Siamo proprio sicuri che quella che viviamo è un'”emergenza educativa”? Siamo certi che Parco verde di Caivano è un caso unico? Siamo convinti che la scuola pubblica, così come è pensata, protetta e organizzata, deve o può fare tutto per rispondere ai problemi enormi che precipitano ogni giorno su bambini/e e adolescenti? Come possiamo costruire ovunque comunità educanti per sottrarci alla trappola dell’emergenza e all’idea di società – violenta e segnata dal patriarcato – che la nutre? Un intervento di Loris Antonelli, da molti anni educatore nella periferia di Roma

“Il 13 settembre dobbiamo essere carichi a pallettoni” (Giovanna Corrao): recita così l’arringa social che una professoressa di Palermo ha registrato in una lunga diretta facebook, poi condivisa da migliaia di persone e ripresa da molti giornali, oltre che da Orizzontescuola.it (link) e altri portali specializzati in educazione. È un j’accuse schietto, emotivo e diretto agli adulti, genitori in primis, sicuramente condivisibile in molti passaggi, non per forza su tutti.
Sì, è vero, sarebbe utile essere carichi a pallettoni per tornare a scuola il 13 settembre, perché come dice lei c’è una emergenza educativa. Eppure qualcosa mi stona. La discussione su scuola, educazione, società, si scalda sempre quando alcuni fatti di cronaca ci scuotono per alcuni giorni (stupri, violenze, spaccio, omicidi etc.), come se fossero fatti di gravità eccezionale, nuovi nella loro concezione o più gravi dei precedenti. È una specie di inganno main stream dovuto alle notizie che, a differenza di altri episodi identici, occupano per alcuni giorni le pagine dei giornali e i telegiornali, e quindi di conseguenza i social. Ma non è esattamente così che vanno le cose. Ogni giorno da decenni succedono cose gravissime, identiche a quelle che ogni tanto ci fanno trasecolare… e quindi non è “emergenza educativa”, è la società in cui viviamo, in cui alcune cose si modificano più o meno velocemente ma sui grandi numeri non registriamo cambiamenti significativi.
Femminicidi, stupri, violenze, abusi e maltrattamenti, oltre a mille altre nefandezze, avvengono con instancabile regolarità da decenni. È il patriarcato, fortissimamente radicato nella maggior parte di noi, e manco è solo quello, c’è pure altro. Ne è cambiata la narrazione, anche per via dei social, forse nei decenni ne cambiano un po’ le cause e le conseguenze, ma che sia una “emergenza educativa” è un grande inganno.
Il Parco verde di Caivano non è un caso isolato
Il degrado del Parco verde di Caivano e di centinaia di posti simili, dove povertà e criminalità la fanno da padroni, e dove lo stato è assente ingiustificato da sempre, non sono una novità, sono alla luce del sole, come lo sono la mercificazione dei corpi in tutte le situazioni (provate a fare una ricerca on line scrivendo semplicemente “addio al celibato, e vedete il livello di proposte che trovate, legali e legittime, alla portata di tutti, non oso immaginare quelle alla portata di pochi).
Se queste cose le chiamiamo emergenze evochiamo una risposta di emergenza “carichi a pallettoni”, attingendo al linguaggio bellico, come durante il coivd, come in altre situazioni, in cui ostinatamente si abdica il buon governo e la programmazione, si rinuncia alla politica della prevenzione, e si fa finta di reagire all’attacco alieno, imprevedibile, di emergenza, carichi a pallettoni.
La scuola, dicevamo, deve fare tutto. Questo tema riemerge quando alcuni dei fatti più atroci riguardano bambini/e e adolescenti, e così, per esempio, il nostro ministro lancia un piano speciale per fare educazione alla sessualità alle scuole superiori. Sarà utile? Probabilmente sì, ma di nuovo, anche qui, qualcosa mi stona. Dirigenti scolastici e insegnanti in questi giorni hanno scritto da più parti “… e no, non è mica possibile che la scuola debba farsi carico di ogni cosa che succede, dove sono le famiglie? dove sono i servizi sociali?”. Come dargli torto. Allora quale è il tema?
La scuola come comunità educante
Io credo che la scuola debba effettivamente fare tutto, anche supplire alla grave assenza educativa di migliaia di famiglie, alla carenza dei servizi sociali e a tante altre lacune. Lo credo perché la scuola è l’unica istituzione pubblica presente capillarmente ovunque, e in cui, loro malgrado, entrano per alcuni anni tutte e tutti, bambine e bambini, ragazze e ragazzi. Ma questa scuola, così come è pensata e organizzata, deve o può fare tutto? Assolutamente no, non può fare quasi nulla più di quello che sta facendo, ed è per questo che dobbiamo rifiutare soluzioni di emergenza e chiedere, se vogliamo una società che diventi comunità, un cambiamento radicale della scuola.
La scuola potrebbe fare tantissimo di quello che serve a costruire comunità educanti se, a solo titolo di esempio:
– gli insegnanti avessero nel loro contratto (più dignitoso dell’attuale) un minor numero di ore frontali e un maggior numero di ore di formazione, programmazione condivisa, aggiornamento, scambio con altre realtà etc.;
– le classi fossero al massimo formate da 15-16 alunni;
– gli alunni con bisogni educativi speciali avessero, oltre a una equipe scolastica sufficiente e qualificata, il giusto supporto delle asl, dei servizi territoriali, degli specialisti necessari a ogni singolo caso;
– gli ambienti scolastici fossero innanzitutto sicuri (molte scuole cadono a pezzi), ma anche pensati per rispondere alle esigenze della scuola nel 2023, non di un secolo fa; ambienti belli, sicuri, puliti, funzionali, spaziosi, comodi: palestre moderne, laboratori, piscine, giardini attrezzati etc.;
– i Dirigenti scolastici avessero, come ogni dirigente che lavora in altri ambiti, uno staff di persone competenti che lo sappiano coadiuvare nel lavoro amministrativo, nel lavoro organizzativo, in quello educativo e in quello culturale;
– le scuole fossero ricche di proposte, flessibili, aperte fino a sera per chi non ha altre possibilità;
– le scuole fossero in grado di sostenere le famiglie nel loro percorso educativo, culturale, emotivo, compensando le fragilità di tante e tanti, ma anche la loro solitudine;
– se la società fosse in grado di valorizzare l’idea che, sapere, saper fare, conoscere, è il punto di partenza per crescere ed essere autonomi;
– se la scuola avesse mezzi e strumenti per fare uscire facilmente i suoi alunni, portarli alla scoperta delle città, dei monti, dei fiumi, del mare…
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Ecco, potrei scrivere mille altre cose per spiegare quale scuola, in una società civile, nel 2023, potrebbe realmente fare tutto per accompagnare la sua utenza ad essere comunità educante, ma finché abboccheremo all’idea dell’emergenza educativa, senza rifiutare il modello di società che ci infarcisce di numeri sul Prodotto interno lordo senza mettere al centro le persone e il loro benessere, la scuola resterà l’alibi per ogni tragedia consumata.
Avremmo bisogno di programmare i prossimi vent’anni, ma tutti i governi che si alternano vivono l’illusione dell’emergenza perché sono in continua campagna elettorale, e purtroppo la programmazione offre i suoi risultati nel lungo periodo. I cambiamenti immediati li fanno le rivoluzioni, ma non siamo pronti. Quindi caricatevi a pallettoni, se volete, di certo qualcosa la faremo bene comunque, e saremo più sereni con noi stessi… Ma avremo ancora mille stupri, di cui ogni tanto qualcuno sbattuto in prima pagina, perché non è una emergenza, è una vomitevole normalità.
Loris Antonelli, da molti anni è educatore nella periferia di Roma. Altri suoi articoli sono leggibili qui