Dal XIX secolo in poi, con la competizione tra russi e inglesi, la storia della regione è stata segnata dallo scontro tra le potenze che si contendono il controllo dell’Afghanistan. Negli anni Sessanta del Novecento, gli Stati Uniti subentrano alla corona britannica e il braccio di ferro con l’Urss vede da una parte i mujaeddin, sostenuti da Washington, e dall’altra il regime laico del partito del popolo, amico dell’Urss. Nel 1979 Mosca invia le truppe per difendere il potere minacciato. L’intervento sovietico è fallimentare ma il regime amico resiste fino al 1992. Poi arriveranno i Talebani, nemici giurati delle donne e dell’educazione. Con l’11 settembre del 2001 e l’attacco alle torri gemelle, a entrare a Kabul saranno gli Stati Uniti: un altro fragoroso fallimento. Da due secoli l’Afghanistan respinge gli interventi esterni, palesi e occulti. Ogni volta che gli invasori stranieri sembrano aver vinto, devono rendersi conto che si tratta di un’illusione. Non c’è alcuna buona ragione per pensare che oggi sia diverso
di Immanuel Wallerstein
Quando è iniziata questa storia? Difficile dirlo. La storia moderna ha avuto inizio nel XIX secolo, quando gli inglesi e i russi si scontrarono tra di loro su chi dovesse avere influenza e controllo sull’Afghanistan. La lotta fu diretta o combattuta attraverso i loro “delegati” afghani. Gli inglesi si convinsero di avere avuto la meglio, ma fu in buona parte una mera illusione. Direi che si trattò di un pareggio.
Nel corso degli anni Sessanta, il gioco ricominciò con l’arrivo al potere di un politico che cercò di introdurre una nuova costituzione “liberale”. Fu un fallimento, ma si aprì una strada che consentì che venissero fuori partiti sia a sinistra sia a destra. Il suo successore, Mohamed Daoud, fu rovesciato nel 1978 dal Partito Democratico del popolo dell’Afghanistan (PDPA), attualmente un partito comunista. Il PDPA stabilì un regime totalmente laico, con il riconoscimento di completa parità per le donne.
Il grande gioco era ripartito. L’Unione Sovietica appoggiò il regime del PDPA, mentre gli Stati Uniti (che avevano preso il posto della Gran Bretagna) sostennero i mujaeddin, i quali combattevano contro il partito al governo e per l’instaurazione di un regime islamista. Nel 1979 l’Unione Sovietica inviò sue truppe per contribuire al sostegno del governo guidato dal PDPA. L’intervento sovietico risultò controproducente e alla fine i sovietici ritirarono gli ultimi contingenti delle loro truppe verso febbraio del 1989. Ciononostante, il PDPA riuscì a resistere al governo fino al 1992. Nel corso dei quattro anni successivi, vari gruppi che si erano opposti al regime del PDPA lottarono gli uni contro gli altri.
Un gruppo che emerse con forza si autodefiniva Talibàn e tentò di riunificare il paese in base ad una severa legge della sharia, all’interno di un regime capeggiato dal Mullah Omar. Il regime talebano è stato particolarmente duro nei confronti delle donne, incarcerandole praticamente nelle loro case, e ha segnato la fine di tutte le opportunità educative.
Nel mese di settembre del 2001 ci fu un momento fatidico. I talebani riuscirono ad assassinare l’unico e principale oppositore che rimaneva in Afghanistan, due giorni prima dell’attacco di Al Queda agli Stati uniti, l’11 settembre. Il serpente aveva risvegliato gli Stati Uniti.
Avendo sostenuto i mujaeddin perché diventassero una forza importante per combattere l’influenza sovietica, ora gli Usa si trovavano di fronte al fatto che questo gruppo era al potere in Afghanistan e garantiva rifugio a Osama Bin Laden, il presunto autore dell’attaco agli Stati Uniti dell’11 settembre.
Si giunge così ad un nuovo intervento esterno, questa volta da parte degli Stati Uniti contro i talebani. La situazione geopolitica, intanto, si era fatta abbastanza complicata. I principali alleati degli Stati Uniti nella regione -Pakistan e Arabia Saudita- sostenevano i talebani. I principali avversari degli Stati Uniti nella zona -Iran e Russia- invece erano schierati al loro fianco nell’opposizione al regime talibano.
La strategia statunitense fu quella di sostenere la formazione di un governo provvisorio con a capo Mohamed Karzai e, in un secondo momento, puntare alla sua elezione come presidente alla testa di un nuovo regime. La più grande virtù di Karzai era di essere di etnia pashtùn, quindi di appartenere alla stessa terra che era il cuore delle forze talebane. Il problema era ancora una volta che il serpente avrebbe potuto svegliarsi.
In capo a due anni Karzai cominciò ad essere sempre più a disagio con il ruolo degli Stati Uniti, in particolare con i loro metodi militari. Con il 2012 era già apertamente critico nei confronti degli Stati Uniti e ragionava di negoziati poltici con i talebani.
Il presidente USA Barack Obama era giunto al potere nel 2009, definendo “guerra buona” l’intervento in Afghanistan, in contrapposizione a quello in Irak. Tuttavia, aveva anche garantito che avrebbe ritirato tutte le forze armate statunitensi (o quasi tutte) nel momento in cui avrebbe lasciato il suo incarico. Questa è risultata essere una promessa vana: nel frattempo le forze talibane sono cresciute costantemente e il governo e l’esercito afghano non sono stati abbastanza forti da contenere il ritorno dei talebani. Gli Stati Uniti avrebbero voluto lasciare loro truppe nel paese per “addestramento”, ma Karzai ha rifiutato di firmare il protocollo che ne avrebbe permesso la permanenza.
Nonostante tutto questo, nel 2014 Karzai, giunto al termine del suo secondo mandato, ha consentito lo svolgimento di elezioni tra Ashraf Ghani (considerato il candidato preferito da Karzai per la successione, oltre ad essere pashtùn) e Abdullah Abdullah (la cui madre appartiene all’etnia tajik, in cui egli stesso si identifica). Abdullah era stato un fiero oppositore di Karzai. I risultati delle elezioni presidenziali sono stati molto contestati e discussi. Ma alla fine Ghani e Abdullah sono giunti ad un fragile accordo di condivisione del potere: Ghani ha assunto il ruolo di presidente e Abdullah quello equivalente ad un primo ministro. Molti osservatori sono scettici sulla possibilità che l’accordo possa durare molto tempo.
Ghani ha promesso di firmare il protocollo con gli USA che Karzai aveva rifiutato, prendendo a volte un po’ di distanza dagli USA. Lo stesso Ghani ha trascorso molti anni negli Stati Uniti, possiede la cittadinanza afghana, ma anche quella statunitense e ha lavorato per anni alla Banca Mondiale. Non è in alcun modo un radicale.
Ghani ha invitato subito i talebani ad iniziare un negoziato, come aveva fatto Karzai. I talebani lo hanno inmediatamente rifiutato, e il loro portavoce ha dichiarato: “Ashraf Ghani è stato designato all’interno della ambasciata statunitense. È una marionetta e non ha diritto ad invitarci ad alcun confronto per la pace”.
L’Afghanistan ha sempre respinto, nel corso di due secoli, gli interventi esterni, sia in forma palese sia in forma occulta. Ogni volta che gli invasori stranieri sembravano aver vinto, avevano dovuto subito rendersi conto di non aver ottenuto nulla. Peggio ancora, i loro interventi sembrano far schierare contro di loro gli afghani che li avevano sostenuti. Non ci sono buone ragioni per immaginare che oggi gli stranieri riescano dove hanno fallito nel passato. Ma se ne rendono conto coloro che intervengono dall’esterno?
fonte: la Jornada. Titolo originale: Afganistán, las interminables intervenciones del exterior
Traduzione per Comune-info: Massimo Angrisano
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