Di strada ne ha fatta, Robin Morgan. Tanta e tanto importante. Dal Robin Morgan Show radiofonico, che conduceva a soli 4 anni, alla fondazione del The Sisterhood Is Global Institute con Simone de Beauvoir e del Women’s Media Center con Jane Fonda e Gloria Steinem. L’associazione con donne che hanno avuto tanto successo non tragga in inganno, nella lunga vita di Robin ci sono anche la protesta radicale contro la guerra in Vietnam e il lavoro con le donne di Gaza. Il suo è un femminismo essenzialmente “politico”, a lei si deve la creazione della parola herstory contrapposta a “history”, la storia al maschile che da sempre viene insegnata. Inoltre, fra i numerosi slogan che lancia, c’è il famosissimo «il personale è politico». E poi c’è la trilogia di libri sulla sorellanza: «Sisterhood is Powerful» (1970), «Sisterhood is Global» (1984) e «Sisterhood is Forever» (2003): la sorellanza è potente, è globale, è per sempre. Un percorso dirompente quanto rigoroso. Oggi, 29 gennaio, Robin Morgan compie 80 anni di una vita straordinaria quanto preziosa per chiunque “abbia abitato nell’ombra”, ma soprattutto “per le invisibili, le analfabete, le sfruttate, le profughe, le povere” che cambieranno il mondo
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Bimba prodigio, a soli 4 anni conduce il programma radiofonico The Robin Morgan Show, in cui narra storie e sceglie la musica per il suo pubblico di bambine e bambini. A otto anni, nel 1949, è fra le prime attrici bambine al mondo a entrare nel cast principale di una serie televisiva (era Mama, storia di una famiglia di immigrati norvegesi negli Stati Uniti). Ma il suo vero sogno è studiare per diventare poeta mentre la madre spinge perché continui la sua carriera radiotelevisiva, anche a fronte del fatto che i suoi guadagni sono fondamentali per il reddito familiare.
Nonostante la madre le impedisca di iscriversi all’università, lei frequenta i corsi alla Columbia University da uditrice. Negli anni sessanta inizia il suo attivismo politico con i movimenti di sinistra impegnati contro la guerra in Vietnam e in poco tempo diventa una delle voci di punta del nascente movimento femminista. A lei si deve la creazione della parola herstory contrapposta a “history” ossia la storia al maschile che da sempre viene insegnata e fra i numerosi slogan che lancia c’è il famosissimo «il personale è politico».
Con i diritti del libro Sisterhood is powerful Morgan avvia la prima fondazione femminista negli Stati Uniti, «The Sisterhood Is Powerful Fund». E’ cofondatrice di «The Sisterhood Is Global Institute» con Simone de Beauvoir e del «Women’s Media Center» con Jane Fonda e Gloria Steinem, anche loro attive nei movimenti femministi e per i diritti civili.
Morgan ha trascorso anche diverso tempo lavorando con le donne a Gaza. Fra i suoi testi tradotti in italiano c’è «Il demone amante. Sessualità del terrorismo» sul nesso fra sessualità maschile, violenza e a volte la complicità femminile.
Di recente ha accettato che Dior proponesse t-shirt con alcuni suoi slogan e frasi perché ritiene che l’abbigliamento abbia un’influenza enorme sulle nuove generazioni e perché è convinta che «il femminismo è l’unico movimento mai conosciuto in cui certamente le donne sono molto diverse fra loro per etnia, età, classe sociale e privilegi, ma è anche l’unico che è ossessivamente impegnato ad annullare queste differenze, a dar loro un nome, a combatterle. Non è semplice certo, ma sono ancora speranzosa».
CREDO DI UNA DONNA
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Noi, esseri umani e donne, sospese sull’orlo del nuovo millennio. Noi siamo la maggioranza della specie, ma abbiamo abitato nell’ombra. Noi le invisibili, le analfabete, le sfruttate, le profughe, le povere.
E noi votiamo: mai più.
Noi siamo le donne affamate – di riso, casa, libertà, delle altre, di noi stesse.
Noi siamo le donne assetate – di acqua limpida e risate, di letture, d’amore.
Noi siamo esistite in tutti i tempi, in ogni società.
Siamo sopravvissute al nostro sterminio. Ci siamo ribellate – e abbiamo lasciato dei segni.
Noi siamo la continuità, intessiamo il futuro col passato, la logica con la poesia. Noi siamo le donne che tengono duro e gridano Sì.
Noi siamo le donne dalle ossa, voci, menti, cuori spezzati – eppure siamo le donne che osano sussurrare No.
Noi siamo le donne la cui anima nessuna gabbia fondamentalista può contenere.
Noi siamo le donne che rifiutano di permettere che si semini morte nei nostri giardini, nell’aria, nei fiumi, nei mari.
Noi siamo, tutte e ciascuna, preziose, uniche, necessarie. Noi fatte più forti, benedette, sollevate perché non uguali. Noi siamo le figlie del desiderio. Noi siamo le madri che daranno alla luce la politica del XXI secolo.
Noi siamo le donne da cui gli uomini ci hanno messo in guardia.
Noi siamo le donne che sanno che tutte le questioni ci riguardano, che reclamano il loro sapere, reinventeranno il loro domani, discuteranno e ridefiniranno ogni cosa, incluso il potere.
Sono decenni ormai che lavoriamo a dar nome ai dettagli del nostro bisogno, rabbia, speranza, visione. Abbiamo rotto il nostro silenzio, esaurito la nostra pazienza. Siamo stanche di enumerare le nostre sofferenze – per intrattenere o essere semplicemente ignorate. Ne abbiamo abbastanza di parole vaghe e attese concrete; abbiamo fame d’azione, dignità, gioia. Intendiamo fare di meglio che resistere e sopravvivere.
Hanno tentato di negarci, definirci, piegarci, denunciarci; ci hanno messe in prigione, ridotte in schiavitù, esiliate, stuprate, picchiate, bruciate, asfissiate, seppellite – e ci hanno annoiate. Ma niente, neppure l’offerta di salvare il loro agonizzante sistema, ci può trattenere.
Per migliaia di anni le donne hanno avuto responsabilità senza potere, mentre gli uomini avevano potere senza responsabilità. Agli uomini che accettano il rischio di esserci fratelli offriamo un equilibrio, un futuro, una mano. Ma con loro o senza di loro, noi andremo avanti.
Perché noi siamo le Antiche, l’Essere Nuovo, le Native venute per prime e rimaste, indigene come nessuno. Siamo la bambina dello Zambia, la nonna della Birmania, le donne del Salvador e dell’Afghanistan, della Finlandia e di Fiji. Siamo canto di balena e foresta pluviale; l’onda sommersa del mare che monta, immensa, a spezzare in mille frammenti il vetro del potere. Siamo le perdute e le disprezzate che, piangendo, avanzano nella luce.
Questo noi siamo. Siamo intensità e energia. Siamo i popoli del mondo che parlano – che non aspetteranno più e non possono essere fermati.
Siamo sospese sull’orlo del millennio: alle spalle la rovina, davanti nessuna mappa, il sapore della paura acuto sulle nostre lingue.
Eppure faremo il salto.
L’esercizio dell’immaginazione è un atto di creazione.
L’atto di creazione è un esercizio della volontà.
Tutto questo è politica. E’ possibile.
Pane. Un cielo pulito. Pace vera. La voce di una donna che canta chissà dove, melodia che spira come fumo dai falò campestri. Congedato l’esercito, abbondante il raccolto. Rimarginata la ferita, voluto il bambino, liberato il prigioniero, onorata l’integrità del corpo, ricambiato l’amante. Magico talento di trasformare i segni in significato. Uguale, giusto e riconosciuto il lavoro. Piacere nella sfida che porta, concordi, a risolvere i problemi. La mano che si alza solo nel saluto. Interni – dei cuori, delle case, dei paesi – così solidi e sicuri da rendere finalmente superflua la sicurezza dei confini. E ovunque risate, sollecitudine, festa, danze, contentezza. Un paradiso umile, terrestre, ora.
Noi lo renderemo reale, nostro, disponibile. Noi disegneremo la politica, la storia, la pace. Il miracolo è pronto.
Credeteci.
Siamo le donne che trasformeranno il mondo.
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(traduzione dall’inglese di Maria Nadotti)
UNA PICCOLA NOTA
Io trovo questo testo straordinario per scrittura, per l’urgenza della provocazione e soprattutto per il coraggio di crederci. Lo lessi, oltre 10 anni fa, nel volume Cassandra non abita più qui. Maria Nadotti intervista Robin Morgan che fu pubblicato nel 1996 da La Tartaruga Edizioni (collana “A viva voce” ideata e diretta da Maria Nadotti) e da allora molte volte mi è tornato in mente. Ho provato ad accettare il rischio (la frase a cui mi riferisco è: “Agli uomini che accettano il rischio di esserci fratelli offriamo un equilibrio, un futuro, una mano”) e continuo a provarci.
Volevo condividere emozioni e desideri di questo testo con chi passa dal mio blog; così ho chiesto a Maria Nadotti se potevo utilizzarlo e lei mi ha subito autorizzato. Ne sono molto felice.
Per me è ovvio che questa lettura va affiancata al bisogno di aria fresca raccontato nel “Teorema della linea 27” di Lorella Zanardo (vedi su questo blog in data 5 luglio) come alle inquietudini, verità, proposte, altrisguardi, proteste, riflessioni, provocazioni che ogni domenica Monica Lanfranco, “la strega del cerchio”, porta qui. Altrettanto ovviamente … questo mio spazio minuscolo resta aperto ad altre voci di donne e uomini che continuano a “credere”. Credono – come scrive Robin Morgan – nella necessità e urgenza di pane, di cieli puliti, di pace vera con voci di donne che chissà dove cantano, con eserciti congedati e raccolti abbondanti, con il lavoro uguale, giusto e riconosciuto per tutte tutti… con ovunque risate, sollecitudine, festa, danze, contentezza. (db)
L’articolo di Barbara Bonomi Romagnoli è uscito sulla Bottega del Barbieri, il blog di altri e di Daniele, l’ineffabile db, che ha scelto, da sempre eccellente redattore con qualche bella ed evidente nostalgia per i giornali di carta, di accompagnarlo con il testo letterario tradotto da Maria Nadotti e una preziosa noterella sull’incondizionata e grata accettazione del rischio proposto da Robin Morgan: “Agli uomini che accettano il rischio di esserci fratelli offriamo un equilibrio, un futuro, una mano”
Ho 67 anni e cerco sorelle con cui condividere un nuovo mondo.
dove sei Brunella?
Sì sì anch’io!