Per costruire società più giuste non è sufficiente favorire l’accesso alle risorse e alle opportunità per i gruppi più vulnerabili, è necessario ampliare le visioni del e sul mondo. Ma per ampliarle, spiega Donatella Donato dell’Universitat de València, abbiamo bisogno prima di tutto di cercare risposte a questa domanda: come vogliamo essere educate ed educate? Come possiamo fare della questione educativa un orizzonte su cui misurarci non solo nelle scuole ma nei territori? Come possiamo diventare ogni giorno di più persone in grado di trasformare insieme i rispettivi contesti di vita? Come possiamo decolonizzare le nostre menti? Come possiamo mettere al centro il benessere delle comunità? Come possiamo educare ed educarci per accompagnare l’urgente diffusione di sistemi di produzione e consumo alternativi?
Questo articolo fa parte del dossier Raccontare la Toscana che cambia
Nel giardino Cabanyal di Valencia, intorno a due collettivi di donne è nata poco a poco una straordinaria esperienza di educazione diffusa che coinvolge alcune scuole del territorio
Nel seminario tenuto sabato 20 febbraio 2021 su Scuola, territorio e povertà educativa – promosso nell’ambito della iniziativa “Raccontare la società che cambia” proposta della redazione di Comune, Arcs e Comunità delle Piagge di Firenze -, alcune domande sono state alla base dello scambio di saperi provenienti da diversi contesti educativi, tra le quali, come vogliamo essere educati ed educate? È anche la questione che si pone la filosofa e docente dell’Universitat Oberta de Catalunya (UOC) Marina Garcés in Escuela de aprendices, un libro che vuole servire come strumento collettivo a partire dal quale pensare e comprendere l’educazione come un processo comune. A tal fine abbandona la classica domanda su come educare per ripensare il ruolo dell’educazione dalla parte di chi apprende. Una questione quella dell’educazione non solo per gli educatori, ma per tutti/e, nella misura in cui siamo sempre educati gli uni dagli altri e impariamo sempre gli uni dagli altri. Entrando nella dimensione plurale, nella reciprocità e nella dimensione sociale e politica propria di tutta l’educazione.
Accanto a questo invito di pensare l’educazione in comune, vorremmo in questo contributo poter riflettere sull’educazione come un processo ribelle che si inscrive in qualsiasi luogo e non solo nella scuola, come processo del disapprendere e come opportunità di incontrare le differenti esperienze umane dell’essere e stare nel mondo.
L’educazione come traiettoria di spontaneità, auto organizzazione, reversibilità, evoluzione, disordine, caos e creatività, come possibilità di avvicinarsi ai processi di funzionamento degli ecosistemi e tra questi quelli umani, ma anche opportunità per recuperare saperi ancestrali, condannati dal pensiero occidentale, colonialista e patriarcale a essere dimenticati, volutamente dimenticati.
Per poter comprendere la complessità della modernità e del sistema mondiale capitalista, colonialista e patriarcale dobbiamo riferirci a una linea abissale che esiste tra gli abitanti sopra questa linea, zona dell’essere, e gli abitanti sotto questa linea, zona del non essere, zona del non esistente. Entrambe le zone fanno parte del progetto della modernità coloniale. Perché avvenga una vera trasformazione sociale è necessario un percorso di coscientizzazione di questo processo di invisibilizzazione del pensiero occidentale moderno abissale, come sistema di distinzioni visibili e invisibili, attraverso il quale l’invisibilità costituisce il fondamento per la visibilità (de Sousa Santos, 2019).
In questo contesto quale è la funzione dell’educazione?
Quella di considerare la possibilità di una decolonizzazione epistemica che implica, come direbbe Anibal Quijano (2019), uno scollamento dell’eurocentrismo, ma anche dal mito della modernità (del quale ormai è schiava anche la sinistra), del razionalismo e dell’individualismo. Per costruire società più giuste infatti non è sufficiente generare il solo accesso alle risorse e alle opportunità per i gruppi più vulnerabili, è necessario ampliare le visioni del e sul mondo.
Ciò che oggi conosciamo come teoria critica o pensiero critico è la teoria sociale prodotta dall’esperienza storico-sociale nella zona dell’essere, con le sue caratteristiche specifiche di condizione di possibilità di emancipazione e rivendicazione. L’affermazione che questa conoscenza prodotta da soggetti appartenenti alla zona dell’essere costituisca una forma di colonizzazione del sapere, non è sufficiente per comprendere i problemi vissuti o il modo in cui vengono perpetrati i processi di violenza e di appropriazione, per la dominazione e lo sfruttamento nella zona del non-essere. La decolonizzazione epistemica apre l’orizzonte alle esperienze che sono state ignorate e rese invisibili dalle scienze sociali occidentalizzate e non esclude l’apprendimento dei contributi della teoria critica prodotto dalla zona dell’essere. Quello che propone invece è di trascendere i suoi limiti per contemplare le molteplici epistemologie critiche decoloniali prodotte dalla zona del non essere.
La sfida pedagogica è costruire coalizioni e alleanze politiche tra i soggetti oppressi nella zona dell’essere e i soggetti oppressi nella zona del non-essere. Generare un processo di traduzione fondamentale per stabilire ponti tra diversi movimenti sociali, per capire, comprendere, sentire e rispettare le differenze, permettendo poi di agire politicamente insieme a partire dalla differenza delle situazioni e dei progetti politici. Sviluppando una politica di solidarietà in modo tale che possa permettere di analizzare, criticare e trasformare il mondo, rendendo altri modi di teorizzare, prodotti dall’esperienza della zona del non-essere considerati fino ad ora invisibili e inferiori, fondamentali per la costruzione di progetti politici e formativi anticapitalisti, anticoloniali, antipatriarcali futuri, epistemicamente pluriversali.
L’atto della traduzione delle esperienze come percorso politico-pedagogico-educativo necessita di un dialogo profondo tra le conoscenze che permetta di incorporare i saperi prodotti in altri luoghi e in altre dimensioni, mettendo in discussione lo stesso processo di costruzione della conoscenza.
Questo tipo di educazione non riguarda solo la scuola ma tutti/e noi come cittadini e cittadine che abbiamo bisogno di costruire e ricostruire spazi di discussione per comprendere come le pratiche siano parti integranti nell’esplorazione e nella gestione del bene comune.
Vogliamo quindi essere educati/e al buon vivere, nel quale il benessere delle comunità e delle persone, degli animali, delle piante e dell’ambiente sia prioritario. Considerando la molteplicità della dimensione del tempo e non solo la sua linearità.
Vogliamo essere educati/e a comprendere come gli elementi propri del modello di società che abbiamo costruito rappresentano le cause strutturali del disordine, della disuguaglianza, della povertà, della violenza. Decolonizzando le nostre menti dalla gerarchia e dalla egemonia riconoscendo e comprendendo la differenza.
Vogliamo essere educati/e a mettere in dubbio la nostra conoscenza e il modo di produrla. La conoscenza scientifica è parte di una più ampia ecologia del sapere, dove il sapere scientifico può dialogare con il sapere laico, popolare, contadino, indigeno e il sapere delle popolazioni urbane emarginate.
Vogliamo essere educati/e ai progetti di azione culturale di partecipazione attiva e critica della cittadinanza per trasformare i rispettivi contesti di vita ed incorporare nel nostro fare quotidiano quelle energie autenticamente democratizzatrici prodotte dal basso. È fondamentale visualizzare le alternative democratiche che la democrazia egemonica nega e che ci vengono fornite da quegli spazi subalterni, che troppo spesso non vediamo.
Vogliamo essere educati/e nel recupero e nella valorizzazione di sistemi alternativi di produzione, organizzazioni economiche popolari, cooperative di lavoratori, imprese autogestite, economia solidale ecc.
Vogliamo essere educati/e a una coscientizzazione (Freire, 1970) tra il modo di sentire, pensare ed attuare, per conseguire una società più giusta, equa, plurale.
Bibliografia
de Sousa Santos, B. (2019). El fin del imperio cognitivo: la afirmación de las epistemologías del Sur. Editorial Trotta
Freire, P. (1970) Pedagogía del oprimido. Buenos Aires: Siglo XXI Argentina Editores
Garcés, M. (2020). Escuela de aprendices. Barcelona: Galaxia Gutenberg
Quijano, A. (2019). Colonialidad del poder, raza y capitalismo. Debates en Sociología, (49), 165-180
Donatella Donato, Universitat de València