La terra, quella con la t minuscola, è il sostrato che insieme all’acqua fonda la nostra esistenza di esseri umani. La Terra, quella con la T maiuscola, ce la stiamo giocando tra manipolazioni, surriscaldamenti, inquinamenti. Nella scuola primaria può essere utile e interessante fare baricentro sulla terra, facendo esperienze che permettano ai bambini e bambine e a noi di scoprirla e riscoprirla, con i sensi e con la mente, per divenire insieme consapevoli di quanto di noi ci sia in essa. Questo testo, diffuso contemporaneamente da Comune (nella testata interna Territori Educativi) e Quandosuonalacampanella.it, costituisce la parte iniziale della relazione al convegno La scuola ascolta il respiro della Terra – promosso da Rete Educazione Ecologica – che si svolgerà a Reggio Emilia giovedì 10 aprile (programma e modalità di partecipazione in coda)

In Italia i termini che indicano il suolo e il pianeta coincidono. “Terra” è il nostro pianeta (only one Earth) e la parte di esso in cui prende corpo gran parte della vita (in presenza di acqua). Il lemma “terra” quindi è cruciale nello scambio di idee, opinioni, conoscenze e conflitti che stiamo provando a promuovere nella scuola.
Io qui, rivolgendomi a insegnanti, intendo parlarne valorizzandolo nella sua materialità, inteso quindi come suolo, come sostrato a cui fanno riferimento gran parte delle forme di vita, in modo diretto e indiretto.
Inoltre, anche io insegnante nella scuola primaria, sono se possibile ancor più condizionato dalla consistenza materiale di questa terra, dalla sua manipolabilità (l’importanza di sporcarsi le mani), dalle sue manifestazioni fisiche e chimiche di base, dalle sue caratteristiche percepibili ed esperibili: odore, consistenza, colore. Con le piccole e i piccoli ogni concetto si forma e cresce attraverso le esperienze percettive organizzate su tutte le lunghezze d’onda dei canali sensoriali (a dispetto di tutte le tabletmanie o degli “esperimenti simulati” proposti nelle Nuove indicazioni nazionali1).
Questo intervento quindi vuole essere un invito a dare centralità fisica alla terra nelle nostre classi. Per farlo gioco con alcuni esempi, cioè con alcune esperienze possibili.
Dove procurarsela. Ormai la terra si compra. Nelle città è occultata, emerge solo in prigioni ristrette di cemento attorno alla base degli alberi, sporcata dalle immondizie e dalle deiezioni degli animali domestici. Eppure è un peccato comprare la terra, sarebbe bello progettare uscite per andare a cercarla, prenderla in prestito dal territorio dove è disponibile per le proprie esperienze, poi eventualmente riportarla. Bisogna armarsi di pale e palette, imparare ad usarle, provare la fatica che è stata di millenni di vita agricola (ricordarsi di ricordarla). Tra comprare la terra e andarla a raccogliere c’è la stessa differenza che esiste tra mangiare i fagioli in scatola e coltivarli in un orto.2
La terra “naturale” (per distinguerla da quella “artificiale” in vendita nei sacchi di plastica) offre maggiori possibilità per un uso didattico, proprio perché non è predisposta, perché ci oppone ostacoli e ci obbliga a superarli.
A volte è argillosa, è polvere di suolo, e si può impastare con l’acqua per produrre manufatti che poi si possono cuocere. Raramente salto questa fase. Non solo ci rimanda ai miti della creazione, quello monoteistico (“Dio il Signore plasmò l’uomo dalla polvere della terra”) e quelli politeisti (ad esempio “Nacque l’Uomo, fatto con divina semenza da quel grande artefice […] Prometeo […] impastando la terra ancora fresca con l’acqua piovana)3, ma ci offre anche l’occasione per scoprire una qualità fondamentale del nostro territorio antropico e la possibilità di collegarsi più laicamente ai nostri antenati e antenate su su fino almeno al neolitico. Organizzare il lavoro è semplice: si prendono alcune zolle umide dall’orto o dalla propria “miniera di terra”, le si inumidisce, si distribuiscono a pezzi ai bambini e si chiede loro di impastarle togliendo i sassolini e le radici quando vengono a contatto con le dita. Le “palle di terra” così “purificate” possono poi essere modellate in vari modi, quindi lasciate asciugare per qualche giorno. A questo punto alcuni manufatti vanno bagnati, mostrando la reversibilità di questo processo, altri li facciamo cuocere in un forno e li restituiamo ai bambini, ormai mutati di colore, divenuti terracotta rossiccia. Fantastica trasformazione. Ora i piccoli manufatti bagnati di nuovo non si sciolgono, sono divenuti uno dei materiali più resistenti non solo al peso ma anche all’usura del tempo (e costituiscono uno dei ritrovamenti più usuali per gli archeologi). Finalmente siamo pronti per un’uscita di esplorazione dei dintorni della scuola alla scoperta di tutti i prodotti di terracotta che costituiscono una bella fetta di città: mattoni, tegole, vasi, gran parte delle nostre città sono ancora città di terra-cotta!
Torniamo ora indietro. Avevamo raccolto della terra che ci pareva priva di vita, ma in realtà di vita era piena, di vita viva e di vita in potenza. Mettiamoci allora di nuovo al lavoro. Vagliamo questa terra raccolta e cerchiamo la vita.
Gusci di chiocciole, larve, lombrichi, millepiedi, onischi, microfauna… e poi radici, cioè frammenti di erbe che spingevano i loro apparati sotto-terra, dentro-terra, a succhiare acqua e nutrimenti, ad ancorare le erbe per resistere a vento, acque, calpestii, animali voraci di esse. Classifichiamole queste forme di vita. Ognuno disegni ciò che trova prima di restituirlo al sostrato, e poi ritagliamo e incolliamo i cento disegni in un cartellone, facciamo il censimento delle vite visibili.
Poi cerchiamo le vite invisibili: mettiamo una parte di questa terra in piccoli vasi (noi usiamo i cartoni di tetrapack del latte tagliati a metà e bucati in fondo per il drenaggio), quindi innaffiamoli e mettiamoli alla luce e al caldo, e aspettiamo. I piccoli semi nascosti che non potevamo vedere a occhio nudo, in breve tempo germineranno, miracolosi, spingendo le loro prime foglie sulla superficie. C’erano anche loro nella terra, stavano nascosti, vite in potenza, aspettavano le condizioni per germinare, oppure erano frammenti di radici che conservavano le loro proprietà germinative , capacità sviluppate nei millenni di evoluzione che le rendono resistenti anche ai più ostinati contadini che le strappano (ma non ai peggiori erbicidi inventati per sottomettere il rispetto di un equilibrio tra umanità e ambiente al fine della massimizzazione del raccolto).4
Mescolando la terra con l’acqua è possibile dividere le diverse fasi del suolo, ad esempio in una bottiglietta di plastica (trasparente, infrangibile… quando bambine e bambini sono più grandi usiamo il vetro) dopo aver agitato: le parti organiche galleggiano mentre quelle inorganiche affondano rapidamente; le parti inorganiche si depositano stratificandosi approssimativamente in base alla grandezza dei granuli, dal più grande al più piccolo. Nella mia esperienza è sempre stato di grande fascino per i bambini avere una o due bottigliette con terra e acqua nella classe: il piacere di agitarle e di vedere la sospensione delle particelle, poi quasi senza accorgersene, nel tempo, osservare gli stadi della sedimentazione, ha sempre creato grande piacere. In quarta chiamavamo Nilo quella bottiglietta, collegandola al limo delle tracimazioni annuali dell’epoca antica. Una la conservo ancora.
Note
1 “Nel campo delle scienze, le esperienze di laboratorio, grazie all’uso di software specifici che propongono esperimenti simulati, possono essere svolte in totale sicurezza, con il vantaggio della riduzione dei costi di manutenzione e della limitazione nell’acquisto di materiali di consumo”, Mim, Nuove indicazioni 2025, p. 89.
2 Tra l’altro la terra, quella dei sacchetti, costa molto meno delle lavagne interattive. A peso circa un 200esimo. Eppure a scuola spesso mancano i soldi per comprare la terra.
3 “Nacque l’Uomo, fatto con divina semenza da quel grande artefice (…) Prometeo, a immagine degli dei che tutto regolano, impastando la terra ancora fresca con l’acqua piovana che da poco separata dall’alto etere, ancora conserva qualche germe celeste (…) Così quella terra che fino a poco prima era grezza e informe, subì una trasformazione e assunse figura mai vista di uomini”. Publio Ovidio Naso Metamorfosi I: 76/88
4 G. Gabrielli, Arare a scacchiera, “quandosuonalacampanella.it”, 24/7/2012, https://www.quandosuonalacampanella.it/d10/
CONVEGNO:
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