sul piano della gestione delle risorse economiche collettive. Cosa succede infatti dei nostri soldi con questo nuovo approccio di gestione delle scuole?
L’amministrazione condivisa permette una gestione più trasparente e quindi più attenta delle risorse pubbliche. E scelte più consapevoli sugli investimenti da fare. Può allora accadere in modo molto naturale che una comunità scelga di avere «una strada in meno» e dedicare le risorse pubbliche per «una scuola in più» o per la manutenzione di quella che c’è. O forse, investita del problema, troverà il modo, se sono entrambe importanti, di fare tutte e due.
La conclusione di questo percorso è che se i soldi sono una risorsa e non l’obiettivo la comunità riesce a realizzare i suoi sogni senza che essi siano un ostacolo. Si apre anzi un nuovo scenario: l’amministrazione condivisa richiede alla scuola e alla sua comunità di incontrarsi e confrontarsi per definire insieme il suo sogno, il progetto di sviluppo, di miglioramento, di cambiamento per il futuro. Ed un sogno condiviso può contare su risorse inaspettate, creative, forse infinite.
Una nuova strada per la scuola pubblica
Sono arrivato dove già molti studiosi ci hanno indicato negli ultimi anni. I beni comuni sono una miniera aperta, una risorsa intorno alla quale la comunità può trovare le risposte al proprio futuro mantenendo la qualità della vita e il soddisfacimento dei bisogni di ognuno.
E’ per questo che questa strada nuova per la scuola va rafforzata nelle esperienze, portata a conoscenza nei territori e resa «praticabile» a chi opera nella scuola (lavoratori e altri soggetti).
Se questa strada ha un cuore andrà avanti; se non si pretende di «far da soli» ma si permette al mondo della scuola di aprire esperienze multiple, ricche di sfumature e di soluzioni appropriate ai diversi contesti, questa strada può accompagnare le trasformazioni in corso verso la scuola del futuro.
Gianluca Cantisani, Labsus.org
Leggi anche:
I genitori di una scuola molto interculturale come la Di Donato di piazza Vittorio, a Roma, gestiscono gratuitamente nel pomeriggio alcuni locali e il cortile. La scuola è diventata uno spazio aperto per attività sociali, sportive, culturali, ma anche per il mercatino e il Gas
Un referendum consultivo sul finanziamento comunale alle scuole private
La scuola non è un ufficio, è arte, politica, cultura, compagnia, gioia
A cosa serve la scuola? A niente
La scuola azienda che produce forza lavoro, per fortuna, è in crisi
Il #6 dicembre di studenti e Fiom a Roma è stata una straordinaria protesta con precari e famiglie. Cortei e una decina di occuapazioni. Il fermento sociale romano è sempre più diffuso e multiforme. Cittadini e movimenti hanno smesso di aspettare il cambiamento
Proposta ai ragazzi di scuole in movimento
La redazione di Comune-info offre alle scuole un piccolo contributo con un elenco di 15 proposte di cambiamento da completare e praticare qui-e-ora
Lascia un commento