Un progetto tanto ambizioso e suggestivo quanto malsano, quello del governo del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador: un treno “maya” per trasportare merci e fiumi di turisti dalle spiagge di Cancún alle rovine di Palenque e altri siti archeologici. Malgrado l’enorme portata propagandistica dell’effetto annuncio, la sostanza dell’articolazione del progetto viene per ora tenuta molto riservata ma di certo si tratta di un percorso di oltre 1500 km attraverso 5 stati messicani e parte della più importante foresta umida tropicale mesoamericana, essenziale per la stabilità del clima dell’intero continente e del pianeta. L’impatto sull’ecosistema e la straordinaria bio-diversità locale sarebbe devastante. Come devastanti sarebbero le conseguenze sul territorio e le comunità indigene, quei diretti discendenti degli antichi maya che le politiche neo-coloniali e sviluppiste del Novecento non sono mai riuscite a far diventare gente da museo. Difficilmente i mega-progetti previsti riusciranno a convincerle ad accettare un copione folklorico al servizio di uno sviluppo predatorio, magari verniciato da qualche maquillage sostenibile e legittimato da improvvisate e “democratiche” consultazioni popolari
di Silvia Ribeiro
Molti sono gli interrogativi sui mega-progetti annunciati dal governo di Andrés Manuel López Obrador, in particolare il Treno Maya e il corridoio trans-istmico. Molte di più sono le espressioni di opposizione delle comunità e delle organizzazioni dei popoli indigeni, così come delle organizzazioni ambientaliste e altre della società civile.
È quantomeno curioso che non esista un’informazione pubblica obiettiva, dettagliata e accessibile su questi progetti, in particolare per le comunità che ne saranno colpite, ma anche per il pubblico in generale. I dati ufficiali di dominio pubblico sono superficiali e predominano quelli di taglio propagandistico. Non esiste un posto dove i progetti sono descritti nel dettaglio e si possono consultare senza dover presentare un atto ufficiale. In questa luce, è sorprendente che siano già inclusi nel bilancio nazionale, a quanto pare come atti di fede, visto che l’informazione è molto generica e non pubblica, ma i soldi quelli sì, che sono pubblici. Inoltre, qualsiasi avanzamento di questi progetti sarà in violazione di diverse leggi e trattati, compreso il diritto alla consultazione preventiva e a quello di concedere o di negare il consenso da parte dei popoli indigeni e dei contadini, così come l’obbligo di realizzare e di mettere a disposizione del pubblico gli studi preliminari sull’impatto ambientale, e che solo se sono ecologicamente sostenibili possono essere considerati.
Malgrado questa mancanza di informazione, le domande su questi progetti ricevono risposte dai loro promotori che attaccano e screditano quelli che, come noi, hanno una posizione critica. Spesso, nel medesimo atto, funzionari ufficiali o ufficiosi del governo celano informazioni che loro sì, dicono di conoscere sui progetti e che a quanto pare adeguano a ogni situazione.
Ci si potrebbe chiedere perché, se non c’è informazione pubblicamente disponibile, c’è già tanta opposizione. In parte perché quei progetti non sono nuovi. Da Zedillo, al governo attuale, passando per quello di Peña Nieto e i precedenti, esistevano già progetti simili, come il corridoio transoceanico dell’istmo di Tehuantepec e il Plan Puebla Panamá, che hanno messo in allerta le comunità.
Si tratta di progetti di sviluppo sulle terre e i territori indigeni e contadini, ma non secondo ciò che questi popoli vogliono e propongono, bensì secondo quello che istanze esterne ai popoli ritengono che sia sviluppo e in teoria buono per loro. Quindi si annuncia, con una visione convenzionale dello sviluppo capitalista, una promozione di maggiore commercio nazionale e internazionale, estrazione mineraria, energetica, di legname, turistica e di sviluppo dell’agricoltura industriale. In ogni caso, una visione dall’alto e da fuori che – nella migliore delle interpretazioni – non tiene conto delle proposte delle stesse comunità e dei popoli indigeni per i loro territori e che in molti casi le boicotta o impedisce.
Parte dell’opposizione a questi progetti, si deve agli impatti ecologici che questi comportano, per il loro tracciato su boschi, fiumi, ecosistemi unici e altri danni sull’ambiente, natura, territori e risorse dei popoli. Inoltre, in entrambi i progetti, gli impatti indiretti, sia sociali che ambientali, sarebbero ancora peggiori di quelli diretti.
Per esempio, non si tratta solo del fatto che il Treno Maya interrompe il territorio del giaguaro, rispetto al quale “gli iniziati” rispondono che già lo fa l’attuale strada – sebbene questo sia solo in parte vero, poiché il tracciato annunciato, attraversa il cuore di importanti aree protette, dove attualmente non c’è strada.
Il problema è che, comprese le zone dove già esiste la strada, la proposta è volta ad aumentare le attività di trasporto merci, trasporto passeggeri e di turismo alberghiero, che, da un lato, potrebbe mantenere o aumentare il traffico stradale esistente, ma soprattutto, amplierà l’area di impatto ben oltre la zona di transito diretto.
L’esistenza di fermate ferroviarie faciliterebbe anche l’avanzata di altre attività, molte delle quali sono state combattute dalle comunità della penisola, dalla deforestazione, all’allevamento e monocolture industriali fino ai parchi eolici o solari. Così come spiegano le comunità della penisola che sono riuscite a fermare con una sentenza legale il progetto Aspy (Accordo di sostenibilità per la penisola dello Yucatan), che si dica “verde” o “sostenibile” non vuol dire che non siano mega-progetti di profitto o di beneficio delle grandi multinazionali conservazioniste, che danneggiano i territori e trasferiscono le comunità.
È fondamentale che le comunità e i popoli indigeni e i contadini debbano essere consultati perché è un loro diritto, così come stabiliscono le Nazioni Unite, e che questa consultazione deve essere autentica, con le forme dei popoli stessi, libera, culturalmente adeguata, e in cui [le comunità] possano dare o negare il proprio consenso a questi progetti che avranno impatti sui loro territori. Ancora più importante, è che prima di imporre tali procedure, nelle quali anche la consulta può essere un fattore di conflitto e di divisione, si ascoltino i popoli su ciò che loro stessi pensano sia necessario per i loro territori e per le loro culture.
Articolo pubblicato su La Jornada con il titolo “El tren que no es maya”
Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo
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