Il solstizio di inverno scandisce il ciclo della vita. Le religioni elaborate dalle tante culture hanno dato forma a molteplici simboli e feste per evocare quella rinascita. Francesco di Assisi, ad esempio, dopo essere tornato in Palestina guidato dal rifiuto della guerra, inventò il presepe in un poverissimo territorio dell’Appennino perché i frutti della fraternità si diffondessero. Ora il presepe è un triste pretesto per battaglie identitarie. Scuole e territori devono sempre nutrirsi di processi culturali inevitabilmente aperti e plurali
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Oggi, venerdì 22 dicembre, poco, prima dell’alba, al termine della notte più lunga dell’anno, siamo giunti al solstizio di inverno. Nel mondo contadino il grande pendolo del Sole era sentito e avvertito concretamente perché a fine dicembre, nel nostro emisfero, la natura comincia lentamente a rianimarsi, con l’aumentare delle ore di luce. A questa evidenza naturale, che scandisce il grande ciclo della vita, le diverse religioni elaborate dalle tante culture con cui noi umani abbiamo cercato di intendere e dare senso alla vita, hanno dato forma a molteplici simboli e feste che evocano questa rinascita.
La religione cristiana scelse di festeggiare proprio in questi giorni la nascita di Gesù, sovrapponendo la nuova celebrazione alla data dedicata al Sole invitto, che nell’antica Roma si festeggiava il 25 dicembre.
Le religioni sono una delle “invenzioni” più contraddittorie che abbiamo escogitato noi umani. Possono essere di stimolo a una elevazioni di pensieri e sentimenti e comportamenti, o essere causa delle peggiori efferatezze, giustificate da fanatismi che fomentano guerre e pretendono la morte degli infedeli, come tristemente accade ancora oggi non lontano da noi.
Francesco di Assisi inventò il presepe mettendo in scena la natività in un poverissimo paese dell’appennino, con l’idea che quella nascita potesse rivivere ovunque perché il seme della fraternità si diffondesse sempre più. Sempre Francesco, nel 1219, viaggiò in Palestina non per portare la guerra, ma per cercare un colloquio con il sultano Malik al-Kamil, a cui i crociati stavano facendo la guerra.
Ora l’idea che il presepe diventi pretesto per battaglie identitarie insensate è tristissima e assurda. Per me è uno scandalo che qualcuno voglia imporre per legge nella scuola il libero incontro con dei simboli religiosi, che deve sempre nutrirsi di visioni culturali aperte e plurali. La scuola, a mio avviso, dovrebbe essere sempre un luogo dove si moltiplicano le conoscenze e le interpretazioni del mondo, dove simboli nati da stratificazioni culturali lontane e diverse si incrociano, si scambiano, entrano in colloquio tra loro moltiplicando le domande e contribuendo a uno sguardo aperto verso le diversità che popolano il pianeta.
L’evocare continuamente la presenza di nemici rappresenta l’opposto dello spirito con cui nacque il presepe. Tornare allora all’origine naturale di tante costruzioni culturali potrebbe aiutare a ricordarci che siamo tutte e tutti abitanti di una stessa piccola casa che vaga nel cosmo e affermare, con Einstein che “l’unica razza a cui apparteniamo è quella umana”.
E allora a tutte e tutti buon solstizio di inverno.
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