Un piccolo parco, ben tenuto, circondato da lussuose palazzine da 6.000 euro a metro quadro, abitate dalla middle class. Un quartiere dove tutto è recintato, anche la piccola chiesa a due passi, e le telecamere, a cui ogni amministrazione che governa qualsiasi città ha delegato la “sicurezza” dei cittadini, sono ovunque. “Ciò che colpisce di quanto avvenuto a Pescara, nel pomeriggio di una tranquilla domenica di inizio estate, oltre alla tragedia in sé della morte di un ragazzo di quindici anni ad opera di due ragazzi quasi coetanei – scrive Pietro Rovigatti, professore di urbanista all’Università di Pescara -, è il contesto urbano dove tutto ciò è avvenuto, e il ceto sociale al quale appartengono quei ragazzi…”
Ciò che colpisce di quanto avvenuto a Pescara, nel pomeriggio di una “tranquilla” domenica di inizio estate, oltre alla tragedia in sé della morte di un ragazzo di quindici anni ad opera di due ragazzi quasi coetanei, è il contesto urbano dove tutto ciò è avvenuto, e il ceto sociale al quale appartengono le vittime attive di questa tragedia. Un piccolo parco, ben tenuto, circondato da lussuose palazzine da 6.000 euro a metro quadro, abitate dalla middle class pescarese, esito della “perequazione urbanistica” che da tempo costruisce questa città, con questo genere di effetti. In un quartiere dove tutto è recintato, anche la piccola chiesa a due passi, e dove le telecamere a cui ogni amministrazione che governa la città ha delegato la “sicurezza” dei cittadini, nulla hanno potuto affinché questa incredibile vicenda potesse compiersi.
Di che cosa vogliamo parlare, a Pescara come altrove? Di come è facile morire, a quindici anni, per un piccolo debito di droga, per mano di due quasi coetanei armati di un coltello da sub, non al Ferro di Cavallo (complesso del quartiere popolare Rancitelli, noto per alcune attività criminali, ndr), che non esiste più, ma nel cuore della città borghese, e dei negozi alla moda della capitale economica di Abruzzo? Di un malessere e una disperazione che attraversa tutti gli strati sociali, anche se a morire sono sempre i giovani più marginali?
Bei temi di cui potrebbe occuparsi la politica istituzionale, se solo avesse veramente voglia di farlo. Magari, chissà, qualcuno potrebbero chiedere di convocare un consiglio comunale straordinario, oppure, meglio, una risposta potrebbe venire dai tanti ragazzi e ragazze che hanno partecipato alla manifestazione di mercoledì sera, e forse sono gli unici a sapere quali sono le ragioni e le basi di questo incredibile dramma. Sarebbe bello che tutto ciò avvenisse. Prima o poi avverrà. Le ragazze e i ragazzi si arrabbieranno sul serio, e non ci sarà tregua per nessuno. Neppure per noi inutili adulti pieni di buoni sentimenti, saldi e immarcescibili ideali. E avranno ragione loro.
Piero Rovigatti è professore associato di urbanista all’Università di Chieti-Pescara. Qui è possibile leggere un suo articolo sui patti educativi di comunità come strumenti di sperimentazione e ricerca in grado di favorire, – attraverso la collaborazione tra associazioni, istituzioni di prossimità e università -, la cura nei territori dei beni comuni: Facciamo un patto
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