La Primavera araba, gli Indignados, quelli di Occupy, sono solo la punta di un iceberg, dice Gustavo Esteva, «intellettuale deprofessionalizzato», attento ai movimenti indigeni e ai temi della critica allo sviluppo. Ovunque esistono gruppi di persone che diffondono pensiero critico, agiscono sul tessuto sociale ed economico, cercano relazioni di reciprocità. Si prendono cura dell’ambiente e dei saperi, minano i capisaldi delle culture belliciste, razziste e patriarcali, «qui e ora». Gruppi che non inseguono il potere, ma preferiscono mettere in discussione l’ideologia del profitto e la dittatura della crescita, costruendo, tra limiti e contraddizioni, qualcosa di diverso, rinnovare i nostri immaginari (Castoriadis parlerebbe di «risveglio dell’immaginazione sociale»). In America latina molti chiamano tutto questo buen vivir. Nel Nord del mondo si parla di altra economia e di decrescita. E ovunque si riscoprono the commons, i beni comuni. Scrive John Holloway in «Crack capitalism» (Pluto Press 2010): «Se la cellula del capitale è la merce, la forma embrionale di una nuova società al di là del capitale è il bene comune».
Anche in una città complessa come Roma esiste un movimento di persone che organizzano le proprie vite in un modo diverso. Creano reti per l’alimentazione (Gruppi di acquisto solidale, mercati di filiera corta, orti comunitari), riusano e riciclano, studiano progetti di conversione ecologica, occupano abitazioni, terreni abbandonati, spazi sociali e culturali, alcuni noti e molto organizzati, come il teatro Valle o l’ex cinema Palazzo. Nelle ultime settimane, anche fabbriche. Gruppi che ripensano l’idea di lavoro, cooperano per l’inclusione sociale, sostengono l’artigianato e autoproducono, scelgono la mobilità alternativa all’auto. E ancora difendono i territori dalle aggressioni del cemento, dagli inquinamenti e dalle grandi opere, costruiscono relazioni transculturali, difendono e ripensano la scuola pubblica e i doposcuola popolari. Ma, soprattutto, sperimentano consumi diversi, grazie al circuito delle botteghe del commercio equo e solidale, a chi propone risparmio energetico e fonti rinnovabili, alle esperienze di turismo responsabile, alle cooperative per il software libero, ai servizi di finanza etica.
Un gruppo romano composto da giornalisti, formatori, ricercatori e operatori sociali, si è messo in cammino intorno a un sito di informazione sui temi dell’altra economia: Comune-info. Un sito per favorire la ricerca di un’altra grammatica. Uno spazio per diffondere notizie, raccontare storie, segnalare opportunità (prodotti, servizi, occasioni di lavoro, eventi), raccogliere analisi e proposte, documenti e mappe. Un quodiano (alter)economico per ripensare gli stili di vita e la città, Roma e il suo territorio regionale, con contaminazioni e sguardi da altre regioni e paesi. Uno spazio di narrazione aperto, fuori dagli schemi, che non vuole «tranquillizzare» o illudere e per questo non rinuncia a essere voce critica delle pratiche e dei principi della società in movimento.
I gruppi indigeni che praticano il buen vivir credono che un nuovo equilibro e una nuova «grammatica», si raggiungano attraverso quello che chiamano «pachakutik»: è il tempo che viviamo, tanto aperto quanto imprevedibile e incerto. Comune-info.net, insieme ai compagni di strada che vorranno fare un tratto di strada «in comune», ha l’ambizione di poter offrire un contributo utile in questo passaggio. Insomma, un nuovo spazio di informazione indipendente e di economia ribelle, umile ma ambizioso, si aggira tra i vicoli della città.
«Non stiamo combattendo per giocherellare con la riforma del sistema – ha detto qualche tempo fa, con la solita chiarezza, Arundhati Roy in un’assemblea a Zuccotti Park – Questo sistema deve essere sostituito».
SIAMO RIBELLI? NON LO SAPPIAMO, NOI SUONIAMO IL JAZZ [da adbusters.org]
«…When one tactical constellation fails, we innovate spontaneously, we play jazz (…) Let’s be humble, and keep in mind that this is all just the beginning».
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