Sviluppare il mondo. Fu Robert Mac Namara, il ministro della difesa sconfitto in Vietnam e poi messo alla guida della Banca Mondiale perché avesse una chance di riabilitazione, ad assumere nel 1968 il prestigioso incarico. E l’ex ministro di Kennedy e Johnson non deluse le attese, riuscì ad allargare al mondo intero il sogno illusionista portato sulle scene oltre vent’anni prima da Harry Truman. In oltre sessant’anni, sono stati davvero pochi ad avere l’intuito e il coraggio di sottrarsi al coro di adorazione e ad associazioni di pensiero tanto pervasive da sembrare vere, come quella tra pace e sviluppo. Tra i primi e i più lungimiranti va ricordato Ivan Illich
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di Aldo Zanchetta
Racconta Gustavo Esteva, messicano, uno dei tanti “pentiti dello sviluppo”: “Il 20 gennaio del 1949 ci siamo sottosviluppati. Quel giorno il presidente Truman ha creato la parola sottosviluppo. Mai prima una parola era stata accettata universalmente lo stesso giorno in cui era stata creata a livello politico, come è avvenuto con il termine sottosviluppo. Il presidente degli Stati Uniti Harry Truman ci ha detto: Voi potete avere quello che noi abbiamo, voi sottosviluppati potete aspirare a vivere in modo legittimo come noi e noi condivideremo con voi tutti i nostri passi avanti scientifici e tecnologici in modo che possiate svilupparvi come noi. […] Lo sviluppo nasce sotto Truman, associato alla crescita economica e all’aumento del PIL”.
Il nuovo mantra
Sviluppo divenne così la parola magica, il nuovo mantra universale. Se ne riempirono la bocca tutti, amici e avversari degli Stati Uniti. Venne naturalmente scritta la sua bibbia, il “manuale” universale: “I cinque stadi dello sviluppo”. L’autore, W.W.Rostov, un inglese, ritenne che quanto era accaduto in Inghilterra, in tempi più lunghi ma inevitabili sarebbe accaduto ovunque nel mondo, attraverso un processo in 5 stadi: Il primo stadio: la società tradizionale (ovvero i ‘sottosviluppati’). Il secondo stadio: le precondizioni. II terzo stadio: il decollo (il più delicato). Il quarto stadio: il cammino verso la maturità. Il quinto stadio: la diffusione dei consumi di massa.
A far decollare la grande impresa fu destinato Robert McNamara, il ministro della difesa USA il quale, sconfitto in Vietnam, aveva bisogno di una occasione di riabilitazione. Così venne messo a capo della Banca Mondiale (1968-1981), organismo incaricato dell’immane compito di “sviluppare il mondo”.
Un pensatore eretico e irriverente dell’epoca, Ivan Illich, denunciò l’inganno: e si oppose con forti argomentazioni al progetto. Da una sua biografia: “Egli raccontò di aver avuto una volta una discussione con McNamara: “Io gli spiegai come la tecnologia non sempre sia la soluzione contro la povertà e l’ingiustizia. Questo continua a essere un’illusione in un mondo con le automobili”. McNamara rispose: “Se non vi fosse stato alcun aeroplano, la scorsa settimana io non avrei potuto recarmi in Bangladesh per discutere l’emergenza dovuta a una disastrosa alluvione”. Illich chiese se le discussioni avessero avuto successo. “No” rispose McNamara, “problemi procedurali hanno frenato la cosa.” Poco dopo interruppe la discussione per partire col suo jet privato verso la sua casa di vacanza”.
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Cosa resta dello sviluppo
Oltre 60 anni dopo, dello sviluppo restano le macerie. Gilbert Rist nel 1996 scrisse: “Lo sviluppo è simile ad una stella morta, di cui si vede la luce anche se si è spenta da tempo, e per sempre”. Ma i cultori dello sviluppo, Istituzioni internazionali, OnG della cooperazione, politici, animatori sociali etc. continuano a riempirsene la bocca. Hanno aggirato una realtà innegabile aggettivando la parola. Lo sviluppo è così divenuto ‘durevole’, ‘sostenibile’, ‘integrale’, ‘umano’, ’etnocompatibile’ etc. Un ricercatore paziente ha contato oltre 20 aggettivazioni per rianimare il cadavere. Un po’ troppi per non avere dei dubbi, non vi pare?”.
Si è tentato più volte di legare il tema dello ‘sviluppo’ al tema della ‘pace’. Chi scrive, a suo tempo, ha creduto in questa equazione, ed è stato un boccone amaro, prima di digerirlo, imbattersi in questa frase di Illich: “Il collegamento di pace e sviluppo ha reso difficile mettere in discussione quest’ultimo. Permettetemi di suggerire che una discussione critica sullo sviluppo dovrebbe essere il compito principale della ricerca sulla pace”.
Da Ripensare il mondo con Ivan Illich AA. VV – A cura di Gustavo Esteva, Ediz. museodei by hermatena www.museodei.com
Il Forum mondiale di Davos e lo sviluppo
Il 20 gennaio a Davos si è aperto l’annuale Forum dei ‘potenti della terra’, quelli che i movimenti sociali latinoamericani definiscono “los de arriba” (quelli di sopra). Il forum è un luogo di incontro pensato dall’economista tedesco Klaus Schwab quarant’anni fa allo scopo di coinvolgere i grandi della Terra per discutere sui grandi problemi della ‘società globale’.
L’incontro è sempre preceduto da un documento che analizza i rischi globali che il mondo sta affrontando nell’anno che si apre (The Global Risks Report). “Il documento 2016 [apre] con la novità che per la prima volta il cambiamento climatico è in testa alla lista. Il documento, che raccoglie le opinioni di circa 750 esperti, dirigenti e accademici, è un rapporto fosco che registra la crisi climatica, la gigantesca migrazione dei rifugiati, l’ascesa dell’ISIA, la disoccupazione, la ciberpirateria, la fragilità dell’economia, il terremoto petrolifero e la decelerazione della Cina e degli altri paesi emergenti. Il documento registra un incremento di tutti i 29 indicatori che, raggruppati in cinque categorie (ambientali, economiche, sociali, tecnologiche e geopolitiche), vengono analizzati ogni anno anche nelle loro interazioni”.
Agli amici, tanti, che non digeriscono la critica dello sviluppo, questa lista, stilata da 750 ‘esperti’ che contano, offre un bilancio da meditare. E non c’è aggettivo correttivo che tenga, mi pare.
PS. Dopo la COP 21 si è parlato molto del rapporto Meadows e del Club di Roma che lo aveva commissionato al Massachussets Institute. Questo rapporto, tanto celebrato, ha però un baco che non poteva sfuggire a quell’irriverente di Illich che, facendo scandalo, rifiutò di firmarlo. Jean Robert ne ricorda così il perché: “Nel 1968 il Club di Roma pubblicò un rapporto nel quale avvertiva che la produzione intensiva di mercanzie deperibili, che era alla base dell’economia, conduceva inevitabilmente alla distruzione della natura. Il Club offriva due tipi di rimedi per ovviare alla catastrofe ecologica: una transizione verso una produzione austera di mercanzie durevoli e, soprattutto, un riciclaggio di tutta l’economia verso una produzione di servizi vista come un’industria senza ciminiere. Illich, da Cuernavaca, alzò la voce per dire che al di là di certe soglie la produzione intensiva di certi servizi sarebbe stata ancora più distruttiva per la cultura di quanto la produzione di mercanzie lo era stata per la natura. Illich prevedeva che l’utopia di una società di servizi avrebbe condotto al garage scolastico chiamato “educazione permanente”, al controllo sanitario su tutta la vita e alla degradazione di tutte le diverse relazioni umane in forme di comunicazione”.
Ma su questo non so quanti si sono posti il problema, che se poteva apparire oscuro allora non lo dovrebbe più essere oggi. Cito Giorgio Agamben “Colui che si lascia catturare nel dispositivo “telefono cellulare”, qualunque sia l’intensità del desiderio che lo ha spinto, non acquista, per questo, una nuova soggettività, ma soltanto un numero attraverso cui può essere, eventualmente, controllato; lo spettatore che passa le sue serate davanti alla televisione non riceve in cambio della sua desoggettivazione che la maschera frustrante dello zappeur o l’inclusione nel calcolo di un indice di ascolto. Di qui la vanità di quei discorsi benintenzionati sulla tecnologia, che affermano che il problema dei dispositivi si riduce a quello del loro uso corretto. Essi sembrano ignorare che, se a ogni dispositivo corrisponde un determinato processo di soggettivazione (o, in questo caso, di desoggettivazione), è del tutto impossibile che il soggetto del dispositivo lo usi “nel modo giusto”. Coloro che tengono simili discorsi sono, del resto, a loro volta il risultato del dispositivo mediatico in cui sono catturati. Le società contemporanee si presentano così come dei corpi inerti attraversati da giganteschi processi di desoggettivazione cui non fa riscontro alcuna soggettivazione reale. Di qui l’eclisse della politica, che presupponeva di soggetti e delle identità reali (il movimento operaio, la borghesia ecc.), e il trionfo dell’oikonomia, cioè di una pura attività di governo che non mira ad altro che alla propria riproduzione”.
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