I tribunali demoliscono l’asse del rifiuto Lamorgese-Lega, ma i respingimenti in mare continuano. La continuità dell’operato dei governi e, in particolare del ministero degli interni, al di là di qualche dovuta quanto effimera dichiarazione di principio, resta sostanziale. C’è un vero e proprio asse, tra le politiche respingimento e di criminalizzazione delle ONG adottate da Salvini e le prassi più recenti dei fermi amministrativi e della mancata tempestiva indicazione dei porti di sbarco sicuri che continuano a caratterizzare l’operato della ministro Lamorgese. Tutto a scapito dei diritti delle persone soccorse in mare e della loro stessa integrità fisica. Si susseguono, intanto, le archiviazioni dei procedimenti penali avviati contro rappresentanti delle ONG, da ultimo sul caso Mare Ionio e sul caso Sea Watch 3 (maggio 2019). La ricostruzione attenta dei fatti e le motivazioni di carattere giuridico alla base dei provvedimenti di proscioglimento, si rivelano un boomenrang per chi ha cercato di fermare i soccorsi in acque internazionali operati da navi civili con le denunce e una devastante campagna d’opinione che insiste ancora oggi a margine delle sentenze di archiviazione

Dopo l’archiviazione del caso Rackete disposta dal Gip del Tribunale di Agrigento sulla base di quanto riconosciuto dalla sentenza della Cassazione del 16-20 febbraio 2020, in ordine ai soccorsi in acque internazionali da parte delle ONG come “adempimento di un dovere giuridico”, si susseguono le archiviazioni dei procedimenti penali avviati contro rappresentanti delle ONG, da ultimo sul caso Mare Ionio e sul caso Sea Watch 3 (maggio 2019). La ricostruzione attenta dei fatti e le motivazioni di carattere giuridico alla base dei provvedimenti di proscioglimento, si rivelano un boomenrang per chi ha cercato di fermare i soccorsi in acque internazionali operati da navi civili con le denunce penali e con una devastante campagna d’opinione che ritorna ancora oggi con il consueto linguaggio d’odio e con le ormai logore fake-news, a margine delle sentenze di archiviazione.
Dai provvedimenti adottati dai giudici emergono con chiarezza tutti gli elementi che abbiamo individuato da anni per ribaltare sui governi in carica e segnatamente sui ministri dell’interno le responsabilità per la collaborazione garantita, almeno fino al luglio del 2020 dalla missione Nauras della Marina militare italiana di stanza nel porto di Tripoli con riconosciute funzioni di coordinamento della sedicente Guardia costiera libica (ruolo riconosciuto anche dal GIP di Catania già nel 2018 nel primo caso Open Arms), per i dinieghi di ingresso nelle acque territoriali italiane, impartiti solo nei confronti delle navi delle ONG, per i ritardi nella indicazione di un porto di sbarco sicuro, per l’illegittimo trattenimento dei naufraghi a bordo con il pretesto di trattative a livello europeo per la loro successiva distribuzione. Non mancano tuttavia ombre preoccupanti per gli sviluppi futuri. Anche per la chiara manipolazione da parte di alcune fonti giornalistiche che fanno dire ai giudici quello che i giudici non hanno scritto nei loro provvedimenti.
Nel provvedimento della Procura di Agrigento sul caso Sea Watch 3 sembrerebbe infatti scorgersi una eco della teoria della competenza primaria dello Stato di bandiera (flag state) della nave soccorritrice, tanto cara alla ministro Lamorgese, in piena continuità con quanto riteneva il senatore Salvini quando occupava la poltrona del Viminale, ed impediva il completamento delle operazioni di soccorso, secondo le modalità ed i tempi imposti dal diritto internazionale del mare e dal diritto umanitario. Quanto riferito da una parte della stampa rispetto ad un presunto riconoscimento della competenza primaria dello Stato di bandiera (che si assume sarebbe rinvenibile nell’ultima richiesta di archiviazione della procura di Agrigento sul caso Sea Watch 3) è smentito oltre che dal Diritto internazionale, come la Convenzione di Amburgo (SAR) del 1979, persino da quanto riconoscono autorevoli esponenti della Marina militare sulla impossibilità di concludere le operazioni di ricerca e soccorso (SAR) scaricando sugli Stati di bandiera la competenza ad indicare ( o magari anche fornire) un porto sicuro di sbarco. Come Salvini prima, a partire dal caso Aquarius del giugno 2008, e la ministro Lamorgese dopo, hanno proclamato all’unisono per anni. Un asse del rifiuto che si protrae ancora in questi giorni con la mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro per la Sea Watch 3.
La stessa sentenza della Corte di cassazione che riconosce il diritto alla protezione umanitaria per conseguenza delle violenze subite in Libia, a cui si aggiungono le sentenze dei giudici di Messina e di Milano sui casi dei torturatori libici finiti sotto processo in Italia, escludono categoricamente qualsiasi possibilità di configurare ieri, come oggi, la Libia come un porto sicuro di sbarco, o tantomeno di fondare un diritto alla intercettazione in acque internazionali in capo ad autorità libiche. Le ONG hanno il diritto di operare i soccorsi in acque internazionali senza essere obbligate a ritirarsi davanti all’intervento dei libici, o peggio riconsegnare loro i naufraghi. Come ha fatto invece nel 2019 il comandante del rimorchiatore ASSO 28 finito per questo sotto processo e condannato in primo grado a Napoli per avere abbandonato ai libici, con una rendition illegale, le persone soccorse in mare, tra cui anche alcuni minori.
Dalle decisioni più recenti dei Tribunali, che hanno sistematicamente applicato il principio di gerarchia delle fonti sancito dalla Corte di Cassazione nel 2020 sul caso Rackete, si ribadisce anche il contrasto con il diritto internazionale del mare dei decreti sicurezza imposti da Salvini durante il primo governo Conte, oltre che dei diversi provvedimenti amministrativi di rifiuto di ingresso nei porti italiani, adottati sulla base di Direttive ministeriali “ad navem“ e più recentemente in base al Decreto interministeriale del 7 aprile 2020. Che sulla base di una pretesa situazione di emergenza sanitaria che sarebbe derivata dallo sbarco dei migranti soccorsi in acque internazionali, ha perpetuato i poteri del ministro dell’interno di vietare o di ritardare ogni oltre misura compatibile con il rispetto dei diritti umani l’assegnazione di un porto di sbarco sicuro. Come si sta verificando ancora in questi giorni con le 400 persone soccorse a bordo della nave umanitaria Sea Watch 3 per le quali il Viminale continua a negare l’assegnazione di un porto di sbarco sicuro in Italia.
Su questa linea di continuità tra la ministro Lamorgese e la Lega, confermata anche con la nomina di Maroni nella Consulta contro lo sfruttamento lavorativo, lo stesso che da ministro dell’interno si era macchiato dei respingimenti illegali in Libia del 2009, condannati dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, si è giocato il procedimento penale Gregoretti, con una interminabile udienza preliminare che si è conclusa con il non luogo a procedere nei confronti del senatore Salvini senza neppure applicare i criteri ermeneutici suggeriti dalla Corte di cassazione nel 2020 sul caso Rackete, ma sulla base di quanto dichiarato dai ministri chiamati a testimoniare dalla difesa. Tra questi il ministro Di Maio, che ancora oggi è a Tripoli per negoziare una collaborazione ancora più efficace con le autorità libiche per bloccare le partenze dei migranti e chiudere così le uniche vie di fuga che rimangono, per sottrarsi a violenze ed estorsioni diffuse, certificate anche da diverse agenzie delle Nazioni Unite, e riconosciute in modo inconfutabile anche dalla Corte di Cassazione, con la recente sentenza che riconosce la protezione umanitaria ad un giovane senegalese proprio in virtù dei trattamenti disumani e degradanti subiti in Libia, e non nel suo paese di origine.
Rimane quindi una continuità sostanziale, un vero e proprio asse, tra le politiche respingimento e di criminalizzazione delle ONG adottate da Salvini e le prassi più recenti dei fermi amministrativi e della mancata tempestiva indicazione dei porti di sbarco sicuri che continuano a caratterizzare l’operato della ministro Lamorgese. Tutto a scapito dei diritti umani delle persone soccorse in mare e della loro stessa integrità fisica. Sui provvedimenti di fermo amministrativo contro le Ong si dovrà pure pronunciare la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e nel provvedimento di archiviazione adottato nei confronti dei responsabili della della nave umanitaria Mare Ionio ci sono già elementi (inesistenza di una categoria di navi di soccorso”) che destituiscono di fondamento i presupposti sulla base dei quali il ministero delle infrastrutture e le Capitanerie di porto hanno disposto i fermi amministrativi. Che oltre a privare di soccorso persone che avrebbero potuto essere salvate in acque internazionali, o sottratte al naufragio o al ritorno nell’inferno libico, se le navi umanitarie non fossero rimaste bloccate in porto, hanno generato un danno patrimoniale che potrebbe essere oggetto di azioni di risarcimento per importi assai elevati. E quindi, probabilmente, fonte di una grave responsabilità contabile.
il 23 ottobre proseguirà a Palermo il processo Open Arms nei confronti del senatore Salvini, ed assisteremo all’ennesimo tentativo della difesa di confondere le responsabilità e di difendere il precedente ministro dell’interno chiamando in causa presunte responsabilità o connivenze delle ONG, tentativo che emerge chiaramente dalla richiesta di includere negli atti del procedimento anche il voluminoso fascicolo processuale del caso IUVENTA ancora aperto davanti al Tribunale di Trapani, che deve ancora fissare l’udienza preliminare. Dopo il lungo tempo trascorso per stralciare una grande quantità di intercettazioni, di avvocati, giornalisti, operatori umanitari, conservate illegittimamente nei faldoni del processo IUVENTA, quasi a costituire una schedatura di tutti coloro che hanno difeso nel tempo i soccorsi umanitari.
Siamo certi che anche nel processo di Palermo, al di là del clamore mediatico, dopo le pronunce della Corte di Cassazione e dei tribunali sui soccorsi in acque internazionali come “adempimento di un dovere sancito dalle Convenzioni internazionali”, potranno emergere ancora più nettamente i profili di responsabilità ascrivibili a Salvini, che nella veste di ministro dell’interno, nel mese di agosto del 2019, negava lo sbarco ai naufraghi soccorsi dalla ONG Open Arms, a poche settimane dall’entrata in vigore del Decreto sicurezza bis, malgrado una sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio avesse sospeso un suo primo provvedimento di divieto.
Ben oltre lle vicende processuali che riguardano il senatore Salvini occorrerebbe che il governo italiano e la ministro Lamorgese prendessero atto di quanto affermano la Corte di cassazione ed i Tribunali italiani, senza insistere sulle politiche di abbandono in mare e garantendo la sollecita indicazione di un porto sicuro di sbarco. Al di là dei conati che ancora avvelenano la comunicazione sui social occorre avere il coraggio di rimettere in attività in acque internazionali le navi della Marina militare e della Guardia costiera che in passato hanno soccorso decine di migliaia di persone, perché i soccorsi in alto mare non possono essere delegati alla sporadica presenza delle navi umanitarie delle ONG, che si cerca ancora di rallentare in tutti i modi, o alle navi commerciali, il cui intervento non garantisce certo la salvaguardia della vita umana in mare.
Se poi il premier Draghi volesse centrare davvero le sue richieste all’Unione Europea, piuttosto che insistere sul finanziamento della collaborazione con i libici o con l’ampliamento dei compiti di Frontex con riferimento a respingimenti ed espulsioni, dovrebbe sollecitare un ritorno di navi di questa agenzia nelle acque internazionali a nord della Libia e della Tunisia, dove erano presenti fino al 2018, e dove hanno soccorso altre decine di migliaia di persone.
Non possiamo però illuderci che l’attuale governo con la Lega al suo interno, arrivi a proporre queste soluzioni, e tantomeno imporle a livello europeo, in una fase in cui l’Unione Europea si sta avviando al tramonto, sotto la pressione dei partiti populisti che governano in 12 dei 27 stati membri.
Diventa dunque sempre più importante il ruolo della società civile, ormai priva su questi temi di una rappresentanza politica, e costretta ad una quotidiana attività di documentazione e denuncia che proseguirà anche nei giorni delle prossime udienze del processo Open Arms nei confronti del senatore Salvini, nel quale sono costituite numerose parti civili, e nei prossimi procedimenti contro le ONG ancora aperti a Ragusa ed a Trapani. Più si vorrà indagare contro le ONG, maggiormente emergeranno profili di responsabilità di chi ha voluto promuovere il suo successo politico, negando il diritto/dovere di soccorso, sovvertendo il principio gerarchico delle fonti, adottando provvedimenti amministrativi in contrasto, oltre che con il diritto interno (art. 10 ter T.U. 286/98), con il diritto internazionale del mare e con la Convenzione di Ginevra sui rifugiati (art.33), e con il richiamo che ne opera l’art. 117 della Costituzione.

UN COMUNICATO SCONCERTANTE- MEGLIO LEGGERE GLI ATTI.
GIOVEDÌ 21 OTTOBRE 2021 15.16.07
Migranti: archiviata inchiesta Sea Watch3, Pm bacchettano Stati
(ANSA) – AGRIGENTO, 21 OTT – I pm della Procura di Agrigento, l’aggiunto Salvatore Vella e Cecilia Baravelli, nell’escludere – e il gip ha disposto l’archiviazione – la responsabilità penale del comandante della Sea Watch3, bacchettano gli Stati che non avrebbero cooperato nel salvataggio dei migranti. A partire dall’Olanda, Stato battente bandiera della nave che, secondo quanto sostenuto da pm e gip, avrebbe avuto l’obbligo di adoperarsi. “Non e’ stata registrata alcuna assunzione di responsabilità da parte delle autorità olandesi che si sono limitate a suggerire alla Sea Watch 3 di trovare un porto sicuro in Tunisia o altrove”. Più duro il giudizio sulle autorità libiche che avrebbero intimato alla nave di allontanarsi. Giustificate, infine, le scelte di non dirigersi verso Malta (“che in passato ha manifestato perplessità a operazioni del genere”) e Tunisia “che non offriva alcun porto sicuro”. (ANSA).21-OTT-21 15:14
LE CONSEGUENZE….
GIOVEDÌ 21 OTTOBRE 2021 18.58.04
Migranti: Bernini (FI), Italia non e’ unico porto sicuro Mediterraneo
NOVA0717 3 POL 1 NOV EST INT Migranti: Bernini (FI), Italia non e’ unico porto sicuro Mediterraneo Roma, 21 ott – (Nova) – Per la presidente dei senatori di Forza Italia, Anna Maria Bernini, “i salvataggi in mare sono sempre un dovere, ma il sostegno surrettizio a chi lucra sul traffico di esseri umani non dovrebbe esserlo mai. Escludendo responsabilità penali per il comandante della Sea Watch 3 – continua la parlamentare in una nota -, la Procura di Agrigento ha criticato l’Olanda, Stato battente la bandiera della nave, per non essersi assunta alcuna responsabilità, ma allo stesso tempo ha giustificato la scelta del comandante di non dirigersi verso Malta e Tunisia, presupponendo così che gli unici porti sicuri del Mediterraneo siano solo e sempre quelli italiani”. L’esponente di FI parla di “una ‘condanna’ all’accoglienza indiscriminata che confligge con altri pronunciamenti dell’autorità giudiziaria, a conferma che la soluzione alla questione dei Migranti non può che arrivare da una politica comune di asilo che resta la grande incompiuta dell’Unione europea”.
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