Una rete di organizzazioni di base senza budget, strutture centralizzate e sostegno ufficiale due mesi fa ha cominciato a chiamare a raccolta tutti quelli che vogliono “alzare la voce” contro le “azioni antidemocratiche e illegali dell’amministrazione Trump e dei suoi alleati plutocratici”: #50501, cioè 50 proteste 50 stati 1 giorno, ha scelto sabato 5 aprile per mostrare al mondo che chi vive nei piani bassi della società statunitense non resterà a guardare: almeno cinque milioni di persone in tutti e 50 gli States sono scese in piazza con il grido “Hands off!” rivolto a Trump, Musk e i loro compari miliardari, giù le mani da ciò che resta dei diritti e dei servizi pubblici. Un segnale che riscalda, per un giorno, non il pianeta, ma il cuore di molti. Un racconto da San Francisco

“Make Lying wrong again” la richiesta dei manifestanti non è il “Fai l’America di nuovo grande di Trump”, ma un invito a ritornare alle basi etiche del vivere comune: “Rendi di nuovo sbagliato mentire”. Le centinaia di persone che incontro a Mountain View, uno dei luoghi della Bay area di San Francisco in cui il movimento #50501 si è dato appuntamento oggi, rappresentano uno spaccato delle decine e centinaia di migliaia che hanno manifestato in tutti gli Stati Uniti, in un pulviscolo di incontri, che #50501 un network di organizzazioni di base senza budget, strutture centralizzate o sostegno ufficiale, ha cominciato dal 5 febbraio a chiamare a raccolta: tutti quelli che vogliono “alzare la voce” contro le “azioni antidemocratiche e illegali dell’amministrazione Trump e dei suoi alleati plutocratici”.
L’omone che ha scritto “Make lying wrong again” mi racconta di essere un compositore che a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina si è interessato alla loro musica, scoprendo che molta di quella che pensiamo essere musica russa in realtà viene proprio da compositori e cantanti ucraini. “Non esiste una sola cultura, tutti hanno qualcosa di valore”, conclude; mi piacerebbe farlo conoscere al nostro esimio Galli Della Loggia, che con il suo Occidente Uber alles sta approntando paraocchi per tutti gli italiani.


Stare in mezzo a queste persone mi riporta ai cortei dei Friday for future seguiti a Roma anni fa; anche se non ci sono tanti giovani qui, i cartelli che ognuno si è fatto non sono slogan di massa, ma battute, angolature, testimonianze che legano la persona che li porta al tema collettivo. Allora colpivano quelle ragazze che candidamente mostravano cartelli con scritto “il mio corpo è più hot del pianeta” testimoniando una voglia di vivere che rendeva ancora più stridente il disinteresse del sistema per qualsiasi soluzione al problema del riscaldamento globale e al loro futuro. Oggi intenerisce il signore che si è costruito un cartello con quattro mani di diverso colore che si sostengono reciprocamente, contornate dalla scritta “Practice kindness, not cruelty”, per denunciare il suo sconcerto di ritrovarsi a vivere in un paese nel quale, oltre alla temperatura, si impenna anche il tasso di disumanità.
Confesso che gli statunitensi mi appaiono spesso un po’ naive, senza prese di posizioni forti, ognuno nella sua bolla, in una struttura sociale rarefatta in cui le relazioni sono spesso concentrate nei luoghi del mercato. Ma in occasioni come queste si vede al contrario la loro libertà e determinazione. L’amministrazione Trump sta offendendo e violando le loro convinzioni più profonde, non solo quelle legate all’essere dei privilegiati, ma quegli assunti valoriali che per molti sono l’essenza della propria natura.


Sembra di sentire Crosby Still Nash e Young1 cantare per chiamare tutti a Chicago per il processo a Bobby Seale nel 1971 “in a land that’s known as freedom how can such a thing be fair”, (in una terra che è conosciuta come libertà come può una cosa del genere essere giusta) e come allora l’appello, a tutti, è di fare la propria mossa: “From the bottom of the ocean to the mountains of the moon, won’t you please come to Chicago? No one else can take our place”, no, nessun’altro può sostituirci nella lotta.

E così il movimento #50501, 50 proteste. 50 stati. 1 giorno, ha scelto questo sabato 5 aprile per mostrare al mondo “che la classe operaia statunitense non resterà a guardare mentre i plutocrati distruggono le loro istituzioni democratiche e le libertà civili, minando al contempo lo stato di diritto”2. L’organizzazione è tutta qua, motivo, appuntamento, raduno. Ognuno con i sui colori, le sue parole, il suo esporsi; dal basso, grassroot organisation, senza strutture centralizzate, come le radici dell’erba, ma con dei principi definiti3, come ad esempio l’inclusività, la nonviolenza, la risoluzione pacifica dei conflitti, declinati in frasi semplici, secche, la cui interpretazione non ha bisogno di un mediatore, come noi cattolici siamo abituati ad avere, ma risponde anch’essa a un “personal engagement” a una responsabilità vissuta in prima persona.


Ma, dice un altro cartello, “il potere delle persone è più forte delle persone di potere” e quindi oggi ben 197 organizzazioni hanno risposto all’appello e si sono date una piattaforma collettiva per dire “Hands off”4 “Giù le mani” a Trump, Musk e i loro cortigiani che “vogliono fare a pezzi l’America, chiudendo gli uffici della previdenza sociale, licenziando i lavoratori essenziali, eliminando le tutele dei consumatori e svuotando Medicaid, tutto per finanziare la loro truffa fiscale miliardaria. Stanno consegnando i nostri soldi delle tasse, i nostri servizi pubblici e la nostra democrazia agli ultra-ricchi”.
Una sensibilità che sa agire compatta e allo stesso tempo si nutre delle sensibilità di ognuno, come quella dell’uomo che esprime un disagio profondo a livello di valori messi in discussione e chiede che sia “riscattata (o redenta) l’anima americana” a fianco ai due dei rari giovani che portano un cartello che forse li riguarda direttamente “ Protect trans kids” sui diritti LGBTQ+. L’inclusività che è uno dei tratti importanti di tutta la manifestazione, emerge anche nelle rivendicazioni, come l’invito a trattare l’altro come il tuo prossimo, che nella conoscenza protestante della bibbia si fa con una citazione dal Levitico 19,34: “Lo straniero che risiede tra voi deve essere trattato come il vostro nativo. Amatelo come voi stessi” che ci dice anche quanto siano importanti le rare, ma presenti, bandiere palestinesi e ucraine in questo contesto e quanto sia chiaro che non è l’etnia che minaccia la stabilità economica, come dichiara un altro manifestante che denuncia “L’unica minoranza che sta distruggendo la nostra nazione è quella dello 0,1%”, una questione di classe, di privilegi e di accaparramenti.

Ma, a parte il disprezzo per Musk, la parola che più torna è “fascismo”, per denunciarne l’arroganza distruttiva e antidemocratica, per ricordare che nella tradizione statunitense combatte il fascismo è stato fatto e si può rifare e per ricordarsi di farlo con tutti gli alleati possibili, a iniziare da quei pinguini ingiustamente tassati dai dazi di Trump.
E così, in più di 1.400 appuntamenti e manifestazioni, non sono più centinaia di migliaia le persone scese in piazza, ma almeno cinque milioni di persone in tutti e 50 gli States, un segnale che riaccende la speranza e riscalda, per un giorno, non il pianeta, ma il cuore di molti.
Note
1 https://www.youtube.com/watch?v=Pswvi3QN_tI
3 https://www.fiftyfifty.one/values
4 https://handsoff2025.com/about
Potevano pensarci prima, no?
Thank you for the article! I never thought that at 70, I would have to fight for my rights. Trump and Musk are evil people, so I take to the streets to protest. The number of people who came out yesterday gives me hope.
Evviva!
Bella corrispondenza dagli States che ci allarga un po’ il cuore…