Se c’è una cosa di cui c’è urgenza di sbarazzarsi, quando si parla di edilizia popolare e problemi dell’abitare nelle capitali europee, sono gli occhiali del pregiudizio. Quello di aiutarci a farlo, è uno dei grandi meriti di “ImpAsse. Roma-Berlino. Periferie alla svolta“, il libro fotografico che raccoglie un magistrale progetto di Pasquale Liguori. È un grande viaggio fotografico, segnato da uno sguardo rigoroso e inquieto, che mette in relazione, senza forzare né banalizzare il confronto, due spazi del degrado che sono tra le più rilevanti esperienze urbanistiche realizzate nelle periferie europee negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso: Corviale e Marzahn. Si tratta di due monumentali programmi di edilizia pubblica destinati a rispondere a bisogni popolari drammatici e reali, che, negli scatti tutt’altro che descrittivi di Liguori, mostrano la parabola discendente di una speranza ambiziosa condannata a un declino miserevole. Difficile, però, non attribuirne le responsabilità a chi non ha nemmeno provato a farli vivere. Restano un pezzo della storia dell’architettura recente che ancora interroga in profondità le possibili risposte al diritto all’abitare. La grande ricchezza dello sguardo di Pasquale è la capacità di restituire esattamente la profondità di quell’interrogativo, di guardare dentro il mondo con un obiettivo e un punto di vista straordinariamente aperti. Senza reticenze e con meticolosa passione, anche quando quel mondo sembra fatto solo di cemento e disincanto. Liguori va alla ricerca di quel che non si vede se non si possiedono pazienza e tenacia, se non si sa dove guardare: fascino, energia, ingegno e dignità, come scrive nell’introduzione al libro che trovate qui sotto. Di tutto questo (e quel che a questo liberamente si connette), si parla venerdì 13 settembre alle 18, al Macro di Roma. Alla presentazione di “Impasse”, con l’autore, troverete Carlo Cellamare, Maurizio Garofalo, Maria Immacolata Macioti e Nicolas Martino. Un’occasione da non perdere
Nel corso del 2015, ritornavo a occuparmi delle aree in cui si svilupparono importanti progetti di edilizia popolare intorno alla fine degli anni ‘70. Qui tra edifici, manufatti rimasti incompleti ed esiti urbanistici non ben definiti, spiccava netta la realtà di una Roma periferica che voltava le spalle al tradizionale suo passato di serbatoio elettorale di sinistra.
Una dinamica in linea con quella riscontrabile in altri tasselli di quel “puzzle” Europa, condizionato sempre più da politiche dipendenti da speculazioni economiche, dall’incitamento ai consumi, dalla riduzione di investimento in welfare e istruzione con le categorie più fragili sempre più vaste, sempre più indietro.
È il periodo di diffusione, oscuri enigmi, di sostantivi specialistici del gergo economico. Anche tra le fasce sociali in palese difficoltà, lo spread, misura di “affidabilità” finanziaria di un Paese, assurge a lemma dominante della cronaca quotidiana: parametro divisivo, essenza della divaricazione di performance tra stati membri e, nello specifico, tra Italia e Germania.
Proprio nel periodo preso in esame dalla mia indagine mi capitano sotto gli occhi alcuni articoli apparsi sulla stampa quotidiana e periodica dedicati a una Berlino alquanto diversa da quella efficiente e potente descritta dai media. Leggo, infatti, di Marzahn, quartiere a est della capitale tedesca. Si tratta di un vasto e audace progetto di edilizia pubblica realizzato ai tempi della RDT che, successivamente alla caduta del muro, va incontro a un progressivo declino dovuto a un’intensa regressione economica, con tassi di disoccupazione ben al di sopra dello standard tedesco e profonde problematiche di inclusione e integrazione sociale. Nell’area si assiste così a una considerevole avanzata di forze politiche populiste e xenofobe.
Decido di rimodellare il progetto iniziale: prende sostanza l’idea di una panoramica miscelata delle possibili analogie tratte dalle retrovie di due capitali europee.
ImpAsse è quindi un viaggio tra ambizione, declino e possibilità di riscatto di importanti ambiti urbani sorti a Berlino e Roma tra gli anni ‘70 e ‘80.
Ho quindi affiancato i distretti di Corviale e Marzahn che pure differiscono per estensione territoriale e contesto generale. Entrambi concepiti grazie a specifici programmi di edilizia popolare destinati alla soluzione di insistenti bisogni di housing, sono stati costruiti con un approccio cantieristico cosiddetto “a secco” con largo utilizzo di moduli industriali ed elementi prefabbricati.
Corviale si erge sul crinale di una collina a sud-ovest di Roma, frutto di una lunga e tormentata gestazione progettuale e amministrativa nel corso degli anni ‘70. I primi appartamenti vengono consegnati all’inizio degli anni ’80 con lavori ancora in corso e incompleti soprattutto nella parte innovativa di servizi e strutture accessorie destinate poi a restare largamente incompiute, se non del tutto irrealizzate.
Nell’idea dei suoi progettisti, la maestosa realizzazione architettonica avrebbe dovuto rappresentare anche l’argine al dilagare dell’abusivismo edilizio che fagocitava la campagna dell’agro romano.
Purtroppo, la cattiva gestione politica e amministrativa non ha permesso alle complesse caratteristiche previste dal progetto iniziale di poter emergere nella loro qualità. Ciò ha trasformato il distretto in un corpo progressivamente segregato e stigmatizzato, avulso dal territorio circostante e regredito a primato di un chilometro di strutture cementizie divenute mero dormitorio e teatro di forti disagi e frequenti tensioni.
Ciononostante, l’iniziativa civica e associativa, il ridestarsi di fermenti progettuali stimolano visioni di nuove opportunità e di una possibile riedizione dell’originaria utopia a vantaggio di un rinnovato impulso culturale ed economico dell’area stessa.
Marzahn è il distretto urbano popolare più velocemente edificato in Europa continentale con l’obiettivo di fornire casa a famiglie, dipendenti e operai all’epoca della RDT. Nell’arco di 15 anni, circa 65 mila appartamenti e molteplici servizi vennero destinati ai cittadini dell’allora Berlino Est.
Si calcola che nel 1990 abitassero 290 mila persone nel territorio di Marzahn. In particolare, la zona “NordWest”, 250 ettari popolati allora da giovani famiglie con figli, che conta oggi circa 24 mila residenti, è l’area dove ho concentrato la mia attività di ricerca.
Dopo il crollo del muro di Berlino, a Marzahn NordWest si è assistito a un importante esodo di residenti, causa di evidenti disagi nella gestione amministrativa degli edifici destinati ad abitazioni. In seguito a consistenti interventi di ristrutturazione e riadattamento delle strutture edilizie, molte zone del quartiere hanno modificato volto e caratteristiche funzionali. A ciò si sono aggiunte problematiche di integrazione con l’arrivo e l’insediamento di una numerosa comunità di cosiddetti “ethnic Germans” provenienti dai Paesi dell’ex blocco sovietico, con conseguenti ricadute sui livelli occupazionali e di welfare.
In questo contesto, sono maturati episodi di intolleranza, in un conflitto tra penultimi e ultimi con ripercussioni anche sui profughi delle guerre mediorientali rifugiati nei centri di accoglienza istituiti sul territorio di Marzahn. Molte iniziative di sostegno, animazione e diffusione delle opportunità culturali vengono attuate da diverse organizzazioni non governative operanti sul territorio. Dal 1999 opera attivamente il Quartiers Management istituito specificamente per la prevenzione del disagio sociale.
Oltre al significativo impatto edilizio, Corviale e Marzahn condividono un difficile percorso evolutivo, mistificato da una certa retorica salottiera per cui “la periferia sarà la parte più bella della città”. Inutile girarci intorno, i due quartieri sono oggetto di crudele stigma e perlopiù considerati postacci.
Partendo dalle similitudini strutturali delle due aree, attraverso l’osservazione dell’assetto urbano, ho provato a indagare possibilità analoghe di riscatto e magari di recupero di quell’orgogliosa ambizione che ispirò la loro progettazione e realizzazione.
È chiaro d’altronde che parliamo molto spesso di tenori di vita ridotti al lumicino: debiti e rate a garantire quei minimi e costanti consumi pur sempre utili alla macchina del “progresso”. In questo quadro, trovano condizioni fertili fenomeni di violenza, divisione, odio.
Dunque, quale racconto per storie e luoghi così simili di Paesi diversi in un’Europa lacerata nei suoi ideali di unione e solidarietà? Può una fotografia non soltanto colmare una distanza spaziale ma stabilire nel tempo sintonie di intenti e istanze in contesti differenti? Può farlo, poi, in modo asciutto attraverso il linguaggio della trasformazione urbana, non ricorrendo né alla tecnica di immagini algide e ortogonali, né a riprese invasive e poco rispettose dell’elemento umano?
ImpAsse non è uno strumento di storytelling ma una scelta operativa in cui ho preferito soffermarmi sulla descrizione netta di un contesto, evitando borghesi incursioni nelle altrui difficoltà e suggestive interpretazioni di soggetti e gesti quotidiani in fotografie drogate con improprie postproduzioni.
ImpAsse è un titolo-parodia del tristemente noto Asse Roma-Berlino di fascista memoria. In questo caso, invece, l’alleanza attesa è tra volenterosi proprio per reagire alla paralisi, al critico cul-de-sac che raccoglie, ingolfate, speranze, aspirazioni e disincantate illusioni di persone che vivono la medesima condizione in luoghi diversi. L’apparente staticità dell’oggetto fotografico, rianimata da un’auspicabile presa di coscienza collettiva, può dunque vibrare come il trampolino di lancio di una consapevole reazione di riscatto.
Ho vissuto in maniera integrata i paesaggi e ImpAsse non è mai stata per me una ricerca contemplativa sui distretti di Corviale e Marzahn quali singole entità, a sé stanti. Ho cercato peraltro di evitare l’impostazione di un improbabile parallelo frontale. Corviale e Marzahn, quindi. Non già Corviale versus Marzahn o viceversa.
Luoghi sì ritratti spesso in aspetti di solitudine e difficoltà talvolta pudicamente celate al fotografo, ma soprattutto nella loro capacità di esprimere fascino, energia, ingegno e dignità.
Si trattava di ridurre l’imbarazzo dettato dai 1.500 chilometri di una distanza soltanto geografica per puntare a sentimenti di condivisione in una solidale opposizione all’isolamento e allo stigma maturati in oltre 40 anni di parabola storica.
Insomma, strutture coi loro abitanti che meritano di essere centrali nel dibattito organizzativo e di sviluppo della città, con molte opportunità di promozione di solidarietà e di dignitoso benessere in un’Europa decontaminata da discriminazioni, intolleranza e ingiustizia. L’impasse è da superare.
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