La storia dei ragazzi di Pescara che uccidono un altro ragazzo senza alcun cedimento scatena ricerche sulla vita dei familiari e suscita insopportabili appetiti tra i media sui particolari del delitto. Restano il bisogno di non giudicare dall’alto il dolore e la fragilità, l’esigenza di non dichiararsi ipocritamente estranei a quanto accade nei territori dove viviamo e l’importanza di avviare processi di costruzione di comunità
La storia di Pescara. Ragazzi che uccidono un ragazzo senza alcun cedimento durante il massacro e dopo. Altri che osservano la scena e poi vanno al mare, insieme a chi ha impugnato il coltello, come se nulla fosse accaduto. Ho letto diverse pagine in questi giorni di giornali differenti. Mi sono rimaste a ballare in testa due affermazioni.
La prima, ricorrente e anche accusatoria, è rivolta al padre di uno dei ragazzi coinvolti che, in quanto carabiniere, non ha visto e capito chi fosse diventato il figlio. Ma questa svista appartiene al carabiniere o al padre? Sarebbe cambiato qualcosa se il padre fosse stato un meccanico o un docente o un politico? Il mestiere che facciamo non ci assolve o condanna per il genitore che siamo. O proviamo ad essere.
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La seconda affermazione è della nonna della vittima, che ha cresciuto il ragazzo. Intervistata dice che la figlia, di certo, non verrà a vedere “il figlio in una bara” dopo dodici anni. Si sta parlando e si sta scrivendo tanto sulla fragilità e anaffettività di questi ragazzi capaci di uccidere e di collezionare, già a diciassette anni, carcere e comunità, ma non tornare a vedere un figlio per dodici anni… quanto massacra dentro, negli anni, quel figlio?
𝐌𝐨𝐬𝐭𝐫i. 𝐍𝐨𝐬𝐭𝐫i. 𝐔𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐨𝐧𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐟𝐚 𝐥𝐚 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 (l’imparare a non dichiararsi ipocritamente estranei a quanto accade nel mondo è sempre stato al centro dell’idea di nonviolenza del vescovo Tonino Bello, ndr). Che ci rende persone con un’anima. O larve di noi stessi. A qualsiasi età. Ci piace pensare che la differenza tra le due parole, tra le due consonanti, stia in una pratica: quella di cura. E nella volontà di noi adulti di occuparci dei nostri ragazzi.
Elvira Zaccagnino è direttrice de La Meridiana, casa editrice nata trent’anni fa intorno alla figura di Tonino Bello. L’articolo di questa pagina è stato pubblicato sulla Newsletter della casa editrice (rubrica Paratesto). “Le competenze di cura, genitoriali ed educative, non sono innate: crescono, si allenano, si mettono in atto con coscienza e consapevolezza. Può essere un libro il punto di partenza per una palestra di cura? In quanto editori che scelgono di pubblicare un certo tipo di libri siamo convinti di sì. Per questo, per chi ne ha bisogno, per chi pensa di conoscere qualcuno che ne ha bisogno, offriamo una selezione dei nostri testi dedicati alla genitorialità e alle competenze genitoriali con uno sconto maggiorato. Troverete manuali da mettere in pratica ma anche racconti di chi ha vissuto e superato momenti difficili. Parole utili da cui imparare qualcosa”.
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