di Paolo Piacentini
Una cosa ci tengo a chiarire, visto il mio impegno quotidiano per cercare di tenere accesi i riflettori sui territori colpiti dal sisma insieme a tante altre bellissime persone ed associazioni. Quando esalto il ruolo fondamentale di alcuni residenti “resistenti” lo faccio con il cuore, ma ho anche molto chiaro il fatto che non tutti quelli che sono rimasti a presidiare hanno la consapevolezza che la rinascita debba avvenire modificando il rapporto tra singoli, comunità ed ambiente.
Dobbiamo pensare ad una nuova dimensione dell’abitare che faccia del valore assoluto del prendersi cura del bene comune, di cui siamo solo fruitori e non padroni, la priorità assoluta da cui ripartire. Sono costretto a fare questa riflessione perché girando e mettendomi all’ascolto con passione mi rendo conto che bisogna avere il coraggio di superare il timore di dire che non basta avere lo “status” di terremotato per esser diventato un bravo cittadino consapevole del valore inestimabile del territorio che ci ospita.
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Le comunità e il post terremoto
Bisogna guardare in faccia la realtà per aiutare un processo di cambiamento reale. Diciamo che la strumentalizzazione scandalosa a cui si sono prestati alcuni residenti sulla grande bugia delle casette ai rom, la dice lunga sulla necessità di lavorare per un difficile ma necessario cambiamento culturale. L’Appennino che deve rinascere ha bisogno di “residenti forti” e che si prendano cura del territori a vantaggio di tutta la comunità. Questo vuol dire che molto probabilmente avranno bisogno di accogliere i migranti e i giovani che stanno scegliendo da tempo di fuggire dalla città.
Il terremoto, nella sua estrema drammaticità, deve essere un’occasione di rinascita sociale e culturale e questa è la sfida più grande, molto di più della ricostruzione delle case.
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