Perché agli inizi degli anni Trenta del Novecento il geologo statunitense Charles Weaver decise di chiamare con quel bizzarro nome, Vaca Muerta, quella formazione sedimentaria depositata in era giurassica nella Cuenca Neuquina non lo sappiamo. Sappiamo però che quella terra a sud della sconfinata pampa argentina, là dove comincia la Patagonia e la resistenza delle comunità Mapuche, da molti anni è diventata un simbolo mondiale dell’estrattivismo, e in particolare della più devastante tecnica del fracking. Lo si deve al fatto che nel sottosuolo contiene la seconda riserva di gas non convenzionale e la terza di petrolio del pianeta con riserve estraibili, secondo la Energy Information Administration degli Stati Uniti, stimabili in oltre sedici miliardi di barili di petrolio e 870 miliardi di metri cubi di gas. Le conseguenze dell’estrazione di tanto… ben di Dio sulla terra, l’acqua, le coltivazioni, la vita e la salute del territorio e delle popolazioni indigene che lo abitano sono terrificanti quanto ormai facilmente immaginabili. Il Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura, quello che lodevolmente riconosce la Natura come soggetto giuridico di diritti al pari degli esseri umani, negli ultimi tre anni ha avuto modo di acquisire informazioni, dati e denunce in merito all’impatto dell’estrattivismo a Vaca Muerta e si sta occupando seriamente del caso come riferisce in questo articolo tradotto da Ecor

PREAMBOLO
Crisi climatica e ambientale
Nella maggior parte dei sistemi giuridici oggi operanti nel mondo – ovviamente quelli vigenti a livello nazionale e internazionale – la Natura e tutti gli esseri che la compongono esistono solo come “risorse naturali”: una forma di proprietà umana da sfruttare a piacimento in misura maggiore o minore, cosa che rende impossibile proteggere la Natura in sede di tribunale da un’angolazione che prescinda dalla prospettiva degli interessi umani.
È ora più chiaro che mai che questi sistemi legali non solo non sono riusciti a proteggere il nostro pianeta dai progressi di un insaziabile estrattivismo, ma sono – di fatto – gli strumenti di quello stesso estrattivismo che – presumibilmente – “regolano” la distruzione causata da attività come quella mineraria e di fracking, mentre in pratica solo sanzionano e rendono perpetuo.
Di fronte all’insufficienza del diritto ambientale tradizionale, i Diritti della Natura si presentano come una nuova forma di giurisprudenza che, riconoscendo la Natura come soggetto giuridico di diritti al pari degli esseri umani, spinge i tribunali a guardare oltre gli incentivi economici e a prendere decisioni basate sugli interessi sia dell’umanità che della comunità terrestre nella sua totalità.
Il tempo è scaduto: la crisi ecologica è alle porte. Negarlo significherebbe rifiutare le prove che vediamo con i nostri occhi, e non possiamo permetterci di continuare a rispettare leggi che sono fondamentalmente inadeguate ad affrontare la situazione attuale: i Diritti della Natura devono essere riconosciuti a livello legale, a tutti i livelli: da quello locale, a quello nazionale e internazionale, se vogliamo evitare questa crisi.
A tal fine, il Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura vuole dimostrare come i Diritti della Natura possono essere applicati presentando una serie di casi urgenti del mondo reale davanti a un collegio di illustri giudici, che esaminano e si pronunciano sui casi dalla prospettiva dei Diritti della Natura.
Il Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura e il caso Vaca Muerta
Nel corso della sua 5a sessione, svoltasi a Santiago del Cile nel dicembre 2019, il Tribunale ha avuto modo di acquisire informazioni, dati e denunce in merito all’impatto del fracking sui diritti della Natura e sui diritti umani a Vaca Muerta, in Argentina. Nel verdetto finale della sessione, i giudici hanno raccomandato l’organizzazione di una missione sul campo dei membri del Tribunale per raccogliere ulteriori prove sulle accuse in vista di un futuro esame del caso in una sessione formale del Tribunale.
In particolare, il Tribunale ha stabilito quanto segue:

Il fracking e il suo impatto sulla Patagonia argentina
In termini specifici, Vaca Muerta designa una formazione sedimentaria che si estende per circa 30.000 km2, nel cuore dell’altopiano di Neuquén. In questa enorme superficie ricca di fossili di dinosauri e giacimenti di idrocarburi, sono presenti ben 31 progetti, di cui solo 5 in fase di produzione, con forte protagonismo di YPF e Tecpetrol, e la presenza delle grandi multinazionali del settore. In termini più ampi, il problema posto da Vaca Muerta coinvolge un’area più ampia, la Conca di Neuquén, che comprende diverse formazioni geologiche shale 1 e tight 2, per un totale di 120.000 km2, tra le province di Neuquén, a sud di Mendoza e La Pampa e a nord di Río Negro. Troviamo così la formazione di Lajas, in cui dal 2011 si estrae gas tight tra le piantagioni di pere e mele nella città di Allen nel Rio Negro, ora di proprietà di YPF. Nel 2018 il confine di sfruttamento è stato esteso anche a Malargüe, in Mendoza, dove il fracking è stato autorizzato con decreto provinciale.
Siamo quindi di fronte a una serie di mega-progetti associati a energie estreme i cui impatti sociali, ambientali e territoriali tendono a manifestarsi in termini ampi, in quanto hanno ripercussioni su territori, popolazioni ed economie diverse.
Uno dei maggiori problemi del fracking è l’utilizzo dell’acqua, dettaglio non secondario nell’altopiano di Neuquén, zona di scarse risorse idriche. Un recente rapporto indica che entro il 2023 la domanda di acqua a Vaca Muerta raddoppierà e raggiungerà quasi 30 milioni di metri cubi all’anno.
Un altro grosso problema è lo stoccaggio dei rifiuti tossici generati dall’attività. Le discariche petrolifere esistenti a Vaca Muerta rivelano enormi carenze, così come esemplifica la società Treater, la cui discarica, situata a cinque chilometri da Añelo, che occupa 13,6 ettari (equivalenti a 15 campi da calcio), è stata denunciata nel 2018 davanti ai tribunali per non aver rispettato la distanza minima da un nucleo urbano (otto chilometri), e per avere vasche di smaltimento dei rifiuti prive di adeguati canali di drenaggio o reti protettive che impediscano la contaminazione del suolo e delle falde acquifere, come previsto dalla normativa nazionale. Tra i clienti di Treater figurano YPF, Shell e Total.

Un altro degli impatti è l’uso intensivo del territorio. I giacimenti petroliferi occupano da un ettaro a un ettaro e mezzo, dove sono raggruppati diversi pozzi. Un singolo pozzo, perforato in verticale fino a 2000 metri e in orizzontale fino a 1200 metri, rimuove circa 140 m3 di terreno, quindi una piattaforma media rimuove circa 830 m3, quasi dieci volte di più di un pozzo convenzionale perforato a 2000 metri di profondità. Ogni piattaforma può accedere solo a una piccola area del giacimento che si vuole sfruttare, quindi è comune avere piattaforme multiple, che richiedono una superficie sufficientemente ampia da consentire il dispiegamento e lo stoccaggio dei fluidi e delle attrezzature. Ciò ha accentuato la disputa del territorio con le popolazioni indigene, poiché a Vaca Muerta sono insediate in maniera sparsa una ventina di comunità mapuche. Nel 2014 il governo di Neuquén ha dovuto riconoscere la comunità di Campo Maripe, insediata nella zona dal 1927.
Nell’aprile 2019 la comunità è stata processata per “usurpazione” e, sebbene il giudice competente li abbia assolti, due mesi dopo, con un chiaro segnale politico, la sentenza è stata annullata.
Pertanto, l’avanzata degli impianti, spinge con insistenza i popoli indigeni che si trovano nell’area e aggrava il processo storico di criminalizzazione delle comunità mapuche. Allo stesso modo,
il problema è visibile ad Allen, dove il calo dell’attività frutticola è evidente: con oltre 150 pozzi di fracking e 93 in cantiere, già approvati dal comune, i dati rivelano che tra il 2009 e il 2014 la località ha perso 409 ettari, che è il 6,3% della superficie coltivata.
Infine, tra gli impatti palpabili c’è l’aumento della sismicità. Fin dall’inizio, i registri sismici attraversano la cartografia globale del fracking, colpendo regioni geologicamente stabili prima dell’arrivo di energie estreme. A Neuquén, insieme all’aumento degli incidenti ambientali e sul lavoro, una delle maggiori preoccupazioni è l’aumento della sismicità, che interessa la località di Sauzal Bonito, sebbene si sia estesa anche a Cutral Co. Secondo studi recenti, Sauzal Bonito si stabilirà sulla Dorsale Huincul, un sistema di faglie geologiche, anche se non è escluso che i continui movimenti siano anche di carattere antropogenico, relazionati al fracking. Di conseguenza, la provincia ha ordinato l’installazione di sismografi per monitorare i movimenti.

Lo scenario attuale della Conca Neuquina nega chiaramente l’esistenza del “fracking sicuro e responsabile”, una formula diffusa a livello globale e ripetuta a livello locale e nazionale da compagnie petrolifere e governi. Va aggiunto che nulla di quanto sta accadendo è una sorpresa, dal momento che le informazioni sugli impatti ambientali e territoriali del fracking erano già disponibili nel 2013, anno in cui è iniziato lo sfruttamento a Vaca Muerta. La differenza tra il 2013 e il 2023 è che gli impatti, nel loro carattere multidimensionale, sono già visibili e palpabili. Se a questo si aggiunge il fatto che, in realtà, Vaca Muerta ha appena iniziato, visto che solo il 3% è stato sfruttato, vale la pena chiedersi quale sarà l’entità degli impatti, quando l’attività su grande scala sarà una realtà.

Infine, in un contesto di emergenza climatica, Vaca Muerta è considerata una potenziale bomba al carbonio (28,9 miliardi di tonnellate di CO2 equivalenti ai 2/3 delle attuali emissioni globali di CO2).
Lungi dall’essere un “combustibile di transizione” come hanno affermato le società petrolifere, il gas shale e il gas tight generano emissioni di gas serra più elevate rispetto al gas convenzionale durante la loro fase di produzione, poiché sono necessari più pozzi per metro cubo di gas prodotto: le loro operazioni utilizzano energia, generalmente da motori diesel, che aumenta le emissioni di CO2 per unità di energia utile prodotta. Così come la fratturazione idraulica richiede anche un maggiore consumo di energia e ancora più sfiato o bruciatura di gas durante la fase di completamento del pozzo. D’altra parte, le emissioni di gas metano contribuiscono in modo molto potente all’effetto serra. Non è un caso che nel 2018 il Comitato di ESCR delle Nazioni Unite abbia chiarito che, se si avanzerà a Vaca Muerta, “lo sfruttamento totale, con la fratturazione idraulica, di tutte le riserve di gas di scisto, consumerebbe una percentuale significativa della riserva mondiale di carbonio per raggiungere l’obiettivo di riscaldamento di 1,5 gradi Celsius (non di più) previsto dall’accordo di Parigi”, e raccomanderà quindi allo Stato argentino di riconsiderare lo sfruttamento di Vaca Muerta, alla luce degli impegni assunti.
* Traduzione Giorgio Tinelli per Ecor.Network
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