L’aggettivo sostenibile, ormai abusato e spesso svuotato di senso, andrebbe recuperato soltanto se manovrato con molta cautela semantica e politica, soprattutto quando lo accostiamo alla parola scuola. Come possiamo favorire un distacco della scuola dalla cultura dominante e dal sistema economico vigente? Come possiamo imparare a riconoscere le cause delle crisi ecologiche globali e a mettere in discussione gli effetti negativi di estrattivismo materiale e cognitivo? Come possiamo aprire la scuola alla comunità locale? Come possiamo proteggerla dalle aggressioni del mercato del lavoro? In che modo far entrare a scuola il tema della sostenibilità verso gli strati più fragili della società?

La scuola, in senso lato, è il sistema dei luoghi e delle situazioni in cui si impara, nel rapporto diseguale dei saperi fra chi insegna, dunque lascia un segno, e chi impara, dunque cambia, modifica qualcosa del suo percorso conoscitivo. Una definizione assai problematica per complessità di fattori in gioco, ma sostanzialmente accettabile in tutte le culture e le società, anche le più arcaiche, anche quelle senza alfabeti, dove non si pratica un insegnamento intenzionale, istituito.
Per tenere il passo con la profonda crisi economico-sociale-ecologica in atto, occorre tornare, senza vezzi eurocentrici, alla scuola come luogo della parola, orale e scritta, della prassi come rapporto mai davvero esauribile fra pensiero e azione (Antonio Gramsci), fra mente e corpo, fra corpi e materia vibrante anche inorganica (Jane Bennett), nella interrelazione non con un generico ambiente ma con la Natura-Mondo e i suoi inalienabili diritti (Michele Carducci).
La parola scholè (otium) rimanda a quell’ozio che si poteva vivere – allora in pochi – nella stoà classica, nel portico greco, perdendo tempo. Pur nel cambiamento storico del paradigma culturale e sociale, tale distinzione risulta ancora importante. Tempo perso alla produttività materiale e tempo guadagnato alla conoscenza come fattore evolutivo, sia del singolo che della specie. Tempo delle creature piccole e tempo dell’adulto che sta in ricerca, che fa di essa l’utopia per una ritrovata salute del Mondo, verso la quale camminare.
Oggi il portico è aperto potenzialmente a tutte e tutti. Ed è per questo che un aggettivo come sostenibile va manovrato con cautela semantica e politica. Il primo corno della cautela riguarda l’etimologia di un termine tanto abusato quanto usurato, assai simile a tollerabile: a ciò che fa sì che si possa reggere un peso, in un’ottica di resilente pazienza. Eppure, come molti aggettivi che finiscono in “ibile” rimanda, grammaticalmente, alla potenzialità tipica del sostegno, del sostenere, dell’appoggiarsi e dell’appoggiare. La scuola, sistema di educazione, istruzione, formazione, tipico degli stati moderni, del nostro paese e non solo, sostiene sia la trasmissione della cultura dominante, sia il modello socio-economico vigente. Ma, nel momento in cui fa da sostegno alla crescita delle creature piccole, è aperta alle loro scoperte, alle rivoluzioni che nascono dalle argomentazioni dissidenti tipiche di chi è giovane, dis-cusse nel conflitto delle idee e delle ipotesi, nel cambiamento continuo dei contesti, come luoghi fisici e come spazi umani. La sua sostenibilità è sempre contro corrente. Ancora parole, e il tempo che serve per usarle e farle maturare. Una scuola sostenibile è aperta alla comunità locale, di cui sa leggere le contraddizioni, la consunzione e la ricchezza ancora inespressa, è luogo di ideazione di percorsi capaci di futuro, sa lavorare al concetto di prassi, ripeto, come lavoro ideologico e azione politica, sa “decondizionare” rispetto alla convergenza passiva al proprio background culturale. Una scuola che sostiene, sa affrontare l’ansia che le tematiche della crisi attuale possono generare nelle bambine, nei bambini, nelle/negli adolescenti, sa affrontare con loro l’impatto della tecnologia sulle nostre vite, segnalandone e discutendone gli effetti negativi (di estrattivismo materiale e cognitivo) ma anche le potenzialità di ricerca rispetto al futuro, nell’equilibrio fra intelligenza umana e intelligenza della Natura. Una scuola sostenibile supporta e arricchisce il profilo delle/i sue/oi docenti, evita che elementi estranei, legati al mercato del capitale, lo sfigurino. Le scelte tipiche del PNRR, alla missione 4.0, piegano la professione-docente a nuove dimensioni, la alterano specializzando figure di orientatori e tutori, estrapolando funzioni tipiche dell’insegnare e piegandole alle esigenze di curricula europei per il mercato del lavoro. Mentre non si mette mano al precariato, né ad investimenti strutturali, università, agenzie, settori dell’editoria, il vasto mondo del privato legato all’educazione e all’istruzione, complicano la formazione in ingresso e in itinere delle/i docenti. Si disegnano percorsi accidentati e costosi per accedere ai ruoli, nell’enfasi delle competenze e nella trascuratezza delle conoscenze, sia tipicamente disciplinari, sia delle caratteristiche psicologiche dell’età evolutiva e della cura di sé, che dovrebbe essere costantemente perseguita da qualsiasi docente.
Per le/i costituzionalist* italian* che scrissero parole sulla scuola e sulle condizioni che garantissero il suo sistema (artt 2,3,4,6,9,31, 33), essa è di più di un bene comune, è una funzione, è quel complesso di strutture capillari (persone in spazi dedicati) che permette a tutt*, indistintamente, di accedere all’esercizio di un diritto: diventare le/i cittadin* nel profilo delineato nei testi costituzionali. Non solo, per coloro che scrissero le Costituzioni sudamericane, la formazione è strettamente legata al rispetto per la Terra-Madre e al conseguimento del Buen Vivir, la vita degna (Marco Foroni). Del resto, anche il costituire è una voce parente del sostenere, del dar corpo, attraverso la capacità di provvedere, prevedere, prevenire, l’a-venire.
Oggi, soprattutto nelle nostre malandate società neoliberiste la scuola va meritata, va piegata al principio di sussidiarietà pubblico-privato [principio che tuttavia può essere orientato anche verso esperienze virtuose come quelle delle “scuole aperte partecipate”, ndr], va ancorata al meritare un posto al sole, per il mercato del lavoro, va orientata alle competenze spendibili in quel mercato, nell’oblio della distinzione fra formazione e lavoro, nella dimenticanza dell’ozio come opportunità temporale del dialogo e della condivisione gratuita, fuori dal profitto economico.
Il merito, è in verità un costrutto di opportunità dovuto dalla scuola, è la scuola che deve essere meritevole, dimostrando sostenibilità verso gli strati più fragili della società, verso coloro che differiscono dai modelli correnti di stile cognitivo e di esperienza famigliare, verso le/i migrant* a cui dobbiamo il dono di conoscere altre forme di vita, verso gli emarginati. Sostenere non chi fa fruttare i talenti (come nella lettura pedissequa della parabola evangelica) ma proprio chi ne ha cura, continuando a conservare il suo sapere per poterlo restituire, alla collettività, non al padrone. Angela Davis fra le/i fragili include anche le/i carcerat* (Costituzione Italiana artt 13, 27), a cui dovremmo riconoscere di far parte della riproduzione sociale, in quando soggetti ancora capaci di potenzialità riparative. Il concetto stesso di riproduzione sociale deve esser ri-declinato come cura (cure, care) alla vita. In tutte le sue forme, e la scuola ne è un luogo, come la casa, come l’oikos in senso lato.
E se il concetto di riproduzione sociale incrocia la scuola come sistema volto alla cura, prendono senso locuzioni come “ecofemminismo”, uscita dal patriarcato prometeico dell’antropocene, neologismi riparatori e sorgivi come “matria” (Laura Marchetti), cura delle radici e della maternità (generare e rigenerare), l’operare del maschile e del femminile, delle varietà dei generi, verso corrette interferenze fra natura, bios e culture.
Concludendo: la scuola secondo il mandato costituzionale deve essere finalizzata alla formazione integrale della persona. Un’educazione trasformativa deve caratterizzarsi per un approccio alla conoscenza scientifica, letteraria, artistica che superi la parcellizzazione e la dannosa distinzione fra discipline dure e non, che abbandoni la loro base eurocentrica e prometeica, nella consapevolezza della complessità del presente, della possibile scommessa vincente sul futuro.
Renata Puleo, ass. ALaS e Rete Alfabeti Ecologici
Ai temi di questo articolo sono sono dedicate le iniziative della Rete nazionale Alfabeti Ecologici (le prossime “lezioni ecologiche” sono in programma in maggio in diverse scuole di tutta Italia, informazioni ):