Il virus mostra ogni giorno di più l’impotenza della politica, l’obsolescenza dei suoi concetti e delle sue pratiche. Al tempo stesso agisce in modo profondo sul piano delle relazioni, già disintegrate da tempo (i numeri delle vittime per overdose da psicofarmaci oppiacei, a cominciare dagli Stati Uniti, sono inquietanti): non stiamo forse entrando in una condizione che si fonda sul congelamento dell’erotismo e quindi in una disattivazione dell’empatia? Intanto, forte delle devastazioni (sociali, economiche, ambientali) presenti da anni, il virus moltiplica la diffusione di crisi di panico soprattutto tra i giovani chiusi in casa ed esposti a flussi di informazione ininterrotti, e privati di un contatto epidermico con l’altro. Quale ruolo può svolgere in questo contesto, si chiede Franco Berardi Bifo, la psicoanalisi, se la intendiamo non solo come terapia individuale ma come modellazione cosciente delle attese e delle motivazioni? “Cosa possiamo intravvedere oltre la soglia pandemica? Una caduta dell’intensità desiderante o uno spostamento creativo dell’energia pulsionale?…”
“Those who restrain desire do so because theirs is weak enough to be restrained” (William Blake)
Nota sul concetto di sublimazione
Poco dopo la morte di Freud, Wystan Hugh Auden scrisse una poesia dedicata al fondatore della psicoanalisi i cui toni oscillano tra la pacata saggezza e il sentimento di una tragedia imminente. È il 1939, la seconda guerra mondiale è iniziata da poco e il poeta è acutamente consapevole delle sue implicazioni apocalittiche.
Freud, l’esiliato ebreo che muore a Londra proprio mentre l’Europa sprofonda nel più spaventoso degli abissi, è raccontato dal poeta come una mente che illumina il percorso dell’umanità proprio quando questa, sull’orlo di una catastrofe immane cerca, non il senso della storia, ma la coerenza interna all’essere psichico, cioè una pratica capace di salvare un equilibrio.
La morte di Freud è la morte di colui che ha cercato di comprendere i fantasmi che producono violenza, e ha cercato di dissipare la violenza attraverso l’analisi, l’interpretazione e quella comprensione che rende possibile la cura.
“Solo l’Odio festeggia, perché spera di incentivare
la sua pratica e la sua sordida clientela
che pensa di potersi curare uccidendo
e spargendo le ceneri in giardino”.
La scomparsa di Freud è accolta con gioia soltanto dai predicatori dell’odio, dice Auden, perché la psicoanalisi va proprio intesa come una cura della sofferenza che genera l’odio, a partire da un’elaborazione linguistica del materiale psichico rimosso.
È chiaro che il poeta si riferisce ai fascismi che stavano devastando l’Europa, quando parla della sordida clientela che pensa di potersi curare uccidendo. Quella sordida clientela non si è esaurita, non è scomparsa con il crollo del fascismo. Al contrario, nel nostro nuovo secolo quella clientela sordida è risorta e la vediamo espandersi e forse ormai sottomettere il futuro del mondo. Il nazionalismo e il razzismo sono diventati così invadenti da impadronirsi della presidenza del paese più potente del mondo proprio perché la sofferenza psichica non è mai stata così diffusa come oggi. Basta sapere quanti sono i morti per overdose da psicofarmaci oppiacei negli Stati Uniti (67.000 nel 2018), per capire quale sia il terreno di coltura del razzismo suprematista.
Auden suggerisce in questo testo che il potere teme la psicoanalisi perché la sua tecnica terapeutica consiste proprio nel liberare gli individui dalla soggezione e dal conformismo. E scrive:
“La vecchia cultura dell’inganno aveva previsto
che la sua tecnica inquietante
potesse portare alla caduta dei re
e al collasso dei loro lucrosi modelli di frustrazione.
…
Una voce razionale è ora muta. Sulla sua tomba
la famiglia dell’impulso piange per una persona cara:
triste è Eros, costruttore di città,
e piange l’anarchica Afrodite”.
Questo testo di Auden è di tremenda attualità, oggi che la psicosi dilaga e mette in moto dinamiche distruttive, sia pure in forme diverse da quelle descritte da Freud. Ma mi interessa particolarmente perché al fondo delle considerazioni poetiche di Auden ci sta una questione fondamentale: in che modo la psicoanalisi agisce sul processo di soggettivazione cosciente, al di là della sua funzione strettamente terapeutica? Qual è il contributo della psicoanalisi all’evoluzione psichica collettiva in momenti di apocalisse come quello in cui scriveva Auden, e come quello in cui scriviamo e viviamo adesso?
È a partire da questa domanda che voglio approfondire il tema della sublimazione: un tema che Freud introduce quasi di sfuggita in alcune pagine della sua opera, ma che, se non sbaglio, non ha mai avuto una trattazione compiuta, o per lo meno una definizione teorica.
La successione di catastrofi che abbiamo sperimentato in questi ultimi anni, dopo l’attacco terroristico alle torri di Manhattan, dopo la crisi finanziaria del 2008, dopo Fukushima nel 2011 ripropone gli orrori della seconda guerra mondiale: i bombardamenti sulle città siriane, afghane, curde ricordano i bombardamenti del 1943-45. I campi di internamento per migranti disseminati nel bacino Mediterraneo ricordano i campi di concentramento nazisti in cui milioni di persone scomparvero. Nessuna rivoluzione può fermare, e meno ancora rovesciare la devastazione dell’ambiente dell’aria, delle acque, della terra, perché quel processo ha superato il punto di non ritorno e si è inserita nel codice generativo stesso della riproduzione sociale, così che la volontà politica non basta più, anzi forse non serve più a niente, di fronte a fenomeni che hanno carattere di irreversibilità.
“… From here on, no matter what we do, se will still have to live with various forms and intensities of radiation from the accumulating waste, whose effects are varied temporally and spatially.
Finally it has become clear that the the Fukushima event is not about Japan alone: it involves global power relations. Its irreversibility and magnitude shed an intense light on the World that has begun to collapse on the Earth and force all its vital activities to commit double suicide with it”.
(Sabu Kosho: Radiation and Revolution, Duke, 2020)
Nessuna decisione politica può fermare la diffusione di un virus. Mentre questo rivela l’impotenza della politica, l’obsolescenza dei suoi concetti e delle sue pratiche, al tempo stesso esalta la funzione che la psicoanalisi può svolgere, se la intendiamo non meramente come terapia individuale ma come modellazione cosciente delle attese, delle motivazioni e del ritmo stesso della respirazione collettiva.
È in questo nuovo contesto – di irreversibilità della catastrofe – che mi pare utile ragionare sul concetto di sublimazione.
Sublimazione e tecnologia connettiva
“ Angelo, ma ci sarà una piazza
che noi non conosciamo
dove su un tappeto indescrivibile,
gli Amanti che quaggiú non possono
mostrassero lo slancio alto dei cuori
in ardite figure erette al cielo.
(Rainer Maria Rilke: Sesta elegia duinese)
Sul tema della sublimazione non esiste molta letteratura, che io sappia. Freud ne parla in alcune delle sue opere, particolarmente in Tre saggi sulla sessualità, in cui ne tratteggia una definizione:
“Chiamo sublimazione la facoltà di scambiare lo scopo sessuale originario con un altro, non più sessuale, ma psicologicamente affine…”.
La cultura nasce, secondo Freud, da uno spostamento della pulsione desiderante verso un oggetto non sessuale: nell’economia affettiva si compie una rimozione, e si determina uno spostamento dell’investimento libidinale dalla sessualità verso il linguaggio. Ma questo spostamento non avviene senza un costo patologico: nel Disagio della civiltà Freud parla della sofferenza nevrotica prevista e richiesta dalla convivenza sociale.
La sublimazione gioca in Freud un ruolo di protezione rispetto all’ansia: siccome la convivenza sociale richiede la rimozione di gran parte della nostra immaginazione sessuale, l’energia che proviene da quella pulsione deve essere investita in una direzione diversa dal piacere inteso come scarica e rilassamento della tensione corporea. Questa direzione diversa è la creazione di linguaggio: la costruzione di città, la ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica, la composizione di opere d’arte.
Sono in gioco qui tre livelli: il primo è quello della rimozione, il secondo è quello dello spostamento libidinale, il terzo quello della sublimazione come creazione. Lo spostamento sublimante, però, produce necessariamente un effetto intrinsecamente repressivo, le cui conseguenze possono manifestarsi in patologie di tipo nevrotico. Quello che mi interessa capire è come (per quali vie) la rimozione può avere un esito piuttosto che un altro: un esito sublimato e creativo piuttosto che un esito repressivo patogeno. Non è questione da poco, credo, perché la nuova emergenza che si è manifestata in questo anno 2020, la diffusione pandemica di un virus che costringe al distanziamento dei corpi, all’evitamento del contatto con la pelle e con le labbra dell’altro, al rallentamento dei ritmi e degli scambi erotici, apre alla psicoanalisi problematiche abissali che non esistevano prima.
Già ieri, nei decenni della digitalizzazione, il concetto di sublimazione aveva acquisito un significato inedito, legato alle tecnologie che rendono possibile la comunicazione senza presenza e senza contatto. La sterilizzazione del sociale che questo passaggio tecnologico ha determinato ha largamente sostituito il contatto erotico con la fantasmagoria pornografica.
Secondo quanto scrive il professor Spiegelhalter in Sex by numbers, la frequenza degli incontri sessuali è diminuita enormemente negli ultimi tre decenni, man mano che la connessione digitale prendeva il posto (e il tempo) che in precedenza era della congiunzione sensuale. Oggi però la pandemia sta modificando obbligatoriamente la prossemica delle relazioni, poiché istituisce il distanziamento come regola della comunicazione, e apre un capitolo del tutto nuovo alla psicopatologia. Non stiamo forse entrando in una condizione che si fonda sul congelamento dell’erotismo e quindi in una disattivazione dell’empatia?
Nell’aprile del 2020 The Guardian ha pubblicato un articolo di Ciara Gaffney dal titolo: What will sex life become like? Che ne sarà del sesso nei mesi del confinamento soprattutto per la generazione più recente, quella che si chiama spesso generazione Z, (con un riferimento alla piattaforma Zoom). “Tra il 1991 e il 2017 il numero di studenti delle superiori che facevano sesso è sceso dal 54% al 40%. poi è arrivata la pandemia globale e sulla sua scia emerge una rivoluzione sessuale”. La bizzarra tesi di Clara Caffney è che la pandemia sta creando le condizioni per una nuova rivoluzione sessuale, la cui essenza è la sensibilità senza contatto. “Nell’epoca colorata di rosa prima del coronavirus, l’invio di immagini di nudo era oggetto di una certa vergogna. Quelle immagini erano percepite come goffe, anche un po’ patetiche. Nell’era del lockdown invece l’invio di immagini di nudo fa un ritorno glorioso, senza pentimento, come fattore orgoglioso di una liberazione sessuale. Stratificata dalla distanza la Generazione Z sembra dover reinventare quel che significa sesso, in un mondo in cui il sesso fisico è spesso impossibile. Come il movimento dell’amore libero scosse le convenzioni del suo tempo, così il rinascimento sessuale della Generazione Z scuote le convenzioni della relazione sessuale organica”.
Mi ritornano in mente certi discorsi sul cyber-sex che circolavano tra gli anni Ottanta e Novanta. Si può pensare al trasferimento dell’emozione erotica nello scambio di parole e di immagini? Non è improbabile che un campo di sviluppo della tecnologia elettronica nel prossimo futuro sia proprio l’innesto di realtà virtuale e di sensori tele-stimolabili. Lo facevano già i protagonisti di Neuromante di William Gibson del 1984.
Clara Caffney scrive che: “La quarantena non solo incoraggia ma costringe l’esplorazione sessuale: sperimentare con nudi, thirst traps. per lo più senza ripercussioni nella vita reale”. Thirst trap significa trappole che ti fanno venire la sete, ma se poi manca l’acqua? Può l’erotismo essere tutto assorbito dallo scambio linguistico?
La teletrasmissione di stimoli sensuali ricevuti in realtà virtuale avrebbe una funzione utile dal punto di vista demografico; la si smetterebbe finalmente di procreare, almeno per i prossimi due o trecento anni. Ma non credo che esista un universo di piacere indipendente dal contatto dell’epidermide con l’epidermide, dall’ammiccamento ironico dello sguardo a distanza molto ravvicinata, dall’olfatto e dal tatto.
In maggio sul New York Times Julie Halpert ha dato informazioni sulla diffusione di crisi di panico tra i giovani americani chiusi in casa ed esposti a un flusso di informazione ininterrotto, e soprattutto privati di un contatto epidermico con l’altro.
È molto più probabile che la sensibilizzazione fobica al corpo dell’altro che deriva dalla consapevolezza del prolungato pericolo di contagio provochi degli effetti di tipo psicopatologico, come il panico, la depressione, l’anoressia sessuale, e alla fine una vera e propria mutazione autistica a largo raggio. La sublimazione digitale non può avere effetti positivi sulla sensibilità erotica e quindi sulla felicità psichica degli individui, perché mentre intensifica lo stimolo visuale e linguistico, rimanda all’infinito o cancella del tutto la possibilità di un piacere sensuale e di una esperienza orgasmica.
Ciononostante il problema della sublimazione rimane, e chiama in causa le potenzialità erotiche del linguaggio. La questione si è posta nella storia della cultura occidentale fin da quando Platone, nel Simposio, fa dire ad Alcibiade delle parole sul rapporto tra contatto fisico e sapere.
“Ti dirò, Socrate, una cosa incredibile, per gli dei, ma vera! Io, infatti… progredivo quando ero insieme a te, anche se solo ero nella stessa casa, ma non nella stessa stanza; di più, però, quando ero nella stessa stanza, e molto di più, mi sembrava, quando, stando nella stessa stanza, guardavo verso di te mentre parla- vi, più di quanto guardavo da un’altra parte; ma soprattutto e in sommo grado progredivo quando sedevo proprio vicino a te, standoti accanto e toccandoti”.
Il contatto erotico è dunque da considerarsi come l’apertura della mente alla conoscenza. Plotino svolge questo tema introducendo l’idea che l’ascesa verso il bene proceda dal desiderio.
“Ogni essere intelligibile è ciò che è in se stesso, ma diventa desiderabile quando il Bene lo colora di se stesso, donando grazia agli esseri intelligibili e impulsi d’amore a coloro che desiderano. L’anima allora accoglie in sé il flusso di lassù, si agita come una baccante e, pervasa da acuti desideri, si fa tutta amore”. (Plotino: VI, 7, 22, 9-10)
Il dolce stil novo toscano e in generale la letteratura cortese che nei secoli tardo-medievali si diffonde in una vasta area del Mediterraneo può essere considerato come una continuazione dell’idea affermata da Agatone; il desiderio e la prossimità fisica rendono possibile l’ascesa verso la conoscenza. La funzione di Beatrice, oggetto di desiderio sensuale ma al tempo stesso tramite di elevazione spirituale, esemplifica questa concezione.
Ma si può credere che sia vero anche il contrario, e cioè che il piacere intellettuale renda possibile il piacere dei sensi? Può l’organismo umano, che è al tempo stesso cosciente e sensibile, linguistico e sensuale, emanciparsi dal corpo erotico e trasferire l’energia desiderante verso il corpo cortese (il corpo del linguaggio) senza perdere l’intensità e la potenza liberatoria dell’orgasmo erotico?
Cortesia, curiosità e conoscenza erotica
Nel VII Seminario, che ha come tema proprio la sublimazione, Lacan distingue tra la sessualità pre-moderna, in cui la pulsione (Trieb) è il focus dell’eros, e la sessualità moderna (post-cortese, e post-rinascimentale) in cui l’oggetto del desiderio, la persona verso cui la pulsione si rivolge prende il posto centrale dell’emozione erotica. La cultura cristiana ha enfatizzato l’individualità e l’introspezione così che nella sfera cristiana si sdipana il filo dell’amor cortese che va dal trovadorismo al romanticismo moderno: questo filo consiste nell’erotizzazione della conoscenza. La curiosità del singolare mette in moto il desiderio e la conoscenza della singolarità è il nucleo del piacere erotico.
Il principio aristocratico di devozione al re, alla chiesta, al papa e a Dio viene ricodificato e sostituito da un nuovo principio di devozione: la devozione all’amore (fedeltà d’amore per i trovatori cortesi).
Nel libro L’Amore in Occidente Denis de Rougemont identifica questa divergenza nel mito cortese per eccellenza: Tristano, un nobile giovane uomo che viene incaricato di portare dall’Irlanda la sposa promessa del suo Re, la dolce Isotta. Durane il viaggio Tristano e Isotta cadono in un deliquio amoroso cui non possono sottrarsi, così che debbono affrontare indicibili dolori ed indivisibili piaceri e alla fine la morte.
La rivoluzione antropologia dell’Umanesimo è qui contenuta in nuce: mentre nell’epoca tradizionale patriarcale la conoscenza consiste nel risalire verso l’origine, nella protezione ossessiva di una verità originaria costantemente esposta al rischio di dispersione, la femminilizzazione implicita nella cultura cortese annuncia un nuovo modo di pensare e di percepire: la conoscenza è proprio la dispersione del sé, la dissoluzione dell’identità, l’esperienza dell’ignoto. Proprio perché l’ignoto ci attrae siamo spinti a conoscere. E il senso dell’attrazione erotica è contenuto in questo desiderio di conoscenza dell’emozione dell’altro, dell’espressone sessuale dell’altro.
La cortesia è l’evoluzione linguistica del desiderio, l’elaborazione della pulsione attraverso l corteggiamento, che è azione linguistica., finalizzata al perseguimento della conoscenza carnale. Sublimazione, invece, è un’elaborazione linguistica della pulsione desiderante che elude la finalità carnale, ma trasferisce l’emozione carnale sul piano dell’emozione conoscitiva, estetica, politica.
Il concetto stesso di aristocrazia viene allora ridefinito: l’aristocrazia non consiste più nell’appartenenza alla classe dei puri, ma nell’incontro di coloro che capiscono ed esercitano il linguaggio cortese, e costruiscono comunità senza appartenenza, pur non condividendo lo stesso lignaggio.
L’intenzione linguistica prende il posto dell’origine ontologica, religiosa o sociale.
È qui in gioco la stessa nozione di comunità (Gemeinshaft) in opposizione alla nozione di società (Gesellshaft): la condivisione culturale e sensibile in opposizione alla partecipazione super-comunitaria alla convenzione della politica.
Nel nostro tempo di disintegrazione sociale l’idea di comunità è ritornata, con tutta la sua ambiguità: c’è una comunità nomadica che si fonda sulla condivisone cosciente di avori estetici e intellettuali, che si riunisce e si disperde in modo spontaneo, una comunità di persone che sta nello stesso luogo solo fin quando desidera stare insieme. Poi c’è una comunità di appartenenza fondata sull’illusione di una comune origine e di un territorio comune. Questa comunità si esprime in maniera autoritaria patriarcale e aggressiva.
La prima comunità non protegge i suoi confini perché non protegge la sua identità; è essenzialmente dispersiva, e tende ad esprimersi attraverso la proliferazione semiotica. Lo scopo della comunità nomadica è propri i divenire altro, la dimenticazione delle origini; essa è al tempo stesso elettiva e dispersiva. Elettiva perché si fonda sulla scelta e sul desiderio e dispersiva perché il suo scopo è la proliferazione.
Ma se i baci divengono una minaccia sanitaria, e l’inconscio sensibilizza fobicamente il contatto delle labbra non viene messa in pericolo la stessa fonte di quell’energia che muove all’azione, alla conoscenza all’avventura?
Cosa possiamo intravvedere oltre la soglia pandemica? Una caduta dell’intensità desiderante o uno spostamento creativo dell’energia pulsionale?
PIERA dice
Alla mia età e, con la mia esperienza diretta sul “territorio” c’è scarsa possibilità di “sperimentare” ma, se ripesco tra i recenti ricordi in tema, sopravvive in me l’idea che il corpo, insieme alla mente, conta come se fosse la cassa di risonanza d’ogni nostra emozione. Sesso e sentimento strettamente collegati funzionano alla grande solo se, un trasporto autentico li rinfocola e costantemente .
Paola Ghione dice
Come dici, caro Maestro, occorre spostare la sublimazione verso un orizzonte politico, verso l’invenzione di un’azione – digitale e/o carnale – capace di far sopravvivere la specie. C’è tanto da lavora. Partiamo da qui, da quello che dici. Grazie.
hans drager dice
Quindi bisognerebbe fare di necessità virtù, cioé accettare le misure imposte dalla classe medica internazionale (OMS) e i suoi luogotenenti nazionali alle rispettive popolazioni con il pretesto di un cosiddetto virus, quali l’isolamento, la quarantena, l’allontanamento sociale (“social distancing”), il contatto fisico (baci, abbracci, stringere la mano, ecc.) – secondo il motto: ‘nessuno/a più con nessuno/a’, anche rispetto al desiderio sessuale – e “sublimare” le pulsioni vitali quale la sessualità repressa trasferendole “sul piano dell’emozione conoscitiva, estetica, politica”, come suggerisce l’autore?!
Una strana confessione disfattista che, passando per una ridefinizione del concetto di aristocrazia come “coloro che capiscono ed esercitano il linguaggio cortese e costruiscono comunità senza appartenenza”, ricorda i tentativi di alcuni intellettuali borghesi di impedire durante gli anni Venti del XIX secolo l’ascesa del nazifascismo e della HEILsdiktatur (dittatura sanitaria) con una “Aristocrazia dello Spirito” (cfr. Thomas Mann, “Fratello Hitler”). Tentativo fallito, come sappiamo.
Eppure ci sono esperienze rivoluzionarie, anche di seconda mano.
Non molto tempo fa un gruppo di donne a Firenze si era ricordato come il problema della sessualità veniva affrontato nel Collettivo Socialista di Pazienti (SPK) all’Università di Heidelberg in Germania. Publicarono sul sito Internet ‘Cortocircuito. Arresto di sistema’ un testo preso dal libro “SPK – Fare della malattia un’arma” col titolo “Dialettica della sessualità: una realtà da costruire (e una da abbattere)”. Vale la pena di citarne alcuni estratti:
“Nella società capitalistica organizzata la sessualità può essere determinata solamente in modo formalmente astratto; ciò significa che la sessualità non può essere intesa come una cosa data per scontata ma che deve essere concepita come qualcosa che bisogna creare e costruire ex-novo come realtà.”
E con riferimento a Freud: “Il contributo scientifico fondamentale di Sigimondo Freud consiste nella scoperta che le significazioni di tutte le esperienze vissute nella nostra vita (Erlebnissignifikanzen) si traducono nella materialità del corpo (somatizzazione, disturbi psicogeni delle funzioni organiche, ecc.); le forme appariscenti sotto le quali si presenta questo corpo, e che testimoniano la sua distruzione, sono i sintomi classificati (dagli psichiatri) come la psicosi, la neurosi e la schizofrenia. La sua appartenenza alla classe borghese ha impedito a Freud di portare a termine questo fruttuoso approccio teorico.”
“La strada sbagliata percorsa da Freud nel suo pensiero, se ridotto a una formula semplice, consiste nel fatto che egli, per risolvere un problema che gli si pone sin da principio in termini materialistici, trova soltanto una soluzione idealistica. Rimanendo attaccato infine all’ideologia borghese, malgrado tutta la critica svolta dalla psicoanalisi all’ordine sociale borghese, tutto il suo pensiero vacilla tra il materialismo meccanico da un lato e l’idealismo metafisico dall’altro; inoltre, l’ipostasi (esagerazione) dell’ordine sociale borghese al “principio di realtà” per eccellenza impedisce lo svolgimento della dimensione storica. Questi sono i presupposti e le condizioni epistemologici del pessimismo di Freud a cui si accenna ripetutamente nella letteratura pertinente sull’argomento.”
“Era stato Wilhelm Reich a tentare di capovolgere la teoria di Freud mettendola su basi materialistiche. Indagando sui disturbi delle funzioni sessuali come causa dei disturbi “psichici” egli riesce a sviluppare in modo embrionale storicamente e dialetticamente la contraddizione tra la sessualità come funzione vitale e la sua parcellazione (Brechung) ad opera della forza di natura e della violenza della società. L’espulsione di W. Reich dal Partito Comunista e il suo isolamento dal movimento socialista hanno avuto come conseguenza il fatto che egli non poteva portare a termine il suo approccio a una teoria dialettico-materialista della sessualità. Questo spiega la sua ricaduta in un materialismo meccanicistico, come si manifesta nella teoria orgonica che Reich sviluppò durante gli ultimi anni della sua vita. Da parte dei partiti comunisti, il rifiuto di concepire la miseria sessuale non soltanto come un fatto politico astratto ha favorito la genesi di quel puritanismo nelle organizzazioni del partito che è alla base del dottrinarismo e della burocrazia che, dopo lo scioglimento forzato del movimento anti-autoritario, si manifestano un’altra volta oggi nei gruppi di sinistra che si presentano con la pretesa di rifondare il partito comunista.”
“Nella conseguenza di questo approccio Reichiano e della sua elaborazione storico-materialista, nello SPK la malattia fu concepita come contraddizione all’interno della vita, come vita che contraddice se stessa, dunque come vita frantumata in sé (in sich gebrochenes Leben). Alla distruzione tendenziale di ogni vita ad opera della forza di natura esponenziale del Capitale corrisponde, a livello del singolo individuo, la trasformazione della sessualità in angoscia e auto-distruzione inerente a questa angoscia.”
“Il comportamento sessuale è interamente comandato dalle esigenze economiche. Laddove i partner credono di aver fatto la loro scelta secondo il loro libero apprezzamento e in base ad attrazioni primarie e secondarie specifiche di ogni sesso, bisogna sempre considerare, sotto un aspetto oggettivo, che questa scelta è pre-determinata dall’educazione e dall’ambiente, dalle relative abitudini, le quali derivano da interessi economici. Le caratteristiche specifiche di sesso, dalla costituzione biologica alla struttura delle percezioni individuali, sono sempre determinate dalla sessualizzazione delle pulsioni parziali la cui messa in azione risulta dalla concorrenza tra tendenze economiche e le pulsioni genitali represse.”
“A causa della sottomissione totale della vita al valore di scambio tutte le relazioni “inter-umane” sono determinate come relazioni di scambio tra oggetti (= scambio di neuroticismi). La trasformazione delle relazioni tra oggetti (Objekt-Objekt Beziehungen) in relazioni tra soggetti (Subjekt-Subjekt Beziehungen) è compito e problema di cui la soluzione è possibile soltanto attraverso una prassi politica capace di abolire tutti i valori di scambio – LOTTA DI CLASSE!”
(A quanto pare, il gruppo responsabile del sito ‘Cortocircuito. Arresto di sistema’ ha cessato le sue attività. No so che fine ha fatto il gruppo di donne che aveva ripubblicato il testo. Un gruppo ‘nomade’ come suggerisce l’autore dell’articolo di cui sopra, e quindi disperso? Comunque, l’intero testo si può leggere anche sul sito Internet del Collettivo Socialista di Pazienti / Fronte di Pazienti – SPK/PF(H) http://www.spkpfh.de/KKW_ital_Indice.htm ).
A questo punto può essere utile ricordare brevemente cos’era l’SPK e il suo significato per ogni movimento di liberazione fino ad oggi:
L’SPK del 1970-71 fu la risposta all’immiserimento psichico e materiale delle masse nelle società del capitalismo tardivo. Nell’SPK nel 1970/71 trovarono accoglienza e rifugio persone di tutti gli strati sociali e di tutte l’età con la “loro” malattia. Nessuno fu escluso. Fin dall’inizio, nel collettivo di pazienti si era convenuto che potere, oppressione e gararchia non avevano posto nell’area della malattia. Dopotutto, è stato il fondatore dell’SPK, il Paziente del Fronte Wolfgang Huber, che aveva fatto il suo meglio affinché il medico, il significante primario di tutta l’oppressione fosse spezzato una volta per tutte, e insieme a costui tutte le catene di significanti dell’oppressione sin dai tempi arcaici e ovunque. Tutto il terrore, insieme a tutta la porcheria iatro-capitalista basata sull proprietà privata, anche nella sua forma psicoanalitica come il transfer, la relazione oggettuale, l’autostima, il senso di colpa, la carenza affettiva ecc., tutto ciò fu sostituito collettivamente dalla dialettica materialista dell’analisi marxista della merce: invece di terapia, agitazione, e crescita della forza di malattia collettiva; invece di appropriazione privata della malattia nel rapporto medico-paziente e trasformazione della malattia delle singole persone nella specie sostitutiva per queste, cioé il denaro, sviluppo della malattia comune a tutti come mezzo rivoluzionario della costruzione della specie umana.
Da 50 anni fino ad oggi, i pazienti dello scontro dell’SPK / PF (H) hanno preso in mano la “loro” malattia, collettivizzando la “loro” malattia, liberando la malattia e se stessi dalla norma medica del SALUS. Con la ri-appropriazione e la collettivizzazione della “propria” malattia da parte del paziente, la politica di proprietà iatro-capitalista viene colpita nel suo nervo vitale, nel centro nevralgico della soggettività. Con la collettivizzazione della malattia, si mirava e si mira a un comunismo autentico, fatto di carne e sangue, cioè del proprio carne e sangue: si trattava già allora e si tratta dell’appropriazione e rafforzamento delle forze essenziali umane, dell’’appropriazione collettiva della malattia che unisce tutti e tutte come specie nella sua indivisibilità-individualità.
Purtroppo, l’autore dell’articolo sopra mostra quanto sia lontano da una concezione rivoluzionaria non solo della sessualità ma anche di una risposta adeguata alla dittatura medica attualmente istituita con il pretesto di combattere il coronavirus. Quanto all’SPK, avrebbe potuto e dovuto saperne, poiché gli erano state offerte diverse opportunità per occuparsi delle pratiche rivoluzionarie e della teoria dell’SPK. Così quando, a causa della sua persecuzione come portavoce del movimento del 77 a Bologna, si era rifugiato da Guattari in Francia. Quest’ultimo sull’SPK: “Ciò che era nel 1870 la Comune de Paris, era nel 1970 il Collettivo Socialista di Pazienti”.
Come molti uomini e donne di sinistra, purtroppo, nel contesto della malattia amano molto mostrarsi essere umani, ragionevoli, illuminati, comprensivi, razionali, politicizzati persino ancora in macropolitica, analitici in relazione alle classi sociali, anti-fascisti, anti-revisionisti, anti-imperialisti e critici di ideologie e, se non possono fare diversamante, auto-critici senza mezzo termini, oltre che eroicamente solitari.
Ma per preservare la sembianza della propria salute e freschezza di spirito, non esitano ad impiegare dei sensi di vergogna e sentimenti con un dispendio di energie e costi che pare rivoluzionario, se si prende Marx alla lettera, e se lo si prende in parola, perfino rivoluzionaria nell’avversione contro i proletari.