Proviamo a immaginare cosa sarebbe accaduto a Scampia senza il Gridas in questi quarant’anni. A proporre l’esercizio è l’associazione Chi rom e chi no e rende ancora più misero il tentativo di far dipendere la vita di questo meraviglioso spazio sociale e culturale – messo su dal nulla da Felice Pignataro, Mirella La Magna, Franco Vicario – da una sentenza di condanna di “occupanti senza titolo”. In questo articolo Chi rom e chi no ricorda cos’è il Gridas e come viene costruito il suo carnevale tra creatività, manualità e pensiero critico. Il testo è accompagnato da uno straordinario racconto fotografico: il carnevale 2023 (a cui ha preso parte anche la redazione di Comune) appare in tutta la forza di rituale collettivo catartico in grado di coinvolgere grandi e piccoli e di entrare anche nei i rioni più blindati del quartiere con il suo spirito dissacrante e liberatorio
Quando ci chiedono di parlare delle origini di chi rom e…chi no, in genere, con piccole variazioni a seconda dei casi, il racconto comincia così: “All’inizio eravamo un gruppo informale di giovani di diverse provenienze ed esperienze che si sono uniti intorno al Carnevale del Gridas…”.
Con il carnevale di Scampia è nato chi rom e…chi no, e ha attraversato delle vere e proprie ere geologiche in questo quartiere, dal punto di vista sociale e politico. La nostra storia comune ha inizio nel 2003, un po’ prima della famosa faida di Scampia, anni in cui intrecciamo con il territorio profonde relazioni tra i rioni popolari e le comunità rom che vivono da tempo – siamo oggi alla terza generazione – nei campi non autorizzati confinanti di Cupa Perillo. Lo stesso nome, un gioco di parole destinato a imprimersi immediatamente nella memoria di tutti, lo abbiamo preso in prestito da Felice Pignataro e da una sua felice intuizione.
Il Gridas è stato da subito la nostra casa, rifugio dalle intemperie e spazio assembleare e creativo, in alternanza con la baracca Scola Jungla nel campo di Cupa Perillo, e dai tavoli attorno ai quali abbiamo passato le migliori ore della nostra giovinezza, hanno preso ispirazione, energia e corpo le prime esplorazioni e le piccole rivoluzioni sul territorio fatte insieme a bambini, giovani, napoletani e rom.
Per noi è stata una scelta di vita: a venti anni, senza dircelo, abbiamo deciso di abolire la vita mondana intesa nel suo senso più comune, e mentre i nostri coetanei uscivano il sabato sera, noi facevamo i laboratori di pittura, il carnevale di Scampia, passavamo così le notti, era quello il nostro agire nel mondo, era quello il nostro piacere anche, il lavoro di gruppo, con un intento politico e con un intento trasformativo nello spazio pubblico, di riappropriazione e tutte le parole d’ordine che conosciamo. Per noi la politica è sempre stato questo: un fare insieme alle persone, in convivialità, a partire dai più piccoli e coinvolgendo i più grandi, provando a trasformare contesti molto compressi e molto oppressi.
Il Carnevale, uno degli atti fondativi di chi rom e…chi no, di anno in anno si sussegue e ci accompagna, diventa consuetudine nella nostra prassi e nelle nostre riflessioni, uno dei momenti principali di aggregazione, creazione, sperimentazione, costruzione del carro, l’opera collettiva per definizione.
Da quando viene promulgato il bando del Gridas fino alla domenica del corteo che attraversa il quartiere, in un arco temporale di circa due mesi, lo spirito del Carnevale pervade chi rom e…chi no, le persone e gli spazi circostanti. Si tratta di una sorta di grande rituale collettivo catartico che riguarda grandi e piccoli, un grande gioco di affidamento reciproco, molto serio, in cui far emergere “il bene” e “il male”, dargli un nome e un colore, plasmarli, dargli forme con l’utilizzo di materiali svariati e riciclati. Simboli che diventano emblemi della urgenza di cambiamento di intere comunità, che con il Carnevale si può risvegliare e può essere messa a fuoco, nel caso in cui si fosse un po’ sopita nel frattempo… Si comincia con interminabili riunioni in cui sviscerare il senso profondo del bando, per interiorizzarlo, rielaborarlo, superarlo, esprimersi individualmente per poi mettere tutto insieme, condividere e fondere pensieri e interpretazioni, avanzare inesorabili verso il carro, simbolo concreto da mostrare in corteo, che racchiuderà il significato sociale e politico del nostro carnevale. Il corteo può entrare dappertutto, da sempre, in tutti i rioni del quartiere, anche i più “blindati”, che riconoscono lo spirito dissacrante e liberatorio di quella baraonda rumorosa che attraversa il territorio.
Il cuore della progettazione riguarda i laboratori con bambine e bambini. Un mese di laboratori che negli anni hanno attraversato molti spazi pubblici significativi o sottoutilizzati del quartiere, coinvolgendo generazioni di bambin* e ragazzin* italian* rom, sperimentando creatività, fantasia, tecnica e manualità, in un appassionante intervento pedagogico e culturale – del tutto autofinanziato, come del resto l’intero Carnevale.
Nel tempo, intorno alla progettazione e alla realizzazione del carro, delle maschere, delle grandi narrazioni per introdursi e immergersi nel lavoro manuale con l’ispirazione giusta, si sono unite molte persone, curiosi, volontari, amici, sconosciuti, provenienti da vari angoli del mondo, alle prime armi con la manualità o super esperti, gli “assi nella manica” che ogni anno risolvono un fondamentale problema tecnico, compagni di viaggio nel corteo per un giorno che hanno sopportato pioggia e bambini aggrappati pur di portare il carro a destinazione finale…
L’ospitale e spigolosa chiesa dei gesuiti nel Lotto p è stato il primo spazio laboratoriale, allestito con grande cura per accogliere decine e decine di bambin* dal campo e dal rione, in epoche buie e tormentate, in cui la faida dei grandi aveva dolorose ripercussioni quotidiane e risuonava in piccole faide che venivano fronteggiate con pazienza e anche creatività. In quegli angoli attivi e creativi, alle prese con materiali di tutti i tipi, tutte e tutti potevano trovare un canale di espressione e sfogo e il conflitto più facile che si poteva scatenare, ad esempio tra piccoli napoletani e piccoli rom, diventava occasione per rinsaldare le relazioni e creare legami in alcuni casi anche indissolubili.
Poi, i laboratori di chi rom e… chi no si sono spostati nel campo rom e nella baracca scola jungla che avevamo costruito con gli abitanti, e qui accadeva un fatto ancora più miracoloso: italiani e gagio, del quartiere, della città, di ogni dove, che entrano in un campo rom per la prima volta nella vita per dedicarsi ai laboratori, confrontarsi, divertirsi, trascorrere nottate per ultimare la costruzione del carro, che fino all’ultimo secondo prima del corteo non è mai pronto, a mangiare, bere, in una semplice e ritrovata convivialità.
L’Auditorium di Scampia è stato la tappa successiva di questa costellazione di laboratori diffusi, spazio culturale aperto dai ragazzi e dalle famiglie dal quartiere con il percorso teatrale e pedagogico Arrevuoto 2005 e lo spettacolo “Pace!”, e per il quale ancora oggi lottiamo contro le burocrazie locali per averne un utilizzo pieno e dignitoso e una apertura regolare… Era uno spazio un po’ meno freddo, ma lavare con l’acqua fredda i pavimenti del foyer che diventava per un momento un atelier di pittura in cui i bambini si scatenavano, ci ha certamente temprato mente e corpo.
Dal 2014, il Carnevale si è insediato anche da Chikù, spazio culturale in cui convergono i percorsi pedagogici dell’associazione e la gastronomia interculturale de La Kumpania.
Chikù, nel mese più freddo dell’anno, vive il suo momento di splendore massimo, sicuramente pervaso da un po’ follia, in cui tra costruzione del carro, laboratori, festa murguera del sabato sera e grande pranzo finale dopo il corteo della domenica, diventa uno degli spazi più vivi, conviviali, fecondi probabilmente dell’intera area metropolitana di Napoli, insieme a tutti gli altri spazi sociali e culturali del quartiere, a partire dal Gridas.
In questi anni abbiamo fatto volare mongolfiere, girare girandole e giostre giganti, partire treni della pace e navi delle piratesse e dei pirati per raggiungere nuovi mari e orizzonti, partorito enormi paguri, tartarughe, gru e ciucci volanti, seminato alberi, fiori e alghe marine, sepolto pistole e altri mostri orribili fardelli pesantissimi di cui liberarsi e da bruciare nel grande falò finale…
Quest’anno, con i ragazzi e le ragazze di Gatta Blu ERA Cooperativa sociale GruppoZoone, i bambini e le bambine del fuori scuola, i bambini e le bambine delle scuole dell’infanzia, gli artisti Marco Matta e Angela Campanile ceramista, Salvatore e i tanti compagni e compagne di viaggio artisti, sognatori, artigiani, il carro è stato realizzato attraverso laboratori aperti seguendo la traccia del bando del Gridas che ci ha messo di fronte a questo quesito “A CHE TITOLO? ovverossia TITOLI, titoletti e sottotitoli” e reinterpretandola così: A che titolo ci rubate il futuro? A che titolo fate la guerra a nome nostro? A che titolo distruggete l’ambiente naturale? Tutto questo non lo accettiamo e la risposta è una risposta di pace di nonviolenza, dove i giovani hanno la possibilità di costruire un futuro migliore per tutti, dove le donne sono libere, come tutte e tutti. Il nostro carro rappresenta cinque elementi principali in cui spiccano il male, rappresentato dal “soldato” che con la sua mostruosa presenza porta le guerre e la distruzione; una giovane donna iraniana simbolo di libertà e forza; un gran pulcinella con i colori della pace; la morte che rappresenta la fine ma anche un nuovo inizio.
Finito il carnevale, ucciso il carnevale, permane il suo spirito, che ogni anno si rinnova.
Carnevale ci ha fatto crescere e contemporaneamente ha mantenuto il nostro spirito bambino e utopistico, è l’epoca della fatica e della felicità, dove ci si mette in gioco, con la mente, il cuore e le mani.
Ci rivediamo nel 2024
Mentre scriviamo e a tre giorni dal Carnevale 2023 arriva la buona notizia: “accettata la sospensiva dell’efficacia esecutiva della sentenza contro il Gridas e rinviata la ‘precisazione delle conclusioni’ all’udienza del 5 marzo 2024”. Certo, è solo un rinvio ma permette di raccogliere le forze di una battaglia lunga quasi vent’anni.
La storia del Gridas, invece, ha oltre quarant’anni. Fondata nel 1981 l’associazione culturale Gruppo Risveglio dal Sonno si appoggia inizialmente in una delle stanze del centro sociale dove si trova il SUNIA Sindacato Unione di coinquilini, un centro fatto per la gente per svolgere attività comuni.
Il Gridas di Felice Pignataro, Mirella La Magna, Franco Vicario e altri, è un gruppo all’avanguardia nel panorama italiano che cambia il linguaggio e le pratiche dell’attivismo politico calato, radicato in un ambito popolare – e povero – e che decide di “mettere le proprie capacità artistiche, culturali, al servizio della gente comune per stimolare un risveglio delle coscienze e una partecipazione attiva alla crescita della società”.
Dopo la morte di Felice nel 2004, la preoccupazione è aumentata. Si sentiva nell’aria parecchia tensione di gente che voleva entrare ma senza un progetto comune, la convinzione era infatti che lo spazio sarebbe stato abbandonato. Invece il gruppo è rimasto sul posto, ha presidiato il territorio con il carnevale, il cineforum, ha attirato sempre più gente nella convinzione che è importante aprire a chiunque voglia.
Nel 2005 sono partite a cura della Procura della Repubblica di Napoli delle indagini preliminari, concluse con il rinvio a giudizio del GRIDAS e di alcuni altri occupanti per il reato di “invasione di edificio pubblico”. Nel 2010 arriva al GRIDAS una diffida che intima di lasciare la struttura in quindici giorni altrimenti si va incontro a un processo penale e allo sgombero coatto: parte la mobilitazione che vede la nascita di San Ghetto Martire. Il processo penale si protrae fino al 2013 e si conclude con l’assoluzione perché il fatto non sussiste.
Gli anni successivi sono rappresentati dal costante rimpallo tra Comune e Regione. Hanno scoperto che il centro sociale appartiene in realtà al comune, perché essendo costruito nell’ambito di un quartiere residenziale che faceva capo allo I.A.C.P c’è una legge che stabilisce che se ci sono edifici che riguardano l’utilizzo pubblico, questi appartengono al comune. L’amministrazione di de Magistris dichiara il Gridas “Bene Comune” con delibera 51 dell’8 febbraio 2018 e che nella lettera del 30 gennaio 2019, ripresa nel verbale della riunione dello scorso 8 febbraio 2019, si legge: “risulta acclarato che il polifunzionale di cui trattasi sia un’opera di urbanizzazione secondaria, da acquisire nella proprietà del Comune senza ulteriore indugio, per la quale non risulta dovuto alcunché, tanto meno il costo di costruzione, come richiesto dallo I.A.C.P”.
Nel mezzo c’è il tira e molla dell’Acer (ex Iacp) che si sottrae ai tavoli con il Comune che con il nuovo sindaco Manfredi sembra non voler nemmeno ascoltare: il Primo maggio 2022 deve intervenire proprio San Ghetto Martire con una lettera aperta dopo due mesi di richieste di incontro rimaste inascoltate. Ora la notizia del rinvio di un anno.
La città con gli spazi in attesa della politica istituzionale
La vicenda del Gridas chiama in causa la politica, come in altre vicende, su un tema ben preciso: gli spazi culturali e della socialità condivisa. Immaginiamo cosa sarebbe accaduto a Scampia senza il Gridas in questi quarant’anni. Immaginiamo quel quartiere e la sua storia senza il Carnevale, i laboratori, la partecipazione anche durante le sanguinose guerre di camorra. Immaginiamo questo e poniamo una domanda: cosa avrebbero realizzato le istituzioni di ogni ordine e grado? Non si sa ma sappiamo ciò che non hanno fatto in questo quartiere. Tutte le esperienze costruite e maturate nel corso degli anni sono avvenute grazie all’autorganizzazione sociale e civile di associazioni, cooperazione sociale e cittadinanza attiva. La prima decisione di avviare un processo di intervento è stata l’Università, aperta dopo quasi vent’anni dalla sua proposta e che oggi potrebbe rappresentare un ulteriore valore aggiunto.
Scampia rappresenta anche un’eccezione di resilienza creativa, in certi versi unica anche nello scenario cittadino per la sua capacità di fare rete. Resta, però, il tema su come si possa, in primo luogo, difendere e non mettere in discussione una realtà come il Gridas e in secondo luogo esportare questo modello. Infatti nelle altre zone della città non è che le cose vadano meglio sullo sviluppo di spazi ed esperienze culturali e sociali.
Con la precedente Amministrazione le politiche culturali e la valorizzazione degli spazi si sono concentrate quasi esclusivamente al centro storico, inseguendo il boom turistico e forme di intrattenimento di quel flusso ma non riuscendo a sedimentare esperienze durature. Nelle altre periferie il dibattito è aperto ma non spicca il volo. A Napoli Est l’esperienza dei laboratori del teatro San Carlo è separata dalla vita stremata del quartiere a ridosso di Vigliena senza che abbia attecchito una rete con il coinvolgimento dell’Università e del suo polo di innovazione. A Ponticelli la biblioteca Deledda come il centro Ciro Colonna sono i fiori in un deserto dove si spara nell’ora di punta o si fanno saltare in aria le auto dei commercianti antiracket. A Bagnoli si vive da oltre trent’anni nell’eterno dibattito e scontro sul destino dell’ex Italsider.
Oggi l’Amministrazione Manfredi non ha nemmeno un assessore alla Cultura. Non è possibile nemmeno considerare la dislocazione di qualche concerto il 31 dicembre in altri quartieri come politiche culturali. Dove sta la politica? La messa in rete di esperienze che possano produrre valore culturale e crescita di comunità attraverso spazi condivisi dovrebbe proprio partire da un punto fermo: il Gridas e Scampia.
Ora questo modello quale agibilità può avere? Gli spazi rigenerati sono una scelta dovuta a una volontà e una visione: decidere se soccombere alla produttività turistico-commerciale senza nemmeno l’organizzazione dei servizi o governare un processo che possa dotare Napoli di luoghi di elaborazione, partecipazione e creatività.
La stagione dei centri sociali dagli anni novanta ad oggi, al netto della loro collocazione politica, ha dimostrato come le arti, il cinema, il teatro e la musica, ma non solo, abbiano bisogno di spazi. Un luogo di aggregazione e relazioni solidali o comunque non ostili rappresenta l’opportunità di costruzione di reti. Con le nuove tecnologie, a differenza degli anni novanta, questi spazi sono connessi in tempo reale con il resto del Paese e del mondo. Come avviene per il Carnevale che a Scampia richiama decine di persone da tutta Italia. Il mondo fuori è l’opportunità che dai quartieri-bunker viene data attraverso le esperienze come il Gridas strappando i talenti dalla strada e della devianza.
Terzo settore e cittadini autorganizzati sono una risorsa o solo elucubrazioni spese durante le campagne elettorali? Il Gridas sta in questo scenario e parla a tutta la città dove gli spazi ci sono ma manca la politica, sia nella sua volontà che nelle idee. Proprio le idee come la progettazione sono il nuovo oro per costruire la città del presente e del futuro, quell’idea che dopo il terremoto del 1980 ebbe Felice Pignataro e per la quale oggi siamo qui vederne traccia che qualche burocrate intende cancellare.
Pubblicato su chiromechino.it, con il titolo completo “Scampia: la cultura si fa spazio”, nella rubrica mensile Diari da Scampia – Racconti storie e sguardi dalla periferia, a cura di cura di Emma Ferulano e Giuseppe Manzo.
UN RACCONTO FOTOGRAFICO DEL CARNEVALE 2023:
(Ph di Ferdinando Kaiser, Bruno Santoro e Annarita Sacco)