di Linda Maggiori*
Il progetto faentino è rivolto a bar, ristoratori, gelaterie e negozi alimentari e mira proprio a ridurre gli imballaggi. Quei commercianti che compiono azioni virtuose per la riduzione dei rifiuti (come appunto il vuoto a rendere) avranno uno sconto sulla Tari, la tassa sui rifiuti. Lo sconto Tari aumenta se i baristi, oltre ad aderire al vuoto a rendere, servono ai clienti acqua “pubblica” o da erogatori, se macinano caffè in grani, (o usano cialde completamente biodegradabili), se adottano la dosatrice di zucchero al posto delle bustine monodose, se usano esclusivamente coppette o contenitori da asporto compostabili, oppure se accettano contenitori da gelato portati da casa dai clienti.
All’estero è già pratica comune da anni: in Germania, in Danimarca, Estonia, Finlandia, Croazia, Norvegia, Svezia, Svizzera, Ungheria e Repubblica Ceca, non solo il vuoto a rendere è obbligatorio, ma tutti gli esercizi che vendono una determinata bibita sono costretti ad accettarne i vuoti, anche se la specifica bottiglia non è stata acquistata da loro. In Germania sono i consumatori a pagare la cauzione (in tedesco pfand) che viene restituita solo se riportano la bottiglia. Gli imballaggi riusabili sono avviati alla filiera del riuso, quelli riciclabili vengono riciclati, aiutando a diminuire l’indifferenziata e i rifiuti abbandonati.
Il risparmio per la comunità, per la salute e per l’ambiente sono enormi; basti pensare che una bottiglia di vetro, con il sistema del vuoto a rendere, può essere riutilizzata fino a quaranta volte prima di essere avviata alla filiera del riciclo.
Forse a causa del basso prezzo del petrolio, forse per le pressioni delle lobby dell’imballaggio, forse per colpa della pubblicità che ha sempre più “imballato” la mente dei consumatori, in Italia questa pratica, una volta così diffusa, è stata abbandonata. Per troppi anni, il familismo “igienico” e amorale degli italiani si è unito a una burocrazia gretta e ottusa, facendo disastri. Abbiamo inquinato l’ambiente circostante a livelli incredibili, riempiendo le discariche, avvelenando cibo aria e terreni di diossina. Mentre fioccano multe contro i piccoli produttori che riusano i contenitori, languono i controlli contro gli inceneritori e le discariche. Il riuso, il vuoto a rendere, è diventata una pratica clandestina, quasi da obiettori di coscienza.
Attualmente però la rete delle famiglie che tendono ai rifiuti zero è sempre più fitta. I mercatini, i gruppi di acquisto, i piccoli negozi sfusi sono sempre più diffusi, come una rivolta silenziosa. Noi da anni acquistiamo nei mercatini portandoci le sporte per la frutta e verdura, riportando i contenitori vuoti per le uova, i barattoli vuoti del miele da ridare all’apicoltrice, le bottiglie vuote del latte da riempire alla spina, acquistiamo pasta e riso e legumi nei piccoli negozi dello sfuso o tramite gruppi di acquisto. In un anno, in media, abbiamo così prodotto pochissimi rifiuti (0,5 kg di indifferenziata e 0,7 kg di plastica a testa l’anno).
La speranza è che la sperimentazione del vuoto a rendere abbia successo, sia estesa e resa obbligatoria come all’estero. In un mondo pieno di rifiuti (4 miliardi di tonnellate ogni anno), disimballarsi è un imperativo, non più prorogabile.
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Paolo M. dice
Buongiorno, sono venuto a conoscenza di Comune un po’ per caso… ma è stata una bella scoperta. A proposito di “vuoti a rendere”, c’è differenza fra vuoto a rendere e raccolta differenziata (del vetro)? È più “virtuoso” (e auspicabile) il “vuoto a rendere” perché la bottiglia viene subito riutilizzata oppure l’importante è semplicemente raccogliere il vetro? Forse non è solo una sottigliezza…e quindi vorrei sapere qual è il comportamento migliore (anche per poterlo suggerire a qualcuno a mia volta). Grazie mille