Dopo due anni (alla buon’ora) dall’approvazione del “vuoto a rendere(collegato ambientale 12/2015 art.219), ideato e proposto dal deputato Stefano Vignaroli del M5S, finalmente è arrivato il decreto attuativo che ci spiega nei dettagli come far partire la sperimentazione.In sostanza, a partire dal 10 ottobre, per dodici mesi, il barista, albergatore o ristoratore che volontariamente aderisce all’iniziativa, al momento dell’acquisto delle bottiglie piene versa una cauzione al grossista (distributore o produttore), cauzione che verrà restituita al momento della resa dei vuoti. Saranno quindi interessate dal vuoto a rendere solo le bottiglie consumate nel locale, di volume compreso tra gli 0,20 e gli 1,5 litri, in particolare bottiglie di birra e acqua minerale, in materiale riusabile (vetro o policarbonato duro). Un’etichetta trasparente con il logo del ministero dell’Ambiente distinguerà gli esercenti che aderiscono al sistema. Il valore della cauzione sarà proporzionale a quello del “vuoto”: l’importo potrà variare da 0,05 euro per le lattine da 200 ml, fino a 0,3 euro per le bottiglie da un litro e mezzo e “in nessun caso comporta un aumento del  prezzo  di  acquisto per  il  consumatore”.Un comitato tecnico valuterà la sperimentazione. Purtroppo questa legge ha un grosso limite: non prevede incentivi economici da parte del ministero dell’Ambiente. È fondamentale quindi l’impegno dei comuni, che dovrebbero ideare progetti per sensibilizzare gli esercenti con forme di sconto o altri incentivi. È un po’ quello che stiamo facendo qui a Faenza (Ravenna). Si chiama Disimballiamoci ed è un progetto ideato dalle associazioni ambientaliste e sottoposto al Comune.

Il progetto faentino è rivolto a bar, ristoratori, gelaterie e negozi alimentari e mira proprio a ridurre gli imballaggi. Quei commercianti che compiono azioni virtuose per la riduzione dei rifiuti (come appunto il vuoto a rendere) avranno uno sconto sulla Tari, la tassa sui rifiuti. Lo sconto Tari aumenta se i baristi, oltre ad aderire al vuoto a rendere, servono ai clienti acqua “pubblica” o da erogatori, se macinano caffè in grani, (o usano cialde completamente biodegradabili), se adottano la dosatrice di zucchero al posto delle bustine monodose, se usano esclusivamente coppette o contenitori da asporto compostabili, oppure se accettano contenitori da gelato portati da casa dai clienti.

All’estero è già pratica comune da anni: in Germania, in Danimarca, Estonia, Finlandia, Croazia, Norvegia, Svezia, Svizzera, Ungheria e Repubblica Ceca, non solo il vuoto a rendere è obbligatorio, ma tutti gli esercizi che vendono una determinata bibita sono costretti ad accettarne i vuoti, anche se la specifica bottiglia non è stata acquistata da loro. In Germania sono i consumatori a pagare la cauzione (in tedesco pfand) che viene restituita solo se riportano la bottiglia. Gli imballaggi riusabili sono avviati alla filiera del riuso, quelli riciclabili vengono riciclati, aiutando a diminuire l’indifferenziata e i rifiuti abbandonati.

Il risparmio per la comunità, per la salute e per l’ambiente sono enormi; basti pensare che una bottiglia di vetro, con il sistema del vuoto a rendere, può essere riutilizzata fino a quaranta volte prima di essere avviata alla filiera del riciclo.

Forse a causa del basso prezzo del petrolio, forse per le pressioni delle lobby dell’imballaggio, forse per colpa della pubblicità che ha sempre più “imballato” la mente dei consumatori, in Italia questa pratica, una volta così diffusa, è stata abbandonata. Per troppi anni, il familismo “igienico” e amorale degli italiani si è unito a una burocrazia gretta e ottusa, facendo disastri. Abbiamo inquinato l’ambiente circostante a livelli incredibili, riempiendo le discariche, avvelenando cibo aria e terreni di diossina. Mentre fioccano multe contro i piccoli produttori che riusano i contenitori, languono i controlli contro gli inceneritori e le discariche. Il riuso, il vuoto a rendere, è diventata una pratica clandestina, quasi da obiettori di coscienza.

Attualmente però la rete delle famiglie che tendono ai rifiuti zero è sempre più fitta. I mercatini, i gruppi di acquisto, i piccoli negozi sfusi sono sempre più diffusi, come una rivolta silenziosa. Noi da anni acquistiamo nei mercatini portandoci le sporte per la frutta e verdura, riportando i contenitori vuoti per le uova, i barattoli vuoti del miele da ridare all’apicoltrice, le bottiglie vuote del latte da riempire alla spina, acquistiamo pasta e riso e legumi nei piccoli negozi dello sfuso o tramite gruppi di acquisto. In un anno, in media, abbiamo così prodotto pochissimi rifiuti (0,5 kg di indifferenziata e 0,7 kg di plastica a testa l’anno).

La speranza è che la sperimentazione del vuoto a rendere abbia successo, sia estesa e resa obbligatoria come all’esteroIn un mondo pieno di rifiuti (4 miliardi di tonnellate ogni anno), disimballarsi è un imperativo, non più prorogabile.

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* Educatrice, autrice di diversi libri (tra cui Anita e Nico di Tempo dal Delta del Po alle Foreste Casentinesi e Impatto Zero, Vademecum per famiglie a rifiuti zero). è blogger di famiglie-rifiutizero e di famigliesenzauto. Questo articolo è apparso anche su un blog de ilfattoquotidiano.it (qui con il consenso dell’autrice)