Per rubare la terra e l’acqua alla gente, bisogna riuscire a sottometterla, con ogni mezzo. Che si tratti di miniere a cielo aperto, di agro-business o di gigantesche tubazioni petrolifere, l’ideologia che accompagna il modello estrattivo parla fino in fondo una sola lingua, quella della prevaricazione violenta e dell’accumulazione di denaro. Al di là della demagogia dei molti e diversi governi e dei propagandisti del prezzo da pagare alla crescita economica e allo sviluppo, la repressione è il vero marchio di fabbrica di quella ideologia. La resistenza delle popolazioni che abitano i territori è il nemico da piegare. Dal 5 al 7 ottobre, a Borgagne, frazione di Melendugno, il piccolo comune salentino arcinoto per aver osato mettersi di traverso all’avanzata del colossale Trans Adriatic Pipeline (Tap), si svolge Policing Extractivism: Security, Accumulation, Pacification, un workshop imperdibile per chi difende la libertà di appartenere alla terra e si oppone all’insaziabile desiderio di possederla
di Alexik
Dal 5 al 7 ottobre si terrà a Borgagne (frazione di Melendugno – LE) il workshop internazionale “Policing Extractivism: Security, Accumulation, Pacification”.
Ricercatori universitari e militanti dei movimenti territoriali provenienti da vari paesi della vecchia Europa e delle Americhe raggiungeranno il Salento per condividere teorie, ragionamenti ed esperienze.
Al centro del dibattito l’uso dei poteri di polizia all’interno del processo estrattivista e la critica delle politiche securitarie al servizio dell’accumulazione per spossessamento.
La scelta del luogo dell’incontro non è casuale: è un omaggio alla comunità resistente di Melendugno che lotta contro il progetto della Trans Adriatic Pipeline.
Riunirsi a Melendugno è un atto di solidarietà e di deterrenza.
Un messaggio rivolto a chi ha costruito zone rosse e imposto stati di assedio in quel piccolo comune salentino. Un messaggio che dice: “noi siamo qui, vi guardiamo, denunceremo ciò che succede nelle aule delle università del mondo”.
La scelta del luogo è anche una dimostrazione di rigore scientifico: studiare i conflitti dove essi si determinano.
Permette di verificare, attraverso l’osservazione partecipata, come l’estrattivismo si manifesti anche nel Bel Paese secondo i suoi meccanismi classici:
– l’appropriazione, diretta o indiretta, da parte di grandi interessi privati delle risorse presenti sui territori, che vengono distrutte o sottratte alla fruizione delle comunità locali;
– il condizionamento della democrazia e l’intervento dello Stato a favore degli interessi economici multinazionali;
– il controllo dello spazio pubblico, attraverso l’uso della forza e della repressione contro il dissenso delle popolazioni.
Che si tratti di miniere, di gas e petrolio, di ‘infrastrutture strategiche’ o di agroindustria, questo format si ripete in tutto il mondo, con qualche sfumatura differente qualora il modello sia imposto da governi neoliberali o ‘progressisti’.
Cambia però immensamente l’intensità della violenza a seconda che ci si trovi – riprendendo la definizione di Raul Zibechi1– nella “zona dell’essere” o del “non essere” .
L’ultimo rapporto di Global Witness ha contato 207 difensori della terra e dell’ambiente morti ammazzati nel 2017, quasi tutti in America Latina, Asia e Africa, principalmente perché si opponevano all’estensione delle monocolture e dell’estrazione mineraria. Il dato non comprende i ferimenti, le mutilazioni, gli stupri, lo spostamento forzato di intere comunità.
Contemporaneamente nella “zona dell’essere” – quello che una volta era il così detto primo mondo – si assiste al restringimento degli spazi di agibilità politica dei movimenti (shrinking spaces) e ad una osmosi sempre maggiore fra le logiche di guerra e quelle di gestione del conflitto interno.
Sarà il tema degli “shrinking spaces” ad aprire il workshop di Borgagne, con un focus sull’Italia.
Italo Di Sabato, grazie al monitoraggio condotto da anni dall’Osservatorio Repressione, si occuperà della panoramica generale.
Lo seguiranno l’avv. Elena Papadia con un dossier sulla repressione dei movimenti salentini per la difesa della terra, e Xenia Chiaramonte che si soffermerà sulla criminalizzazione giudiziaria del movimento No Tav e sugli strumenti di resistenza e di contro-condotta sperimentati dai militanti della Valsusa.2
Ben Hayes, del Transnational Institute, introdurrà il tema della guerra presentando il “War and Pacification Project”, un progetto che ricostruisce i nessi fra militarizzazione, security e globalizzazione.
Gli interventi di Mark Neocleous, Guillermina Seri, Mia Tamarin e Tia Dafnos si articoleranno attorno al concetto di “pacificazione”, declinandolo sia in termini generali, che in riferimento alle esperienze di America Latina, Palestina e Canada.
Pacificazione intesa come riduzione delle popolazioni riottose ad una “sottomissione pacifica” attraverso un’azione combinata di “forza e politica”: la forza per distruggere il nemico, la politica per costruire un nuovo ordine ideologico sopra le ceneri del vecchio.3
Di applicazione delle logiche di guerra ai conflitti interni si parlerà anche nelle sezioni “Law and the enemy” grazie ai contributi teorici di Michele Carducci e dei Prison Break Project sul diritto costituzionale e penale del nemico.
Rhys Machold e Brendan McQuade affronteranno il tema delle polizie, sia in termini di organizzazione che di globalizzazione delle conoscenze degli apparati di sicurezza.
Molti interventi analizzeranno le realtà di singole aree o paesi.
Largo spazio avrà l’America Latina, con il contributo accademico di Juan Kornblihtt su affitto di terre e lotta di classe, e con la presenza di María del Carmen Verdú e David Velazco che interverranno rispettivamente in rappresentanza della Coordinadora Contra le Represiòn Policial e Institucional (AR), e dell’Observatorio de Conflictos Mineros de America Latina (PE).
Kevin Blowe, William Jackson e Noelie Audi-Dor analizzeranno le misure repressive contro gli attivisti antifracking e antigas in UK, mentre Elena Gerebizza di RE:Common si occuperà dei regimi dittatoriali e autoritari sul percorso dei gasdotti SCP e TANAP (Azerbaigian, Georgia e Turchia).
L’estrattivismo petrolifero di casa nostra, dalle trivellazioni in mare alle operazioni dell’ENI, verrà trattato da Enzo Di Salvatore e Laura Greco (A Sud). Al Salento sarà dedicato l’intervento di Nicola Grasso sulle pressioni per la sostituzione degli uliveti tradizionali con impianti superintensivi, come esempio di estrattivismo agroindustriale .
In chiusura, Simona Fraudatario offrirà una panoramica sui diritti umani violati dalle attività minerarie ed agroindustriali in Asia, Africa e Nord America attraverso le sentenze del Tribunale Permanente dei Popoli.
Il workshop vedrà la partecipazione di movimenti dalla Valsusa e dall’Abruzzo, di compagni antinucleari dalla Francia e ‘Gas attivisti’ da Germania ed Inghilterra. Ovviamente non mancheranno i salentini: oltre agli organizzatori No Tap, ci sarà chi ha lottato contro gli espianti degli ulivi, contro la costruzione di follie stradali come la 275, contro l’inquinamento di Taranto, di Cerano e di Avetrana, contro la privatizzazione dell’acqua.
Le fasi seminariali si concluderanno con un’assemblea pubblica per esporre le relazioni finali e poter meglio abbracciare la popolazione di Melendugno, presso il Nuovo Cinema Paradiso alle h. 16.00 di domenica 7 ottobre.
QUI il programma dettagliato.
Organizzano: Transnational Institute, Università del Salento-Cedeuam, Movimento No TAP, Associazione Bianca Guidetti Serra – Puglia
- Raul Zibechi, La nuova corsa all’oro. Società estrattiviste e rapina, pp. 103.
- A questo proposito è consigliabile la lettura di: Xenia Chiaramonte, Alessandro Senaldi, Criminalizzare i movimenti. I No Tav fra etichettamento e resistenza, in ‘Studi sulla questione criminale, X, n. 1, 2015, pp. 105-144.
- Mark Neocleous, La lógica de la pacificación: guerra-policía-acumulación, Athenea Digital – 16(1): 9-22, marzo 2016.
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