Bioregioni, case comuni, conoscenze comunitarie, nicchie linguistiche, luoghi omogenei per ambiente o per storia o per cultura. C’è un’Italia che la geografia politica e amministrativa ignora, racconta Massimo Angelini in Un’altra Italia, edito da pentàgora (di cui pubblichiamo stralci dell’introduzione), “dove prossimità e vicinato forse vogliono dire qualcosa e il locale è un portato di cultura quando, però, non degrada nel localismo, in uno spazio meschino di paura e chiusura…”
C’è un’Italia che la geografia politica e amministrativa ignora, un’Italia di piccole patrie, anzi màtrie (come la lingua-madre e la terra-madre), sub-regioni, terre identitarie, bioregioni, case comuni, nicchie linguistiche, luoghi omogenei per ambiente o per storia o per cultura, talvolta grandi come piccole regioni, talvolta piccole come lo spazio che lo sguardo può abbracciare da un campanile; c’è un’Italia dove prossimità e vicinato forse vogliono dire qualcosa e il locale è un portato di cultura quando, però, non degrada nel localismo, in uno spazio meschino di paura e chiusura, in uno spazio di autocompiacimento attraverso la costruzione dell’altro, il foresto, l’estraneo, lo straniero; c’è un’Italia fatta di molte terre, più grandi dei singoli comuni meno dei territori amministrativi, multicolore come l’abito di Arlecchino dove, però, nessun rombo è uguale agli altri; un’Italia che tutti conoscono e forse per la prima volta qui viene rappresentata.
Un’Italia composta di terre, di màtrie [ne sono state contate, descritte e cartografate 581] definite nel tempo per ragioni di omogeneità ambientale, per questioni di storia politica laica o ecclesiastica (le diocesi), intorno alla diffusione di una lingua locale o di una sua declinazione, separate da fiumi o dislivelli, o da coste e crinali o da altri confini meno visibili, meno reali, eppure veri per l’incidenza che hanno avuto nella vita delle persone e nella costruzione degli immaginari locali.
Questa prima edizione è inevitabilmente incompleta e approssimativa, con numerose informazioni da rivedere, imprecisioni da correggere; ma è anche un’occasione per iniziare una riflessione su quei territori che in qualche misura definiscono un’appartenenza locale per ambiente, immaginario, lingua, abitazione, desiderio (jus cordis, questo è ciò che dovrebbe bastare per essere o diventare nativi di un luogo: né jus sanguinis né jus soli, solo jus cordis), e permettono ai membri di una collettività di dire ‘io vengo da…’, ‘io vivo in…’.
[… Ma] ha senso parlare di màtrie e terre identitarie nell’era declinata alla globalizzazione? C’è il rischio che il loro riconoscimento possa essere usato per ravvivare retoriche di nostalgia e rinforzare voglie di separazione o campanilismi da strapaese?
Sono domande che mi sono posto più volte durante l’intera ricerca: alla prima non so rispondere con certezza; quanto al rischio evocato nella seconda… sì, lo vedo.
Comunque, al di là dei rischi di fraintendimento, credo che ripensare le geometrie del creato e della cultura sulla base dei saperi condivisi, delle conoscenze comunitarie, dell’immaginario popolare – penso, per esempio, ai sistemi di soprannominazione personale e familiare vs l’anagrafe pubblica1 o alle tassonomie popolari vs quella linneiana o a tutto quanto lasci trasparire un recupero di dignità dello sguardo sul mondo prevalentemente innervato sull’oralità rispetto a quello su cui pesa il monopolio della scrittura – sia necessario per la crescita di una sensibilità profondamente democratica e altrettanto utile per mantenere aperto il respiro della poesia.
1M. Angelini, L’enigma Garibaldo, Pentàgora, 2012: 169 ss.
LEGGI ANCHE Sentirsi assieme Il territorio è un aggregato culturale, l’insieme delle relazioni sociali [Paolo Cacciari]
PIERA dice
In maniera lungimirante avevo intenzione di trasferire le mie cose in un’isola che, mi difendesse dalla massa umana, incombente e devastante…
Non ci sono ancora riuscita per motivi, economici e pratici dovuti alla mia età e condizione di pensionata statale .
Sopravvivere dignitosamente nei luoghi suddetti potrebbe essere per noi anziani gratificante e, ci darebbe maggiore visibilità a livello sociale .
Sopravvivere ma ….distanziati e con mezzi idonei connessi … non solo telematici…..
Sopravvivere e, nel futuro credere in un possibile avvenire anche se così prossimo !