L’eredità dei movimenti che negli anni Settanta e Ottanta hanno saputo fare dell’infanzia e dell’ambiente due questioni importanti a livello mondiale è un patrimonio a cui attingere. Il cambiamento climatico e la pandemia, sembrano suggerire quei movimenti, devono essere affrontati in profondità dai territori, dove gruppi di base possono inventare nuovi patti di collaborazione con le amministrazioni locali, malgrado oggi lo distanza tra la politica istituzionale e le persone comuni sia abissale. Del resto è nei territori che si ricompongono le relazioni sociali. Anche in questo momento così difficile dobbiamo mantenere la lucidità e riconoscere come quella storia di impegno civile, sociale e culturale di cinquant’anni fa stia riprendendo fiato, se pur in forme diverse, inevitabilmente fragili e contraddittorie. “Camminiamo tutti sulla linea di un cerchio (l’Enso giapponese) – scrive Ambra Pastore – che non si chiude mai…”
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Gli anni Settanta/Ottanta sono stati gli anni di una sentita e praticata sensibilità culturale verso le tematiche dell’ambiente e dell’educazione. In molti siamo stati attivi e partecipi di un cambiamento significativo che avveniva attraverso una presenza attiva sia sociale che istituzionale, recettiva e protagonista del cambiamento stesso. Quegli anni si sono intrecciati a questo presente, come gli anelli di una catena, segnando quel legame talvolta invisibile, ma che esiste, tra passato e presente. Anche oggi, infatti, ciò che alla fine ci distingue nei valori espressivi delle nostre umanità, tende a non morire, a non svanire ma solo a passare di mano in mano, in una specie di consegna, e in questa consegna si trasforma, si frammenta anche, per poi rinsaldarsi e sopravvivere, faticosamente, ma resistendo sotto nuove forme.
Così ciò che abbiamo costruito in quasi cinquant’anni di storia sta facendo le sue consegne, i suoi passaggi di mano, si muove sulla linea di un cerchio – l’Enso giapponese -, a dichiarare e simboleggiare quella forza dell’universo che non si esaurisce mai.
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Già dai primi anni Settanta lavoravo nell’ambito dell’area educativa e, successivamente, come volontaria svolgevo attività sociale e culturale dentro l’Associazione Centro Documentazione Iniziativa Ecologica (CDIE). Dentro l’associazione ho iniziato a occuparmi prioritariamente della ricerca e della raccolta di materiale destinato a documentare le relazioni esistenti tra “infanzia, inquinamento e ambiente”, con particolare riferimento ai processi di inquinamento più diffusi. La documentazione reperita da diversi centri di ricerca istituzionali e attraverso un’emeroteca raccolta in parecchi anni, era suddivisa e catalogata in più di dieci book su tematiche specifiche: inquinamento aria, alimentare, farmacologico, visivo, acustico, ecc. Obiettivo era individuare i fenomeni di degrado ambientale e il loro impatto sulla salute e sull’esistenza dei bambini, nel breve e nel lungo tempo, con l’obiettivo di raggiungere, anche attraverso una mostra fotografica che avevo realizzato per ogni tematica, famiglie, operatori, educatori, insegnanti e le pubbliche istituzioni per una maggiore diffusione e sensibilizzazione sul tema, per una socializzazione e condivisione di queste tematiche, in genere di esclusiva pertinenza degli “addetti al lavoro” e degli ambiti di ricerca. Il lavoro di documentazione, durato diversi anni, e la mostra fotografica che lo accompagnava, sono stati parte centrale di diversi progetti condivisi e iniziative nella provincia di Roma e fuori provincia.
In quegli anni, l’infanzia e l’ambiente richiamavano un’attenzione anche istituzionale, capace di mostrare un’attenzione ai fenomeni sociali, culturali, ecologici che si stavano affermando con maggiore consapevolezza. Nell’anno 1987, ad esempio, l’Assessorato alla sanità della Regione Lazio e l’Osservatorio Epidemiologico Regionale, avevano condotto uno studio su “Inquinamento atmosferico e disturbi respiratori in età pediatrica nel comune di Civitavecchia e nel centro storico di Roma”. Facile supporre i risultati di quello studio nella relazione tra inquinamento atmosferico e patologie bronchiali in età pediatrica. Quello che è certo anche oggi, pur ritenendo che gli studi e la ricerca in merito, sono andati molto avanti, è lo scarso interesse e il poco spazio pubblico/mediatico dedicato alla tematica dell’interazione tra ambiente, bambini e giovani, tematica che rimane ancora oggi debole e poco dibattuta, se non nei circuiti specializzati, ma, al contempo, resa visibile ormai a livello mondiale, in questi ultimi anni, grazie all’impegno di Greta Thunberg e al movimento internazionale Friday For Future, riuscendo a rappresentare in contemporanea sia l’identità di una gioventù matura, più consapevole e protagonista, proiettata nel futuro, sia l’identità di un possibile, necessario e improcrastinabile sviluppo sostenibile a salvaguardia delle giovani generazioni, delle risorse di questa nostra terra/madre e dei beni fondamentali alla vita di tutti.
Tra il 1985 e il 1995, il progetto e la mostra fotografica, riuscirono a richiamare un’attenzione dei media (l’Unità, la Repubblica, riviste sul tema, servizi pubblici), delle istituzioni e di altre organizzazioni. Questo mi permise di collaborare, come associazione, con altri organismi, come l’Unicef e altre Ong, per una maggiore diffusione sinergica delle iniziative. L’opera di Urie Bronfenbrenner, Ecologia dello sviluppo umano, il suo modello multidimensionale, con un approccio e una prospettiva ecologica dello sviluppo umano, mi sembrava capace di oltrepassare territori già conosciuti, consolidati e di considerare l’ambiente nella sua accezione più estesa, interconnessa e onnicomprensiva; organizzai una manifestazione pubblica di cinque giorni sul tema “SOS – per un’ecologia dello sviluppo dell’infanzia” con la partecipazione di Amnesty International, Comes, Cies, Prodocs, Mais, Wwf,Fie,GAR. Oggi, il termine più esteso “One Health” (coniato nel 2004) è un punto di riferimento condiviso idealmente e progettualmente a livello internazionale, un approccio più ampio, ecosistemico che tiene conto dell’insieme dei fattori ambientali e dei rischi globali, comprese le pandemie che gravano sulla nostra salute e su quella della terra.
Infanzia
Sempre in quegli anni, promossi, come servizio Equipe Sociopsicopedagogica, un progetto cittadino della durata di un mese, dal titolo “Prospettiva Infanzia”, che includeva una trasversalità di iniziative e di interventi quotidiani: ludoteca, videoteca, rassegna cinematografica, biblioteca, seminari, spettacoli teatrali, tavole rotonde, mostre fotografiche, con la partecipazione di altre istituzioni, del MLAL (Movimento Laici America Latina) e CIES (Centro Informazione Educazione allo Sviluppo) e delle componenti sociali del territorio. Il mio obiettivo finale era istituire come servizio pubblico educativo/culturale/ambientale un Centro Educativo Permanente, polifunzionale, aperto alla cittadinanza tutta, dalle famiglie ai bambini, agli insegnanti, agli educatori, in analogia a Prospettiva Infanzia. Ma la politica non è stata mai stabile, continuativa e lungimirante. All’iniziativa parteciparono magistrati, ministri, deputati e senatrici, nonché l’allora presidente del Consiglio nazionale sui problemi dei minori, Francesco. Spinelli, a dimostrazione di un sentito, partecipato coinvolgimento istituzionale, nonché di una forte sensibilizzazione sui temi dell’infanzia, questioni che oggi non riuscirebbero a coinvolgere direttamente, personalità di governo, politici di qualunque componente e formazione politica. Questa è oggi una differenza significativa.
Cosa intendo sottolineare con quanto espresso finora? Risulta evidente, dal coinvolgimento dei territori, delle diverse organizzazioni e associazioni, che la politica di quegli anni non era ancora così lontana, come oggi, dalla politica dei cittadini, delle comunità territoriali, dalle istanze che venivano presentate e dagli organismi e associazioni di base, riuscendo ad attuare, anche attraverso quelli che erano i nuovi regolamenti e le nuove leggi di quel periodo storico su decentramento e partecipazione, forme collaborative e di partenariato tra istituzioni e organismi di base, capaci di attivare processi formativi e culturali sul territorio, raccordando istanze della collettività e funzioni specifiche e allargate degli enti locali. Esisteva, quindi, una volontà di camminare insieme, pur tra contraddizioni, difficoltà e carenze, ma comunque lo spirito comune faceva da guida, accomunando organismi sociali, obiettivi, passioni, quelle forme di idealismo (indispensabili nella formazione giovanile) che si traducevano nelle pratiche per essere tutti coinvolti, attivi e partecipi di un cambiamento di cui si sentiva la forza e l’urgenza.
La questione ambientale si stava diffondendo in modo particolare dopo il disastro nucleare di Chernobyl nel 1986, quell’aria minacciosa che soffiava da est – con il propagarsi di radiazioni quattrocento volte maggiore rispetto alla bomba di Hiroshima – ci faceva rabbrividire (ricordo ancora quel giorno); le numerose manifestazioni alle quali partecipammo in massa, erano un forte segnale non solo di un movimento antinucleare ma di difesa della nostra vita, della nostra salute e dell’ambiente da rischi che avvertivamo non più controllabili. Ciò permise una maggiore radicalità e consapevolezza diffusa, non solo sui rischi connessi al nucleare, ma più in generale su tutta la problematica ambientale, così come era più sentita negli anni che seguirono, quella legata ai bambini bielorussi condannati a malattie gravi, a sofferenza e morte, senza futuro (molti i bambini che nacquero deformi negli anni successivi) verso i quali ci mobilitammo come famiglie italiane, attraverso l’accoglienza temporanea nei soggiorni in Italia, finalizzati a dare una possibilità di riduzione della radioattività insieme a un clima di affetto e serenità. Segnali, questi, di una forte presenza e attivazione di enti, associazioni che avevano le loro radici nei territori con una politica ampia e partecipata, allargata e inclusiva.
La tragedia di Chernobyl, la paura di invisibili rischi preannunciati, di nuovi disastri nel futuro, la coscienza ambientale rendevano possibile la visione di una prospettiva futura che includeva una diversa consapevolezza soprattutto nell’impatto sulla vita e sulla crescita dei bambini, tracciando attraverso loro quella continuità storica tra presente e futuro, indispensabile ad ogni società capace di sentirsi legata, unita come entità sociale. A questo si deve aggiungere la ricerca, gli studi delle scienze sociali e umane che aiutarono a mettere al centro il bambino delineandone una specifica identità evolutiva con propri bisogni, competenze e riconoscimento di uno stato di diritto.
Ambiente e infanzia
Perché queste premesse? Perché ancora oggi, più di ieri, ambiente e infanzia pur rimanendo strettamente unite tra loro nella dinamica delle connessioni e interdipendenze e nella relazione causa/effetto, non richiamano tutti i necessari approfondimenti, ricerche, studi, voci che siano capaci di mettere in evidenza il rischio, ovviamente maggiore nei bambini, rispetto agli adulti, dell’impatto ambientale sulla loro salute e sulla loro crescita. Crescono le notizie, è vero, ma con loro non cresce il dibattito pubblico, mediatico e politico.
Ad esempio siamo a conoscenza che i bambini allattati artificialmente ingoiano al giorno milioni di particelle di microplastica nell’allattamento (ricerca condotta dal Trinity College di Dublino), così come sappiamo dei contaminanti trovati nel latte materno (ricerca statunitense effettuata dall’Università di San josè) o ancora la recente ricerca del Fatebenefratelli in collaborazione con l’Università politecnica delle Marche che ha identificato delle microplastiche presenti nella placenta. La ricerca è pubblicata sulla rivista Environment International e rappresenta il primo studio ad aver individuato le particelle microplastiche nelle placente, molto piccole e quindi facilmente trasportabili nei vasi sanguigni, con la conseguenza della nascita di bambini composti con tessuti umani e inorganici. Ma tutto questo e altro ancora sembra rimanere di pertinenza dell’ambito della ricerca e non sembra tradursi in azioni trasversali, politiche, in pratiche di informazione, riconversione culturale, industriale e ambientale.
Il Covid quest’anno ha appesantito una situazione epidemiologica già caratterizzata da un carico di patologie croniche, dai tumori alle malattie respiratorie, cardiovascolari, virali, dismetaboliche, ecc. aggravando la fragilità non solo dei soggetti esposti a maggior rischio, ma la fragilità di tutto il sistema, da quello sanitario, sociale, politico, ambientale. È ormai accertato che il passaggio del Covid sull’uomo è avvenuto attraverso il traffico illegale e il consumo di animali selvatici in condizioni igieniche più che precarie. Alla luce di tutto questo la prima domanda che può sembrare ovvia ma in realtà è omessa dalla nostra coscienza, è: quale può essere l’impatto di un ambiente (anche inteso socialmente) come macrosistema, sullo sviluppo e sulla crescita dei bambini, dei giovani? Nonché sull’uomo e su tutte le forme di vita? Tutte queste realtà di sfruttamento e manipolazione dell’ambiente da parte dell’uomo, fanno parte di un unico sistema e di un’unica e principale causa, quella delle sue attività insane, criminali, predatorie e fuori controllo che rappresentano la minaccia più grave non solo nel presente, ma in un futuro prossimo, molto vicino, per noi e per le generazioni future.
Perciò l’attenzione verso l’ambiente declinato in tutte le sue componenti e l’attenzione verso i bambini ci chiamano in causa e ci chiedono una capacità percettiva lungimirante di relazione causa/effetto, proiettata nel futuro, in un futuro che è già qui, che insegue l’oggi con una velocità pari a quella del cambiamento climatico, pericoloso e aggressivo come sta già dimostrando in tutto il mondo. Una delle aree messe in discussione dalla pandemia è proprio quella che riguarda il modello di sviluppo socioeconomico, da riconsiderare mettendo al centro parametri di valorizzazione umana, sociale, economica, culturale, ambientale.
Se un martello ci cade sul piede
Di Laura Conti ricordo quello che dichiarava in un suo libro: se un martello ci cade sul piede rompendoci un dito, la relazione causa effetto è immediatamente percepibile mentre nella questione ambientale sfugge alla nostra percezione e alla nostra consapevolezza; analogamente è la questione educativa: mancano entrambe di futuro, oltre che di presente.
La nostra capacità umana di rappresentarci il mondo, di dare significato all’esperienza, con il nostro agire, con i nostri comportamenti sociali, ad una realtà frutto della nostra costruzione, della nostra rappresentazione ideale, sembra in dissolvenza, espropriandoci da un senso di responsabilità individuale, collettiva, sociale e soprattutto politica. Lo dimostra, anche in questi giorni, la crisi politica provocata proprio quando gli oltre ottantamila morti, gli otto milioni di studenti senza scuola, i due milioni di casi Covid, i cinquecentomila posti di lavoro persi con una percentuale maggiore per le donne, la crisi sanitaria, forse richiederebbero una rigenerata responsabilità politica declinata eticamente, umanamente e civilmente, come espressione rappresentativa di un reale impegno verso noi cittadini e non come mero gioco competitivo a rimorchio di interessi privati o di pressioni lobbistici, così come la storia della nostra politica ci ha sempre rivelato.
Credo (e ringrazio anche Comune-info e il suo spazio interno Territori Educativi per le conferme attraverso i suoi articoli e racconti) che tutta la storia di impegno civile, sociale, culturale espressa dalle generazioni negli ultimi quarant’anni, sospesa ancora tra l’esistere di ieri e quello di oggi, stia riprendendo fiato, con un respiro lungo, respiro dopo respiro, ininterrottamente, riconsegnando a tutti noi, alla politica, al presente, il senso del nostro stare al mondo, dello stare su questa terra sulla quale siamo solo camminatori di passaggio.
Camminiamo tutti sulla linea di un cerchio (l’Enso) che non si chiude mai.