Fino a non molto tempo fa, sarebbe stato lecito immaginare che la scelta del primo presidente della Tunisia eletto in libertà avrebbe allontanato festosamente e per sempre il fantasma dei tempi bui in cui Ben Alì veniva acclamato alla guida dello Stato con percentuali farsesche. In questi giorni, invece, con l’elezione di Beji Caid Essebsi, un uomo legato a doppio filo al tempo della dittatura, e l’affermazione di segno solo anti-islamico del partito modernista Nidaa Tounes, le ombre del passato tornano a minacciare seriamente la fragile democrazia nordafricana. Sembrano a rischio anche, o soprattutto, le due sole tracce visibili di una rivoluzione che aveva aperto le speranze della cosiddetta “primavera araba” e oggi sembra tanto lontana. Al di là della pesante assenza di una vera opposizione parlamentare e politica all’egemonia neoliberista, la gente in Tunisia è molto delusa e dimostra con chiarezza di non aver alcuna fiducia nelle istituzioni. Sono soprattutto i giovani, grandi protagonisti della sconfitta di un regime che imperversava da decenni, a essere messi da parte ma i giovani, oltre ad essere stati l’anima della rivoluzione, sono il 70 per cento della popolazione
di Patrizia Mancini
A poco meno di un mese dallo svolgimento del primo turno delle elezioni presidenziali, ieri, 22 dicembre, alle 15, l’Instance Independante pour les élections ha proclamato i risultati preliminari (1) del 2° turno: ha vinto Beji Caid Essebsi con il 55,68% mentre il presidente uscente, Moncef Marzouki ha ottenuto il 44,32%.
Astensione ancora in aumento
Il tasso di partecipazione è stato del 59,04% degli iscritti alle liste elettorali, con una significativa diminuzione di circa il 5% rispetto al primo turno (64%). Se poi si confronta il numero dei votanti alle legislative dello scorso ottobre con quanti hanno votato a questo secondo turno di presidenziali, si constata una perdita totale di oltre 400.000 elettori. Occorre tener presente, inoltre. che per votare alle elezioni dell’Assemblea nazionale Costituente nel 2011 oltre 8 milioni di tunisini e tunisine si erano iscritti nelle apposite liste, mentre quest’anno soltanto poco più di 5 milioni hanno ritenuto opportuno farlo: altri 3 milioni di persone hanno dimostrato di non aver alcun interesse alle tornate elettorali.
Questa massiccia e progressiva astensione, di cui nessun politico sembra preoccuparsi più di tanto, è allarmante per una democrazia nascente e, nel caso delle presidenziali, sembra sommarsi al disincanto e alle delusione dei giovani che sono stati protagonisti della rivoluzione (2) e che si sono visti scippare i loro obiettivi, altre motivazioni che si inquadrano nell’attuale gioco politico dei partiti all’indomani delle legislative. La coalizione fra partiti di sinistra e formazioni del nazionalismo arabo denominata Fronte Popolare, dopo due settimane di un dibattito che immaginiamo lacerante, è riuscita a esprimere una posizione ufficiale assurda che ha fatto infuriare alcuni simpatizzanti: innanzitutto fermare Marzouki, in alternativa scheda bianca o Essebsi.
Le ragioni dell’odio accecante nei confronti di Moncef Marzouki si iscrivono nel radicato convincimento del Fronte Popolare della responsabilità dell’ex governo a maggioranza islamista negli assassinii di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi. Ma anche, più pragmaticamente, nell’illusoria speranza di poter influire, con i suoi 15 deputati sulle politiche del futuro governo, se non addirittura occupare posti di responsabilità al suo interno e evitare la paventata alleanza di Nidaa Tounes e Ennahdha.
E’ plausibile che una parte di coloro che hanno votato il leader del Fronte Popolare Hamma Hammami al 1° turno delle presidenziali non se la sia sentita di esprimersi a favore di Essebsi (il Ministro degli Interni all’epoca di Bourghiba che inaugurò la stagione della persecuzione della sinistra tunisina) e che perciò abbia votato scheda bianca.
Altri potrebbero non aver votato disgustati da una campagna elettorale in cui entrambi i contendenti non sono stati capaci di presentarsi come pacificatori o riunificatori di un paese che ancora non ha superato le divisioni di classe e regionali, uno dei motivi scatenanti la rivoluzione della dignità.
Qualche eccezione a sinistra
Dalla posizione autolesionista dei partiti della sinistra si sono smarcati diversi intellettuali della sinistra” diffusa” che hanno fatto girare un appello al voto per Moncef Marzouki, pur criticandone l’ operato nel triennio presidenziale: “Moncef Marzouki non è stato certamente un presidente irreprensibile, né l’uomo perfetto, non c’è bisogno di dire che non sarà nemmeno l’uomo provvidenziale. E senza dubbio sarà meglio così. Tuttavia, nonostante i molteplici errori politici compiuti durante il mandato presidenziale – errori di cui dovrà dare conto – e tenuto conto delle condizioni in cui si svolge questo scrutinio, ci sembra l’unica scelta possibile in grado di limitare il terremoto provocato da Nidaa Tounes, di impedire la ricomposizione di un sistema politico ed economico corrotto e ineguale che ci ha governato per più di 50 anni così come il ritorno della repressione”, così si sono espressi Choukri Hmed, Héla Yousfi e Ayachi Ammami, per citarne solo alcuni. L’attacco subito da questo gruppo da parte dei “modernisti” di Nidaa Tounes ha raggiunti livelli francamente indecenti, degni dei bei tempi della dittatura.
Una campagna elettorale infuocata
Molto più che le legislative, le elezioni presidenziali hanno acceso le passioni dei tunisini e della tunisine perché si è trattato della prima elezione presidenziale veramente competitiva dopo gli anni del 99% a Ben Alì e perché si è trattato, come molti osservatori hanno evidenziato, dello scontro frontale fra due paure contrapposte: da un lato Essebsi che ha strumentalmente accusato Marzouki di essere l’incarnazione del “diavolo islamista” e il rappresentante dei terroristi, dall’altro, decisamente più comprensibile, il presidente uscente che ha evocato il ritorno in forze del passato regime. Essebsi è riuscito anche a insultare nei suoi discorsi le popolazioni del Sud (regioni che in maggioranza hanno votato Ennahdha e successivamente per Marzouki presidente) che non hanno tardato a scendere in piazza per protestare contro l’affronto subito.
Soltanto ora, mentre ancora sono vivi gli echi dei tumulti nella regione di Gabes, il presidente eletto e quello uscente cominciano a lanciare appelli alla calma e al rispetto del verdetto delle urne e si lanciano reciprocamente segnali di distensione.
Nidaa Tounes egemone in tutte le istituzioni
Con l’elezione di Beji Caid Essebsi alla presidenza della Repubblica il partito Nidaa Tounes ha oramai in mano le redini del paese. L’elezione di Moncef Marzouki alla presidenza avrebbe fornito un contro-potere estremamente necessario in un paese in cui, se non si può più parlare di rivoluzione, la democrazia è ancora fragile e necessita di un ulteriore consolidamento.
In parlamento Nidaa Tounes dispone della maggioranza relativa con 89 deputati e nei prossimi giorni potrebbero concretizzarsi alleanze sia con l’UPL e Afek sia con il “nemico Ennahdha”(3), il che ridurrebbe al lumicino una concreta opposizione al disegno liberista che, del resto, accomuna il partito islamico e il “modernista” Nidaa Tounes.
Essebsi stesso appare poco credibile come “guardiano della Costituzione” di fronte a eventuali richieste di modifica del testo da parte della “sua” maggioranza parlamentare”, per le quali occorrono i 2/3 dei voti del Parlamento.
Ricordiamo quanto ci aveva detto il costituzionalista Kais Saied in una recente intervista: “Normalmente il centro del potere dovrebbe essere la Kasbah (nella grande piazza della Kasbah si trova la sede del governo, n.d.a.), ma se Essebsi vince, il governo diventerà il governo del presidente della Repubblica e non del Primo Ministro. Ma non basta: occorre considerare che la composizione della futura Corte Costituzionale sarà nelle mani del partito dominante, dato che 1/3 deve essere nominato dal presidente della Repubblica, 1/3 dall’Assemblea del Popolo (…) e 1/3 dal Consiglio Superiore della Magistratura (anche per la formazione di quest’ultimo che dovrà avvenire entro 6 mesi dalle elezioni legislative, si può prevedere un’influenza del partito maggioritario). In una situazione in cui l’apparato del vecchio regime, lo Stato “profondo” non è stato smantellato,si tornerà al punto di partenza, cioè al partito unico“.
In questo senso non può certamente tranquillizzare la recente proposta di Nidaa Tounes per la formazione di commissioni parlamentari preposte ai cambiamenti costituzionali e alla revisione della legge sulla giustizia di transizione.
Chi sarà in grado di contrastare i prossimi attacchi alla poche conquiste della rivoluzione che sono la Costituzione e l’Istanza per la Verità e la Dignità che solo il 15 dicembre scorso ha cominciato i suoi lavori?
In assenza di una opposizione degna di questo nome, che avrebbe dovuto essere “naturalmente” incarnata dalla sinistra, il futuro della democrazia tunisina ci appare buio.
Note
- Una volta proclamati i risultati detti “preliminari”, il candidato uscito perdente dalle presidenziali ha tempo 20 giorni per presentare ricorso. Al termine di questo periodo vengono dichiarati i risultati definitivi.
- Sulla situazione dei giovani tunisini si legga l’articolo di Thameur Mekki
- Ennahdha, giunto secondo alle legislative del 23 ottobre scorso, paventa un ritorno alle persecuzioni nei suoi confronti e uno scenario all’egiziana, anche se meno cruento. Per questo motivo i suoi dirigenti sembrerebbero auspicare un’alleanza con Nidaa Tounes. Un tale compromesso potrebbe destabilizzare sia Nidaa Tounes, che al suo interno ha anche personaggi di centro-sinistra, sia la base di Ennahdha. Ricordiamo anche che il partito islamico non ha appoggiato ufficialmente Moncef Marzouki alle presidenziali, lasciando libera scelta ai propri elettori. Un altro segnale di compromesso con Essebsi?
DA LEGGERE
- La gioventù tunisina, una forza viva condannata al torpore di Thameur Mekki
- Tunisia:La transizione democratica in pericolo (3/3) a cura di Patrizia Mancini e Santiago Alba Rico
- Tunisia: la transizione democratica in pericolo(2/3) a cura di Patrizia Mancini e Santiago Alba Rico
- Tunisia: la transizione democratica in pericolo (1/3) di Patrizia Mancini
Patrizia Mancini è una delle curatrici di Tunisia in Red, un sito di informazione, analisi e riflessione per interpretare in modo critico quel che avviene in Medio Oriente e, in particolare, una situazione complessa come quella della Tunisia del dopo Ben Alì. Questo articolo è pertanto comparso per la prima volta su Tunisia in Red
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