di Paolo Cacciari*
Loschiesuoi è un torrente che viene giù dal monte Cernera e arriva al Cordevole, affluente della Piave. É chiamato anche Ru de i molign, perché nella frazione di Toffol, a 1.450 metri d’altezza, c’erano diversi mulini ad acqua. Uno di essi, “’l molin de i Padre”, attivo fino al 1981, è scampato alla distruzione per merito degli eredi della antica famiglia dei mugnai Lorenzini che l’hanno custodito e, da ultimo, per l’intervento della Magnifica Regola di Selva e Pescul di Cadore che lo ha restaurato e rimesso in uso.
Le Regole sono istituzioni comunitarie di origine medioevale sopravvissute alla colonizzazione della Repubblica Serenissima veneziana, ai codici napoleonici, all’Impero austroungarico, al Regno d’Italia, al Fascismo e – con non poche difficoltà! – anche alla Repubblica italiana e alle sue Regioni. Gestiscono patrimoni comunitari (gli “assetti fondiari collettivi” quali boschi, pascoli, malghe, corsi d’acqua) secondo i principi consuetudinari della condivisione e della inalienabilità. Commons, come diremmo oggi. In altre parti d’Italia si chiamano Comunanze, Vicinìe, Partecipanze, Università agrarie, Società degli originari e altro ancora. l’Istat ha censito sul territorio nazionale più di un milione di ettari di terreno (il 4,4 per cento della Superfici Agrarie e l’8,85 per cento della SAT in Italia) di proprietà collettive. Prima che la premio Nobel per l’economia Elinor Ostrom ne riscoprisse la funzionalità e l’efficacia economica, il giurista Paolo Grossi – attuale presidente della Corte Costituzionale – ne descriveva le caratteristiche in un testo fondamentale ora in ristampa: Un altro modo di possedere, Giuffrè, 1977.
Renzo Nicolai è il “marigo”, presidente della Magnifica Regola di Selva e Pescul di Cadore che amministra i beni collettivi ereditati per diritto consuetudinario dai circa 180 regolieri, vale a dire dei nuclei familiari (“fuochi”) che posseggono un numero civico nel comune. Possono fare domanda di ingresso alla Regola anche i “foresti” che risiedono in zona ininterrottamente da almeno di quarant’anni. Si tratta di estese aree agro-silvio-pastorali: prati per fienagione, boschi, due malghe e qualche altro terreno ora urbano. Alcune aree, “consortive”, venivano usate a rotazione e per sorteggio in modo da consentire anche alle famiglie più povere, senza terra in proprietà, di poter allevare una mucca. Così come avviene ancora oggi per la legna da ardere necessaria annualmente per il focolare e per l’assegnazione di alberi di larice e di abete necessari per il “rifabbrico”, consistente in una quantità di legna da costruzione sufficiente per la sostituzione degli elementi deteriorati della casa, del fienile o della stalla (ad esempio le scandole dei tetti). Per normare tutti questi diritti esistono i Regolamenti: Regolamento di Legnatico, di Rifabbrico, di Fabbisogno. Tutti rigorosamente discussi e approvati dall’assemblea regoliera.
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La amministrazione regoliera ha ottenuto il mulino di Toffol in comodato gratuito per vent’anni. Per il restauro la regola ha fin’ora impegnato risorse proprie per la modesta cifra di 40 mila euro grazie al lavoro volontario dei migliori artigiani, muratori e falegnami della zona. Ivano Pallua é uno di questi. Ha ricostruito le due grandi ruote “a cassetti” idrauliche che girando su due possenti alberi motore in larice fanno funzionare i complicati meccanismi leonardeschi che portano l’energia a due grandi mole in pietra (che possono funzionare contemporaneamente e che raggiungevano una produzione di un quintale di farina al giorno) e a una terza macina “pesta orz” per rendere l’orzo perlato. C’è da sapere infatti che fino a prima della Grande guerra anche nelle zone interne di montagna delle Dolomiti si praticava un’agricoltura molto variegata. Venivano coltivati diversi cereali, segale, frumento, oltre a vari tipi di legumi, fave e fagiolini. Venivano coltivati anche il lino e la canapa.
Completato il restauro, presto le macine del mulino potranno tornare a produrre farine a scopo dimostrativo e didattico. Ma Aristide Bonifacio, regoliere, vigile del fuoco in pensione, appassionato curatore della memoria storica della Val Fiorentina, nutre la speranza che un giorno il mulino possa tornare a lavorare produzioni cerealicole locali, riattivando attività economiche per i giovani della valle. Già nel vicino paese di Arabba un mulino idraulico in pietra è tornato a funzionare e alcuni produttori biologici delle valli vengono fin lassù per farsi macinare i cereali.
Riabitare la montagna è un numero monografico della rivista dalla Società dei territorialisti presieduta da Alberto Magnaghi. Racconta di esperienze virtuose come quelle della Magnifica Regola di Selva che sono riuscite ad innescare processi di ripopolamento delle “aree interne”.
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Pubblicato anche su Terra e Aqua (bimestrale veneziano fondato da Michele Boato)
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* Giornalista e scrittore, autore di articoli e saggi sulla decrescita e sui temi dei beni comuni, ha aderito alla campagna Un mondo nuovo comincia da qui. Il suo ultimo libro è 101 piccole rivoluzioni. Storie di economia solidale e buone pratiche dal basso (Altreconomia).
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